L'origine della musicalità che tutti avvertono in Sebald colta nelle tracce autobiografiche di questa piccola raccolta di prose e di versi: un'infanzia nella Germania postbellica, una giovinezza in cui vanno gemmando temi e Leitmotiv di un'intera opera.
Nel 1966, in procinto di lasciare la Svizzera per Manchester, Sebald mette in valigia i libri di tre scrittori destinati a segnare per sempre la rotta dei suoi incessanti viaggi letterari. Per questo, più di trent'anni dopo, sente di dover rendere a Gottfried Keller, Johann Peter Hebel e Robert Walser un personale tributo, assecondando ancora una volta "quello strano disturbo del comportamento che costringe a trasformare tutti i sentimenti in parole scritte e che, pur mirando alla vita, riesce sempre con sorprendente precisione a mancare il centro". In realtà, nel seguire in queste "note marginali d'una certa ampiezza" le tracce dei suoi autori prediletti - cui negli anni si sono aggiunti Rousseau e Mörike -, Sebald indaga le derive compulsive della scrittura, che finiscono per rendere chi ne è colpito il più inguaribile tra i "malati di pensiero". Ne riconosciamo gli effetti sul filosofo francese il quale, pur ravvisando "nell'uomo pensante un animale degenerato", arriva a prendere appunti persino sulle carte da gioco; su Walser, che conduce una silenziosa battaglia contro la folle grandiosità del suo tempo e compone in una grafia sempre più minuta, ai limiti del visibile, i leggendari "microgrammi"; e così su Keller, Hebel, Mòrike, la cui arte assomiglia al tentativo di esorcizzare, quasi fosse una maledizione, "il nero garbuglio che minaccia di prendere il sopravvento".
In quattro schegge di prosa, una Corsica di luce e fantasmi che nessuno ha mai visto. L'ultimo vagabondaggio, mai portato a termine, di Sebald.
Pellegrinaggio in Inghilterra recita il sottotitolo. E di un viaggio solitario si tratta, d'estate e per lo più a piedi, nel Suffolk, dove Sebald visse sino all'ultimo: in uno spazio delimitato da mare, colline e qualche città costiera, attraverso grandi proprietà terriere in decadenza, ai margini dei campi di volo dai quali si alzavano i caccia britannici per bombardare la Germania. Viandante saturnino («Nato sotto il segno del freddo pianeta Saturno» dice di sé nel poemetto Secondo natura), Sebald ci racconta - lungo dieci stazioni di un itinerario che è anche una via di fuga - gli incontri con interlocutori bizzarri, amici, oggetti che evocano le fasi di quella « storia naturale della distruzione » che scandisce il cammino umano e il susseguirsi degli eventi naturali. E ci racconta storie di altri vagabondaggi ed emigrazioni, di cui la sua vicenda personale è estrema eco: quelli di Michael Hamburger, poeta e traduttore di Hölderlin, profugo anche lui dalla Germania; di Joseph Conrad, che nel Congo conosce la malinconia dell'emigrato e l'orrore per le tragedie del paese di tenebra; di Chateaubriand, esule in Inghilterra; di Edward Fitz-Gerald, eccentrico interprete della lirica persiana, che a bordo della sua piccola imbarcazione trascorre ore in coperta, con indosso marsina e cilindro e un lungo, svolazzante boa di piume bianche intorno al collo. Pellegrinaggio e insieme labirinto, nella miglior tradizione sebaldiana: ma anche qui, a guidare scrittore e lettore, e a impedirne la cieca erranza, vi è un filo.
Piogge di fuoco divorante, mari tempestosi, ghiacci e rocce di un mondo vuoto di uomini, luci radianti, deserti combusti: con somma potenza di immagini, con il ritmo che il verso libero imprime a un linguaggio avvolgente, e in un costante intreccio di saperi (arte, scienze naturali, letteratura), Sebald ci offre nel poemetto "Secondo natura" - opera prima - un trittico che già contiene in nuce i caratteri della sua futura narrativa. I passeggiatori e gli emigrati dei romanzi e dei racconti sono già tutti qui prefigurati: la tragica vita del pittore Grünewald e di un suo misterioso doppio nella terrificante descrizione di opere come la pala d'altare di Isenheim; il viaggio dell'esploratore e medico settecentesco G. W. Steller alla scoperta, con Vitus Bering, dello stretto marino fra i ghiacci della Siberia e dell'Alaska; un'autobiografia, dalla nascita sotto le bombe, in un mattino di primavera, alle peripezie della famiglia e ai vagabondaggi europei, così simili a quelli di Jacques Austerlitz. "Secondo natura" è il primo dei tanti viaggi che Sebald ha intrapreso nei territori di una natura colta con sguardo snebbiato, nelle sue incessanti metamorfosi.
Quattro personaggi intrecciano negli "Emigrati" la loro vita con quella dell'autore: Henry Selwyn, brillante chirurgo e uomo di mondo, ritiratosi in tarda età nella torre di una casa della campagna inglese dove Sebald affitta in gioventù un appartamento; Paul Bereyter, promeneur walseriano e maestro elementare del futuro scrittore in una scuola di paese; il prozio Ambros Adelwarth, cameriere negli hotel di lusso di mezzo mondo e maggiordomo presso l'alta società; il pittore Max Ferber, compagno di lunghe conversazioni serali a Manchester. Quattro personaggi legati alle vicende del popolo ebraico, spaesati ed errabondi, di cui Sebald ripercorre il cammino andando in cerca di amici e testimoni, diari, documenti, ritagli di giornali, fotografie, cartoline, e intessendo come sempre parola e immagine fotografica - in un'investigazione che è anche indagine sul proprio sradicamento.
Nato in Germania, W. G. Sebald (1944-2001) è vissuto dal 1970 in Inghilterra, dove ha insegnato Letteratura tedesca contemporanea presso la University of East Anglia a Norwich. Tra le sue opere sono da ricordare: "Vertigini", "Storia naturale della distruzione", "Austerlitz". "Il passeggiatore solitario" è apparso per la prima volta nel volume "Logis in einen Landhaus".
Jacques Austerlitz è un professore di storia dell'architettura, studioso di quei luoghi che, soprattutto nell'Ottocento, tendevano ad assumere forme involontariamente visionarie. Alto, dinoccolato, molto somigliante a Wittgenstein cui lo accumuna un vecchio zaino che costantemente porta in spalla, Austerlitz vive a Londra in un appartamento spoglio, privo di affetti e povero di amicizie. Dietro la sua dottrina si spalanca il vuoto. Austerlitz semplicemente non sa chi è e a un certo punto si mette alla "ricerca delle proprie tracce". Il passato riemerge lentamente ed è lacerante: tutta la sapienza dell'autore sembra concentrarsi in questo itinerario di ricerca assolutamente angosciante.