Le barzellette, le gag, le spiritosaggini, i malintesi, le gaffe, le smentite, gli autogol, gli incidenti diplomatici. E poi gli elogi, i pregiudizi, i sarcasmi, gli attacchi dall'estero. Un'avventura umana, imprenditoriale e politica che Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella hanno ricostruito, con scrupolo documentario, in un dizionario del berlusconismo; una fenomenologia del Cavaliere, così come è stato dipinto da sé medesimo, dai giornalisti, dai politici, dagli statisti di tutto il mondo e dai vignettisti italiani e stranieri. Una fraseologia esaustiva, variegata e complessa, che riproduce l'immaginario del Cavaliere e dell'Italia che rappresenta. Un campionario di allegorie e di simboli fantastici, ironici o grotteschi (il materasso, i regali, il calcio, le ville, i festini, la chirurgia estetica, le barche), attorno ai quali non orbitano soltanto i discorsi privati e le uscite pubbliche del leader della destra italiana ma anche, come ci ha ricordato il famoso scambio di sorrisetti tra Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, l'immagine stessa del nostro Paese.
I politici politicanti italiani, quelli che un liberale cristallino come Luigi Einaudi attaccò scrivendo che occorreva "licenziare i Padreterni", sono sordi. Non riescono a capire. Non riescono a vedere, chiusi nel loro fortilizio autoreferenziale, l'insofferenza montante dei cittadini di un Paese in affanno che vive, come dice Giorgio Napolitano, "un angoscioso presente". Sono così abituati ai privilegi, all'abuso del potere, all'impunità, da non rendersi conto che la loro sordità mette a rischio non solo il decoro e la credibilità delle istituzioni ma alla lunga il nostro bene più prezioso: la democrazia. Quattro anni dopo La Casta, gli autori che prima e più di tutti ne hanno denunciato gli sprechi, le ingordigie e le prepotenze smascherano punto per punto i tradimenti delle promesse di sobrietà. E l'inadeguatezza di una classe politica che, nonostante l'impegno e la generosità di tanti parlamentari e amministratori perbene e generosi, non riesce a essere davvero classe dirigente. E offre segnali di un distacco rischioso tra chi governa e chi è governato. Un'invettiva civile d'amore per l'Italia e per la politica migliore. Nella speranza di un riscatto.
Il tempio di Apollo a Selinunte ingabbiato per undici anni dalle impalcature perché nessuno le smonta. La campagna veneta di Palladio e del Giorgione "intossicata, sconquassata, rosicchiata, castrata", come dice il poeta Andrea Zanzotto, da un caos di villette, ipermercati e capannoni. I mosaici di Pompei che si sgretolano perché l'ultimo mosaicista è in pensione da un decennio mentre il commissario compra mille bottiglie di vino "pompeiano" da 55 euro e ne spende 103mila per censire 55 cani randagi. La tenuta agricola di Cavour tra le risaie vercellesi cannibalizzata dai teppisti. L'inestimabile villaggio preistorico di Nola affogato nell'acqua perché la pompa non funziona. La tracotanza di un abusivismo che, di condono in condono, è salito a 4 milioni e mezzo di alloggi nei quali vivono undici milioni di italiani. Le uniche ricchezze che abbiamo, il paesaggio, i siti archeologici, i musei, i borghi medievali, la bellezza, sono sotto attacco. Un incubo culturale, un'angoscia economica. Eravamo i primi al mondo nel turismo: siamo precipitati per competitività al 28° posto. E il portale italia.it, costato milioni di euro, è 184.594° fra i siti web più visitati del pianeta. Una classe dirigente seria sarebbe allarmatissima. La nostra no. Anzi, la cattiva politica è tutta concentrata su se stessa. E si tiene stretti tutti i privilegi. Le sole auto blu costano due volte e mezzo l'intero stanziamento per i Beni culturali, dimezzato in 10 anni. La serrata denuncia di uno scempio.
Centotredici parlamentari con doppi, tripli e quadrupli
incarichi, un politico alla presidenza di una
banca che finanzia i suoi amici, funzionari pubblici e imprenditori
con mogli e figli soci in affari, l’assessore alla
sanità che vende apparecchiature mediche agli ospedali,
il capo di una compagnia statale che diventa presidente
della società privata di cui è cliente, avvocati di destra e
di sinistra che litigano in tribunale ma poi in parlamento
fanno le leggi insieme, il figlio del ministro che apre una
ditta nel settore controllato dal ministero di papà…
Un'inchiesta senza peli
sulla lingua nel paese dove
il confine fra l'interesse
di tutti e gli affari di
pochi ormai non esiste più.
Lo scandalo che ha coinvolto i vertici della Protezione civile ha acceso i riflettori su un gruppo di affaristi, imprenditori, magistrati, funzionari e familiari di una compagnia male assortita, che gestiva appalti pubblici in un micidiale coacervo di conflitti d’interesse. Un intreccio sfrontato, portato avanti con la consapevolezza dell’impunità. Perché in Italia, quando si nomina il conflitto d’interessi il pensiero corre subito a Silvio Berlusconi, al suo strapotere televisivo, alle leggi ad personam, ma il Cavaliere è solo l’ultimo erede di un sistema consolidato, che comprende tutti: politici, professionisti, manager, sportivi, giornalisti. I casi si sprecano: magistrati che si arricchiscono con gli arbitrati, rettori universitari che amministrano gli atenei come beni di famiglia, imprenditori finanziati da banche di cui sono azionisti, società di brokeraggio presiedute dai loro clienti, medici che diventano strumento per aumentare i profitti delle case farmaceutiche, deputati e senatori che piegano con destrezza le leggi ai loro disegni. Per farsi la pensione d’oro, sistemare una fabbrica, assumere qualche amico, basta un provvedimento ad hoc… Nella giungla di enti, ministeri, aziende statali e parastatali e ordini professionali si annida una classe dirigente abituata a usare il Paese per fare gli affari propri.
IL DISASTROSO RITORNO DELLO STATO NELL’ECONOMIA ITALIANA
È normale che una compagnia aerea pubblica fallita come l’Alitalia venga salvata con i soldi dei contribuenti?
È normale che un’azienda statale faccia causa a un’altra azienda statale e metta in conto agli italiani seicentomila euro di parcelle?
È normale che nelle imprese comunali ci siano ventitremila consiglieri di amministrazione e una poltrona ogni 5,6 dipendenti?
È normale che la società di un politico in carica sia in affari con la Regione di cui quel politico è stato presidente?
È normale che l’ex direttore della tivù di Stato, multato da un’Authority, venga nominato in un’altra Authority?
SE CREDETE CHE TUTTO CIÒ SIA NORMALE, NON LEGGETE QUESTO LIBRO.
Un fantasma si aggira per l’Europa: quello del nuovo statalismo. Spinto dal vento della crisi che soffia dagli Stati Uniti, ha investito la Gran Bretagna, la Francia, l’Olanda, la Germania. E l’Italia? Nel nostro Paese quel fantasma è sempre stato di casa. Trasformandosi, negli ultimi anni, in una manomorta pubblica che ammorba l’economia. A cominciare dalle migliaia di imprese locali, controllate dai Comuni, dalle Regioni e dalle sempre più inutili Province. Società per fare autodromi di Formula uno, per amministrare le eredità lasciate ai ciechi, perfino per comprare agenzie di pompe funebri dai privati. Imprese locali dai bilanci traballanti che sponsorizzano profumatamente squadre di basket. Aziende comunali per gestire casinò e gioco d’azzardo. Per non parlare dello Stato centrale. Dove in vent’anni si sono sperperati più di 5 miliardi dei nostri euro nell’Alitalia. Dove si resuscitano società morte e sepolte soltanto per piazzare amici e famiglie. E ne nascono di nuove a ritmo continuo: per distribuire soldi pubblici allo spettacolo, per fare la carta d’identità elettronica, per realizzare centri benessere, perfino per affidare consulenze senza gare. Il tutto con la presenza, incombente e oppressiva, della politica nelle imprese pubbliche: migliaia di posti da occupare nei consigli di amministrazione, manager scelti in base alle parentele partitiche e stipendi d’oro indipendenti dai risultati e dal merito. Dimenticatevi le liberalizzazioni e le privatizzazioni che avrebbero dovuto spazzar via la politica dal mercato e offrire servizi migliori e più economici ai cittadini. Sulla ricca carcassa del nostro Paese volteggiano avidi i Rapaci delle vecchie e nuove famiglie del potere.
Aerei di Stato che volano 37 ore al giorno, pronti al decollo per portare Sua Eccellenza anche a una festa a Parigi. Palazzi parlamentari presi in affitto a peso d'oro da scuderie di cavalli. Finanziamenti pubblici quadruplicati rispetto a quando furono aboliti dal referendum. "Rimborsi" elettorali 180 volte più alti delle spese sostenute. Organici di presidenza nelle regioni più "virtuose" moltiplicati per tredici volte in venti anni. Spese di rappresentanza dei governatori fino a dodici volte più alte di quelle del presidente della Repubblica tedesco. Province che continuano ad aumentare nonostante da decenni siano considerate inutili. Indennità impazzite al punto che il sindaco di un paese aostano di 91 abitanti può guadagnare quanto il collega di una città di 249mila. Candidati "trombati" consolati con 5 buste paga. Presidenti di circoscrizione con l'autoblu. La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua caricatura obesa e ingorda, sia diventata una oligarchia insaziabile e abbia allagato l'intera società italiana. Storie stupefacenti, numeri da bancarotta, aneddoti nel reportage di due famosi giornalisti.