La recente Legge delega per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale (2016), interviene nell'ambito del volontariato, della cooperazione sociale, dell'associazionismo no profit, delle fondazioni e delle imprese sociali, introducendo categorie di grande rilevanza sistematica. In questa direzione, la promozione dei titoli di solidarietà , già previsti dal d.lgs. n. 460/1997, unitamente all'allargamento della platea dei beneficiari dell'equity crowdfunding (ad oggi limitato alle sole start up) e, infine, la definizione di un trattamento fiscale di favore per «titoli finanziari etici», così da premiare quei cittadini che investono i loro risparmi nella finanza etica. In tale contesto, gli enti di Terzo settore vengono qualificati come soggetti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, che promuovono attività di interesse generale. La nuova (e forse troppo ampia) soggettività , risente della difficoltà di trasferire identità tradizionalmente legate alle scienze sociali, in ambito giuridico. Al tempo stesso, la formulazione contenuta nella Legge delega se da una parte evidenzia una ricchezza di forme, dall'altra lascia inalterati possibili rischi di disorientamento ermeneutico. Si conferma, infatti, un sistema caratterizzato da specialità normative che costringono l'operatore del diritto a coordinare le disposizioni sulle Onlus e l'Impresa sociale, con quelle previste dalle specifiche normative istitutive. Per altro verso, si assiste ad un travalicamento dei confini del Diritto tributario di cui gli enti in esame sono, comunque, parte rilevante che, a sua volta, è «costretto» a seguirne gli esiti ovvero le derive, legate a forme di evasione o elusione fiscale. In ogni caso, proprio in questa apparente distanza, il Diritto tributario manifesta il suo peculiare ruolo: segnalare/evitare che la dimensione economico commerciale, diventi costitutiva delle nuove configurazioni giuridiche.
L'introduzione nello Stato Città del Vaticano di una articolata normativa di contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo, impone una riflessione sui contenuti che, a mio avviso, per essere compiutamente analizzati, devono essere necessariamente contestualizzati. La globalizzazione della vita giuridica (e la sua rilevanza transnazionale di relazioni economiche) non poteva rimanere al di fuori "del portone di bronzo" e non interessare anche il più piccolo Stato del mondo: la Città del Vaticano che "da enclave dell'Italia tende progressivamente a divenire enclave dell'Unione europea, con conseguenti inevitabili contatti tra ordinamento vaticano ed ordinamento europeo". Sul piano della tecnica normativa, l'intervento legislativo si fonda su una pluralità di fonti che nel quadro della tradizione giuridico-canonica della Chiesa - quale fonte principale del diritto vaticano - tiene conto delle norme stabilite dalle Convenzioni internazionali e della tradizione giuridica italiana. Nel complesso, le innovazioni realizzate con modifiche al Codice penale vaticano (Zanardelli), tendono ad allinearsi al diritto internazionale ma, in diverse circostanze, svelano specialità funzionali del diritto vaticano che determinano l'esigenza di esaminare le nuove categorie dello Stato Città del Vaticano/Santa Sede, alla luce di imprescindibili modelli interordinamentali.