L'Italia ha imparato a comprendere la sua scuola in termini che le sono profondamente ostili. È questo il lascito di don Milani. E sta qui il nucleo di un equivoco che accompagna il nostro discorso educativo dagli anni Settanta in avanti. Ebreo convertito al cristianesimo e prete in odio alla borghesia, che nella Chiesa aveva aperto un'aspra polemica in nome dei poveri, don Milani sembrò incarnare una potente richiesta di cambiamento. In una maniera che ha qualcosa di profondamente ironico, tuttavia, la cultura pedagogica italiana ha finito per restare impigliata nelle stesse contraddizioni in cui si dibatteva il suo eroe. Il fatto è che don Milani, figura del nuovo, sarebbe rimasto fedele fino alla fine all'antico, al messaggio di Cristo e alla Chiesa. E a ben vedere anche a una idea di borghesia come classe di cultura. A pensarci è sorprendente come una figura così complessa, piena di tante cose, ambigua, contraddittoria e indubbiamente carica di fascino sia stata poi ridotta al figurino senza spessore del pedagogismo nostrano. L'ideologia che nel nome di don Milani pretende di bandirne il messaggio finisce così per imprigionare il prete a Barbiana ma svuota contemporaneamente Barbiana di ogni significato.
In occasione della nuova edizione della Storia dell’educazione nell’ antichità delle Edizioni Studium, il grande testo del 1948, in una versione arricchita da una densa prefazione di Giuseppe Tognon, nell’ottobre del 2006 si è svolta all’Università degli studi di Bergamo, presso il Dipartimento di scienze umane e sociali, una giornata di studi dedicata ad Henri-Irénée Marrou. Il volume che proponiamo ne raccoglie gli atti, che ora vengono accompagnati da un saggio introduttivo del curatore, Adolfo Scotto di Luzio. Questo volume si propone di portare un contributo alla comprensione di alcuni dei temi cruciali e degli snodi attorno ai quali si organizza la sua biografia di studioso e di uomo di cultura.
Secondo l'autore la scuola 2.0 non solo non migliora la situazione attuale ma compromette ulteriormente le già precarie condizioni di partenza: demolisce l'uguaglianza scolastica approfondendo il divario tra chi possiede beni intellettuali e chi ne è privo; non influisce sui buoni risultati degli studenti che sarebbero tali anche senza il tablet. Un libro provocatorio sul tema dell'educazione come funzione principale della scuola, il cui obiettivo fondamentale deve rimanere la crescita consapevole degli individui.
Da affare di Stato per il bene di tutti, la scuola è diventata un rischio delle famiglie: quanto puoi spendere e quanti sacrifici sei disposto a fare per la carriera di tuo figlio? Per milioni di genitori l'istruzione ha assunto ormai i tratti di un ricatto venduto come un'opportunità di autorealizzazione. Sganciata da un legame vivo con la tradizione culturale, la scuola è diventata un oggetto altamente manipolabile, a disposizione di maggioranze politiche, burocrazie e interessi privati, di chi insomma ha la possibilità di far valere la propria volontà. Il libro indaga le radici di questo processo in Italia, Inghilterra e Stati Uniti. Con una proposta finale.