Già dal titolo, si delinea l'intenzione di Vittorio Rombolà che mette a nudo la bestialità dell'uomo, attraverso la denuncia efferata del mondo criminale della cinomachia, una "zoomafia" fra le più crudeli. Ne scaturisce un romanzo che è una lucida testimonianza dalla quale l'uomo ne esce privo di dignità. Di fronte, infatti, a certe atrocità perpetrate nei confronti degli animali, non si può che provare vergogna per appartenere al genere umano, dolore per chi, indifeso deve subire tali insensati soprusi e, soprattutto, profonda indignazione per il fatto che si possa permettere tutto questo. Il racconto si costruisce sull'alternanza di vere e proprie inchieste che documentano scientificamente il business legato ai combattimenti fra cani, alla gestione di canili "lager" e allo "smercio" dei randagi e di sequenze narrative, pause riflessive, quasi liriche, nelle quali è lo stesso Ettore, "il meticcio di circa due anni" che diventa il protagonista e narratore delle umiliazioni, violenze e sopraffazioni alle quali il padrone lo sottopone e alle quali si sottomette docilmente perché lui, a differenza della "brava gente" che assiste ai suoi combattimenti, "sa amare"!