Chi sono Yahweh, Dio, Allah, e le altre divinità del pantheon induista, o di quello greco, egizio? «Dio» sembra essere una presenza costante e nient’affatto monolitica, anzi multiforme e ricchissima di sfumature, nella vita dell’uomo. Cosa sono quindi le «religioni»? Cosa significa tracciarne una storia oggi, agli albori del secondo millennio? Quali sono le radici profonde del fondamentalismo, così prepotentemente attuale oggi, e dell’universalismo religioso? Che sfide devono affrontare le grandi religioni di massa nell’epoca della globalizzazione?
Sono domande cui Paolo Scarpi tenta di fornire una risposta, offrendo un’ampia panoramica che intreccia passato e presente, e che suggerisce molteplici punti di vista su temi apparentemente «intoccabili». Ma ciò che più preme all’autore, ancor prima che fornire risposte, è formulare le domande giuste, restituendo alle parole il loro significato più autentico: è quindi necessario rivedere il nostro stesso concetto di «religione», stabilire il peso dei filtri storici e sociali attraverso i quali osserviamo e viviamo il fenomeno religioso. Perché «si fa presto a dire Dio», basandoci su convinzioni e credenze tanto radicate da sembrare verità incontrovertibili e nient’affatto complesse. Al contrario, l’esercizio del dubbio e del pensiero critico si rivelano strumenti indispensabili anche per chi intende ricercare le tracce dell’eterno nella storia.
Già attribuita al «tre volte grande» («trismegistos», appunto) Ermes - il dio della scrittura, dell'astrologia e dell'alchimia che risulta dall'associazione, presente sin da Erodoto, della divinità greca con l'egizio Thoth - essa è ritenuta antica quanto se non più di Mose, e interpretata come prefigurazione del Cristianesimo. In realtà, la redazione dei testi sembra risalire ai secoli fra il I e il IV della nostra èra, mentre una parte, l'Asclepius - un trattato di magia che riporta le pratiche dei sacerdoti egizi - circola già nel Medioevo occidentale nella traduzione latina ritenuta di Apuleio. Ma nel 1460 l'originale greco giunge nelle mani di Cosimo de' Medici, che ordina subito a Marsilio Ficino di dimenticare Platone e dedicarsi al Corpus. Ficino completa l'opera nell'aprile del 1463 e riceve come compenso una villa a Careggi. Nel Seicento, la paternità e la vetustà dell'opera sono infine demolite, a colpi di filologia, da Isaac Casaubon. Per secoli, però, la sua influenza è fondamentale: da Pico della Mirandola a Hieronymus Bosch, da Pieter Bruegel a John Milton, da Giordano Bruno a Isaac Newton, e più tardi ancora sino a William Blake, artisti e intellettuali coltivano l'ermetismo. Ermete trova il suo posto persino sul pavimento del Duomo di Siena. Ed è certo difficile resistere al fascino della sua rivelazione segreta, nella quale teologia e cosmologia si mescolano allo studio dell'uomo e alla dottrina dell'anima, dove demonologia e astrologia si fondono.