Nel suo percorso poetico, Paolo Ruffilli ha praticato strade diverse, sempre confermandosi in una coerente, limpida solidità di pronuncia pur nella varietà di tematiche e argomenti. Questo libro permette di seguirne il cammino per un arco di tempo pressoché quarantennale, trattandosi di un'opera unitaria composta a partire dagli anni Settanta, un ampio work in progress arricchitosi nel tempo. Un'avventura poetica ed esistenziale che prende il via con la metafora del viaggio e degli incontri che il viaggio offre, della quotidianità onirica e a volte sgradevole di chi comunque si trova «straniero tra la gente». Fino al ritorno, dal quale riparte la meditazione turbata sul senso delle cose e della vita, nelle incertezze e negli equivoci degli umani rapporti, tra vuoto, amore e violenza, mentre felicità «sempre si confonde / con la dissolvenza». Nel capitolo che dà titolo al libro, Ruffilli si muove a diretto contatto con gli oggetti di cui si popola la vita, e che si impregnano del nostro passaggio, trovando il senso non banale della loro presenza, si tratti del cappello o del bicchiere, della barca o di un diario, del letto o del libro. La sua fitta narrazione è affascinante, minuziosa, affabilissima, una sorta di insolito canzoniere dedicato a una realtà tanto essenziale nel vissuto quanto raramente indagata, come in queste pagine, con la concretezza maniacale dell'osservatore sensibile. Del poeta, appunto, che perlustra oltre la semplice superficie delle cose, e che qui prosegue con apparente orizzontalità il suo viaggio in un "atlante anatomico", dedicandosi alla bocca o alla caviglia come al cuore o al cervello, non senza ironia delicata, producendosi nell'esercizio acuto e antiretorico di un corpo a corpo con il corpo stesso. Nella sezione conclusiva, infine, il poeta pesca nelle profondità e negli anfratti del dire, nella formidabile, paradossale e «visionaria immaginosa verità» della parola, alla quale chiede risposte, ben sapendo, nella sua saggezza, che troppi interrogativi rimarranno inesorabilmente aperti.
"Rapido, lieve, ironico Ruffilli ha una grazia compositiva che sa fondere in sequenze unitarie dialoghi, racconto, immagini. Eppure, grazie alla orchestrazione dei ritmi, alla variazione dei toni, ai cambiamenti di andatura, le sequenze rivelano una natura musicale, una trasparenza lirica. E proprio attraverso la convergenza delle scelte espressive Ruffilli offre al problema dei generi non una nuova incognita, ma la felicità di una soluzione". (Giuseppe Pontiggia)
Attraverso le vicende biografiche di Ippolito Nievo, scrittore e garibaldino, questo romanzo conduce il lettore nel cuore del Risorgimento, dalla spedizione dei Mille alla proclamazione del Regno d'Italia. In queste pagine intense, ambientate in una Palermo sontuosa e lussureggiante, scorrono in parallelo la vita di uno dei maggiori scrittori della nuova Italia e il difficile processo di ricomposizione politica della nostra penisola. Su un intreccio narrativo di grande godibilità, il movimentato apprendistato sentimentale di Nievo si alterna agii scontri e agli ambigui compromessi che preparano la proclamazione dell'Unità sotto la corona dei Savoia, nel 1861, lo stesso anno della drammatica fine del protagonista. Quella di Nievo fu una vita breve: la penna di Paolo Ruffilli ne rievoca passioni romantiche, vitalità e slanci patriottici, amicizie e amori, esperienze letterarie e avventure politiche, nonché la morte tragica, realizzando un inedito ritratto a tutto tondo di un protagonista dell'Ottocento che appare uomo e scrittore di straordinaria modernità.
A Ruffilli poeta interessano tutti gli aspetti della vita e in particolare quelli segnati dalla sofferenza e dal male. E, per misurarsi con il Male, usa i suoi mezzi di sempre: il passo felpato e breve, un partecipe distacco, la cantabilità sommessa e antilirica. Soprattutto non si lascia condizionare dall'apparenza dei fatti, perché la realtà è sempre diversa da quello che appare, anche dentro le celle di un carcere e nella tirannica schiavitù della droga. Meno che mai si arrende di fronte all'ipocrisia, alle paure e all'"odio infinito" che la società riversa sui suoi sciagurati. Il procurare il male degli altri e il proprio, dentro l'enigma della vita, va considerato con più dubbi e meno certezze, al di là o dentro la necessità di amministrare la giustizia e di far rispettare la legge. Ruffilli, istintivamente, mette sempre in rapporto ciò a cui da voce con il contesto sociale in cui si muove e parla. E può darsi che sia l'effetto dell'inclinazione narrativa sulla sua vocazione di poeta. Ma è un fatto che, fuori da qualsiasi volontarismo, la sua poesia è sempre anche "civile".