SE I SACERDOTI ASCOLTASSERO I LAICI…
Intervista a Valentino Salvoldi per Radio Vaticana
- “Ne scelse Dodici”. Il titolo del suo recente libro, e l’immagine dell’“Ultima Cena” in copertina, non lasciano spazio a equivoci. Si parla dei sacerdoti, ma in quale prospettiva?
Innanzitutto questo libro può essere utile non solo ai sacerdoti, ma anche ai laici. In particolare il primo capitolo, dove parlo del comune bisogno di “stare con Cristo”, della necessità di stare aggrappati a Lui e di continuare la formazione integrale fino al termine della nostra vita. Il testo è frutto dell’esperienza di tanti anni d’aggiornamento dei formatori del clero, soprattutto in Africa e in Asia. Si rivolge ai ministri ordinati: parlo del diacono permanente, che non deve essere una specie di sacrista o un addetto alla liturgia, ma al ministero della carità e dell’evangelizzazione. Parlo dei preti chiamati a essere collaboratori della gioia dei fedeli. Presento il vescovo come primo responsabile dell’evangelizzazione non solo della sua diocesi, ma di tutta la terra.
Come vede il sacerdote, oggi?
Sublime la sua originaria scelta di essere un dono per tutti, la sua consacrazione alla felicità umana, la sua determinazione a essere l’uomo di tutti e per tutti ministro di pace – plenipotenziario del Principe della pace –, la sua coscienza che farsi sacerdote «non significa mettersi una divisa fuori, ma un tormento dentro», accettando di diventare «il ministro della pazienza di Dio», disposto a essere «il più amato e il più odiato degli uomini, il più incarnato e il più trascendente, il fratello più vicino e l’unico avversario». E la sua grandezza consiste nel «lusso di poter amare tutti». È un uomo che rinuncia a fare l’amore per essere amore, ministro di un Dio che si definisce Amore.
In che senso vede il sacerdote come un uomo che “ha un tormento dentro”?
Si tratta del tormento di non essere santo e di essere lui stesso lontano dall’ideale che propone agli altri. Il tormento di vedere le chiese sempre più vuote…svuotate sia dal secolarismo, sia dal fatto che troppi cristiani non abbiano ancora compreso a fondo il mistero dell’eucaristia. Il tormento di sapere che nel mondo esistono cinque miliardi di persone che non hanno ancora sentito parlare di Cristo. Il tormento di essere circondato da pochi laici che, spesso, sono più “clericali” dei preti. Il tormento di non poter esercitare il ministero sacerdotale, perché richiesto di interessarsi di realtà che dovrebbero essere di competenza dei laici o dei diaconi permanenti. Il tormento di celebrare confessioni – per quei pochi che ancora si confessano – che non rispecchiano l’ideale proposto anche dal Vaticano II: “Confessione di lode”; “confessione della propria vita”; “Confessione di fede”…
In questa situazione, i sacerdoti che cosa dovrebbero fare?
Circondarsi di persone valide; ascoltare i laici, non gli “Yes men”, ma quelli che sanno essere voce critica, illuminata dall’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI; non essere autoreferenziali, come continua a ripetere papa Francesco.
- “Ne scelse Dodici”: che cosa comportò per gli apostoli questa scelta? Soprattutto, che cosa comporta ai “chiamati” di oggi?
La vocazione al ministero ordinato comporta la scelta di “stare con Gesù” per approfondire la conoscenza del Maestro, familiarizzare con la sua persona, amare la sua parola: i Vangeli. Ciò implica la capacità di desiderare il silenzio, scegliere il deserto (in ebraico “deserto” si dice “Midbar”: luogo della “Dabar”, la Parola), farsi aiutare nel discernimento della propria vocazione, studiare – e molto – perché una mezza scienza è pericolosa e allontana dal clero quanti si aspettano dall’uomo di Dio accoglienza, ascolto e coinvolgimento nel sacro. Si aspettano liturgie che non siano rappresentazioni, ma attualizzazioni del Mistero. Non un ricordo, ma un memoriale della morte e risurrezione del Signore. In ogni Eucaristia Cristo muore e risorge. E noi con Lui.
- Ci sono differenze tra la formazione sacerdotale impartita in Europa e quella proposta in Africa e in Asia, dove ha svolto gran parte del suo servizio sacerdotale?
Difficile fare paragoni per situazioni radicalmente diverse: in Europa i seminari si svuotano; i pochissimi seminaristi rimasti sono coccolati finché sono studenti, ma, diventati preti, sono abbandonati a sé stessi. Spesso sono soli e non pochi si sentono figli di nessuno. Nell’America Latina, che lamenta un’estrema scarsità di clero, si fanno esperimenti per formare i futuri preti non in seminari, ma nelle parrocchie, visitati periodicamente da formatori e docenti. L’Asia è impenetrabile alla nostra comprensione (ho visitato una dozzina di stati asiatici e non temo di riportare ciò che affermava un mio collega di Propaganda Fide: «Sono stato in missione per venticinque anni in Cina, e ho concluso che non ho capito nulla dei Cinesi»). In Africa i seminari sono stracolmi e abbisognerebbero di professori visitatori dall’Occidente. I preti africani, poi, avrebbero fin troppo da lavorare nella loro terra, prima di venire in Occidente a “tappare i buchi”. Non è una disgrazia se alcune parrocchie non hanno il parroco residenziale: la scarsità di preti europei potrebbe essere un’opportunità data ai laici di prendersi le loro responsabilità. Come battezzati, siamo tutti profeti, sacerdoti, re e missionari.
- In questo libro lei guarda alla crisi dei sacerdoti come a un “tempo di grazia”. In forza di che cosa può dirlo?
L’ideogramma cinese della parola “crisi” si legge: “opportunità”… Il credente sa che tutto è grazia e che lo Spirito Santo continua ad animare la Chiesa. Inoltre, Cristo ha affermato: «Le potenze degli inferi non prevarranno». Nel mondo il male non prevarrà sul bene. Questa la nostra fede: la crisi europea potrebbe convertirsi in un’opportunità per gli altri continenti.
- Ma il sacerdote ha rilevanza nella società di oggi?
Ovunque ho sperimentato che soprattutto i giovani avvertono la nostalgia di Dio. E se un uomo di Dio è disposto all’ascolto e al dialogo, la gente non guarda all’orologio quando parla con lui.
Ho vissuto questo in molti stati, incontrando gente lungo la strada e giovani anche nelle discoteche. L’avevo sperimentato pure in Russia, negli anni Settanta, quando l’ateismo veniva imposto dallo Stato. Ho visto che chi cerca di strappare Dio dal cuore dell’uomo, assieme a Dio gli strappa il cuore. Ma l’uomo di Dio può riaccendere la nostalgia dell’Eterno. Il comunismo è svanito, mentre la nostalgia di Dio è rimasta.
- «Non siate showman», ha raccomandato papa Francesco ai preti di Roma. E sempre a loro, lo scorso Giovedì Santo, ha ribadito: «Non siamo distributori di olio in bottiglia. Ungiamo distribuendo noi stessi». Si tratta di semplici richiami spirituali o è la richiesta di un cambiamento di vita?
Showmen: ho già detto che molti sacerdoti, sull’altare, fanno rappresentazioni e non attualizzazioni del Mistero. Il cambiamento di vita richiesto dal Papa consiste nel non essere ingessati, rigidi, formalisti. Se celebrassimo messe adatte per diverse categorie di persone e gruppi di età, se invece di guardare alle finanze della parrocchia facessimo vivere esperienze forti ai giovani (Terra Santa, santuari, deserto), allora ci sarebbe un vero rinnovamento. Non c’è bisogno di suggerire a un innamorato di andare a trovare la sua ragazza… Se le messe fossero vissute bene, dovremmo chiamare i vigili urbani a regolare il flusso dei fedeli in chiesa!
- Scegliere i poveri, le periferie, non è poi tanto facile da attuare, soprattutto per i sacerdoti più anziani! Richiede preparazione. Nei seminari c’è attenzione a quanto chiede papa Francesco?
Nei seminari dell’Occidente non manca nulla agli studenti; la loro situazione si ribalta dopo l’ordinazione. Nei numerosi seminari che di volta in volta visito, non manco di prospettare il tipo di formazione che ho ricevuto nel Seminario Romano, con i tre grandi amori: l’Eucaristia, la Madonna, il Papa (il tutto in una atmosfera di preghiera quasi monacale, silenzio e studio). Insisto poi sulla formazione permanente che dovrebbe essere più incentrata sulla vita spirituale, sull’amore al silenzio, sullo studio della Bibbia, della dottrina sociale della Chiesa e dei documenti ufficiali della stessa. Sarebbe interessante chiedere quanti abbiano letto, dell’esortazione apostolica Christus vivit, non la sintesi di Avvenire, ma il testo integrale… Sarebbe utile, infine, richiedere ai seminaristi di lavorare – almeno per tre anni – tra i poveri, nelle periferie, prima del diaconato. Qualcuno deciderà di uscire dal seminario? Non è una tragedia. Il mondo non ha bisogno di tanti sacerdoti. Non tanti, ma santi. Santi che siano collaboratori della gioia dei fedeli, come suggerisce san Paolo.
“Ne scelse Dodici…”. Per una formazione permanente del clero,
Editrice Rogate, Roma 2019
"Ovunque la vita è in pericolo, noi dobbiamo essere presenti per difenderla e salvarla": è l'intuizione forte e lucida che spinge Madre Teresa di Calcutta a mettersi al servizio della vita nascente e della vita al suo tramonto. Una tensione che ha attraversato tutta la sua esistenza e che invita tutti noi, credenti e non credenti, a fare altrettanto. Sul tema Salvoldi traccia un percorso di riflessione. Ogni capitolo si apre con una testimonianza di Madre Teresa in cui emerge la sua strenua difesa degli oppressi, dei miserabili e degli ultimi. Segue quindi il commento dell'Autore nel quale si riportano episodi attinenti dall'Antico e Nuovo Testamento e il pensiero ufficiale della Chiesa, espresso nelle più recenti dichiarazioni del Magistero.