Di nessun altro uomo vissuto prima di Petrarca abbiamo una così vasta messe di informazioni biografiche, diceva Ernest H. Wilkins. Ma precisava che tali informazioni si fondano per lo più su lettere e altri scritti petrarcheschi. Bisognerà allora chiedersi: che cosa sappiamo di lui con certezza? La verità è che ogni scrittore mira a diventare, per usare le parole di Ortega y Gasset, «romanziere di se stesso, originale o plagiario». E, come dimostra l'affascinante indagine di Francisco Rico, Petrarca non sfugge alla regola: anzi, la incarna in sommo grado. Il che significa non solo che l'autoritratto che egli va componendo nel tempo è ispirato a exempla illustri, ma che nulla di quanto ci dice è letterale e innocente. Dietro ogni data, dietro la semplice menzione di un giorno della settimana (il venerdì, ad esempio, giorno marcato per eccellenza), si cela una fitta rete di rispondenze, una raffinata simbologia – e un audace disegno: trasformare i momenti vissuti o immaginati in frammenti di un racconto unitario capace di sottrarli alla corrosione del tempo. Ma Petrarca si spinge ancora più in là nella costruzione di un'esistenza ideale: grazie a Rico, lo vediamo infatti applicare la dispositio persino alla vita non scritta, modellarla come un testo, mettendo in atto ciò che non scrive – o, se vogliamo, facendo letteratura con le proprie azioni.