Il motto che guidò l'esistenza di Consalvo di Cordova fu sempre "costruire e rinnovare"; un obiettivo condiviso da alcuni importanti esponenti del clan degli Enriquez, fra i quali spiccarono per ingegno la regina Giovanna di Napoli e il re Ferdinando d'Aragona. Due principi a capo di poderosi apparati amministrativi che ricercarono il modo di rinnovare lo Stato o che si facevano strada con complessi intrighi diplomatici nel dedalo di interessi creato dalla nobiltà; due principi impeccabili nella loro assoluta fede nei valori della modernità, in anticipo di una o due generazioni sulla propria, mossi da quell'impulso a perfezionare la propria personalità che lo storico svizzero Jacob Burckhardt attribuisce a una natura sì dominante, ma anche dotata sotto più aspetti, propria dell'uomo universale, ossia di una tipologia umana a suo avviso squisitamente italiana. Subito dopo la sua morte, numerosi italiani e spagnoli che l'avevano conosciuto di persona, o semplicemente per sentito dire, presero a narrarne la vita e le gesta. Iniziava così l'elaborazione del mito. Venne gettata luce su singoli dettagli nel comportamento di Consalvo durante la guerra di Granada o le campagne d'Italia. Il mito sorse da quegli stessi racconti e con una precisa intenzionalità politica. La passione moderna per la costruzione di un mondo si sovrappose all'opprimente destino della tragedia classica, per poi saldarsi con gli interessi dell'Impero spagnolo e degli Asburgo.