Il paesaggio è il grande malato d'Italia: è devastato impunemente ogni giorno, sotto gli occhi di tutti, per il profitto di pochi. Ecco la diagnosi lucida e spietata da cui Salvatore Settis prende le mosse per analizzare il baratro che separa i principî di tutela del territorio, sanciti dalla Costituzione, dal degrado dello spazio che abitiamo. Un degrado che rappresenta anche una forma di declino complessivo nelle regole del vivere comune, reso possibile dall'indifferenza, dal malcostume diffuso e dalle leggi contraddittorie, aggirate con disinvoltura. Un'indagine che risale alle radici etiche e giuridiche del saccheggio del Bel Paese, per reagire e fare «mente locale» contro speculazioni, colpevole apatia e conflitti tra poteri. Una necessaria manifestazione di civiltà, per non sentirci fuori luogo nello spazio in cui viviamo. E per evitare che il cemento soffochi anche il nostro futuro.
Le distruzioni intenzionali di opere d'arte, l'incuria che affligge i monumenti e i paesaggi, il declino delle città storiche e il diffondersi dei ghetti urbani sono i multiformi segnali di una crisi che non è solo economica e politica, ma culturale. Stiamo disimparando a convivere con il nostro passato, a cui non sappiamo più guardare se non con nostalgia o con disagio. Per capire quel che sta accadendo, nessun osservatorio è più adatto di questa Europa sempre più disgregata, troppo spesso ridotta a progetto economico-politico in cui la cultura ha un ruolo gregario. Eppure, dall'eudaimonia di Aristotele al flourishing dell'odierna filosofia morale, la cultura è da sempre risorsa e motore dell'economia e della società, ma anche della democrazia, dell'uguaglianza, della giustizia. Partendo proprio dall'orizzonte europeo come intersezione fra opposti campi di forza (l'economia e la cultura, le identità nazionali e i flussi migratori, il passato e il futuro), Salvatore Settis affronta alcune idee vigenti di "cultura" e "culture", tra potenziali conflitti e possibili convergenze. Non soltanto quindi il lascito della civiltà greco-romana e della cultura rinascimentale, non soltanto la grande Mitteleuropa. È necessario un quadro più articolato e una maggiore consapevolezza delle "Europe" che compongono questa Europa. Una memoria culturale plurale è infatti il terreno di crescita di una creatività che non miri all'effimera felicità del successo: un sentimento che incardini l'individuo nella vasta comunità europea. A noi italiani va riconosciuto un merito, e spetta un compito. Riconoscendo ai cittadini il diritto alla cultura, la nostra Costituzione ha saputo guardare lontano: occorre farne tesoro ed espandere questa idea fino a contagiare l'Europa intera.
Dove corre il confine fra «paesaggio» e «città»? E come giudicare o indirizzare gli interventi sull'uno e sull'altra, o la continua crescita delle periferie? Devono prevalere i valori estetici (un paesaggio da guardare) o quelli etici (un paesaggio da vivere)? L'architetto è il mero esecutore dei voleri del committente, anche quando vadano contro l'interesse della collettività, o deve mostrarsi attento al bene comune? Sfidare i confini difficili fra città e paesaggio, decostruire i feticci di un neomodernismo conformista (il grattacielo e la megalopoli) e le sue conseguenze (i nuovi ghetti urbani) vuol dire tentare il recupero della dimensione sociale e comunitaria dell'architettura. In un paesaggio inteso come teatro della democrazia, l'impegno etico dell'architetto può contribuire al pieno esercizio dei diritti civili. Diritto alla città, diritto alla natura, diritto alla cultura meritano questa scommessa sul nostro futuro.
Si approfondirà ancora il baratro fra i principî della Carta fondamentale e le pratiche di governo? Nella Costituzione troviamo scritti la sovranità popolare, il diritto al lavoro, alla salute, alla cultura, il precetto di orientare l'economia e la proprietà secondo il principio supremo dell'utilità sociale (cioè del bene comune). Troviamo un orizzonte dei diritti dei cittadini, non ancora pienamente attuato, per cui possiamo dire con Calamandrei che «lo Stato siamo noi». Lo Stato, non i governi. Perché i governi hanno fatto il contrario: hanno smontato lo Stato, ridotto lo spazio dei diritti, svenduto le proprietà pubbliche, anteposto il profitto delle imprese al pubblico interesse. Dobbiamo essere con lo Stato in nome della Costituzione, anche contro i governi che non la rispettino e vogliano, anzi, distorcerla con improprie manovre. Dobbiamo misurare i drammi dell'economia sul metro della Costituzione, cercarvi soluzioni rivolte al bene comune, principio supremo che informa ogni sua parola.
In tre modi muoiono le città: quando le distrugge un nemico spietato, quando un popolo straniero vi si insedia con la forza, o quando perdono la memoria di sé. Venezia può morire se perde la memoria, se non sapremo intenderne lo spirito e ricostruirne il destino. Fragile, antica, unica per il suo rapporto con l'ambiente, Venezia si svuota di abitanti, e intanto è bersaglio di innumerevoli progetti, che per "salvarla dall'isolamento" ne uccidono la diversità e la appiattiscono sulla monocultura di una "modernità" standardizzata, riducendola a merce, a una funzione turistico-alberghiera. Il caso di Venezia, emblematico, permette a Salvatore Settis un ragionamento universale: dall'Aquila a Chongqing - città della Cina che è passata dai 600.000 abitanti del 1930 ai 32 milioni di oggi - mutamenti frenetici imposti da ragioni produttive e di mercato violano il contesto naturale e lo spazio sociale, mortificano il diritto alla città e la democrazia.
Indignarsi non basta. Contro l'indifferenza che uccide la democrazia, contro la tirannia antipolitica dei mercati dobbiamo rilanciare l'etica della cittadinanza. Puntare su mete necessarie: giustizia sociale, tutela dell'ambiente, priorità del bene comune sul profitto del singolo. Far leva sui beni comuni come garanzia delle libertà pubbliche e dei diritti civili. Recuperare spirito comunitario, sapere che non vi sono diritti senza doveri, pensare anche in nome delle generazioni future. Ambiente, patrimonio culturale, salute, ricerca, educazione incarnano valori di cui la Costituzione è il manifesto: libertà, eguaglianza, diritto al lavoro. La comunità dei cittadini è fonte delle leggi e titolare dei diritti. Deve riguadagnare sovranità cercando nei movimenti civici il meccanismo-base della democrazia, il serbatoio delle idee per una nuova agenda della politica. Dare nuova legittimazione alla democrazia rappresentativa facendo esplodere le contraddizioni fra i diritti costituzionali e le pratiche di governo che li calpestano in obbedienza ai mercati. Ricreare la cultura che muove le norme, ripristina la legalità, progetta il futuro. Serve oggi una nuova consapevolezza, una nuova responsabilità. Una forte azione popolare in difesa del bene comune.
I danni al paesaggio ci colpiscono tutti, come individui e come collettività. Uccidono la memoria storica, feriscono la nostra salute fisica e mentale, offendono i diritti delle generazioni future. L'ambiente è devastato impunemente ogni giorno, il pubblico interesse calpestato per il profitto di pochi. Le leggi che dovrebbero proteggerci sono dominate da un paralizzante 'fuoco amico' fra poteri pubblici, dai conflitti di competenza fra Stato e Regioni. Ma in questo labirinto è necessario trovare la strada: perché l'apatia dei cittadini è la migliore alleata dei predatori senza scrupoli. E necessario un nuovo discorso sul paesaggio, che analizzi le radici etiche e giuridiche della tradizione italiana di tutela, ma anche le ragioni del suo logoramento. Per non farci sentire fuori luogo nello spazio in cui viviamo, ma capaci di reagire al saccheggio del territorio facendo mente locale. La qualità del paesaggio e dell'ambiente non è un lusso, è una necessità, è il miglior investimento sul nostro futuro. Non può essere svenduta a nessun prezzo. Contro la colpevole inerzia di troppi politici, è necessaria una forte azione popolare che rimetta sul tappeto il tema del bene comune come fondamento della democrazia, della libertà, della legalità, dell'uguaglianza. Per rivendicare la priorità del pubblico interesse, i legami di solidarietà che sono il cuore e il lievito della nostra Costituzione.
I danni al paesaggio ci colpiscono tutti, come individui e come collettività. Uccidono la memoria storica, feriscono la nostra salute fisica e mentale, offendono i diritti delle generazioni future. L'ambiente è devastato impunemente ogni giorno, il pubblico interesse calpestato per il profitto di pochi. Le leggi che dovrebbero proteggerci sono dominate da un paralizzante 'fuoco amico' fra poteri pubblici, dai conflitti di competenza fra Stato e Regioni. Ma in questo labirinto è necessario trovare la strada: perché l'apatia dei cittadini è la migliore alleata dei predatori senza scrupoli. È necessario un nuovo discorso sul paesaggio, che analizzi le radici etiche e giuridiche della tradizione italiana di tutela, ma anche le ragioni del suo logoramento. Per non farci sentire fuori luogo nello spazio in cui viviamo, ma capaci di reagire al saccheggio del territorio facendo mente locale. La qualità del paesaggio e dell'ambiente non è un lusso, è una necessità, è il miglior investimento sul nostro futuro. Non può essere svenduta a nessun prezzo. Contro la colpevole inerzia di troppi politici, è necessaria una forte azione popolare che rimetta sul tappeto il tema del bene comune come fondamento della democrazia, della libertà, della legalità, dell'uguaglianza. Per rivendicare la priorità del pubblico interesse, i legami di solidarietà che sono il cuore e il lievito della nostra Costituzione.
Come funziona il laboratorio della creazione artistica nell'Italia del Rinascimento? Qual è il gioco delle parti fra artista, committente, «consiglieri» e «amici» dell'uno e dell'altro? Quale il loro rapporto col pubblico? Queste le domande che Salvatore Settis, nel saggio che dà il titolo a questo volume, apparso nel 1981 negli Annali della storia d'Italia Einaudi, pone a numerosi artisti, da Giorgione a Mantegna, da Leonardo a Leon Battista Alberti, da Michelangelo a Vasari. Un insieme di casi concreti, guardati da vicino con l'ausilio di contratti, lettere e altri documenti contemporanei, consente di descrivere e analizzare le pratiche socio-culturali che articolano il rapporto committente-artista, esplorandone le dinamiche ed evidenziandone le costanti. Settis mette cosí a fuoco la distribuzione dei ruoli nel processo di creazione di un'immagine, ma anche il progressivo accrescersi dello spazio operativo dell'artista, il suo impadronirsi dell'«invenzione» che all'origine faceva parte dell'«intenzione» del committente. Tre saggi su Giorgione (fra cui una nuova interpretazione della Pala di Castelfranco) chiudono il cerchio, tornando a un artista il cui rapporto con la committenza è, per la scarsezza di documentazione diretta, oggetto di studio particolarmente stimolante.
Corredato di un ricco apparato iconografico, rivisto e arricchito di nuove riflessioni e di una postfazione di Antonio Pinelli che ne riprende e sviluppa i temi, questo volume è un prezioso sussidio per guardare «dietro» le immagini, per intendere il variegato gioco di interazioni artista-committente da cui sono nate.
Dalle sabbie dell'Egitto è emerso un sorprendente rotolo di papiro, che contiene una porzione della perduta "Geografia" di Artemidoro di Efeso (II seeolo a.C.), una carta geografica non finita e due serie di disegni, di animali e di figure umane. Quando e come si può datare il reperto? In che rapporto fra loro stanno testo, mappa, primo e secondo gruppo di disegni? Perché le foto all'infrarosso mostrano numerose impronte speculari del testo e dei disegni? Che base hanno i dubbi che qualcuno ha sollevato sulla sua autenticità? Con quali strumenti si affronta, tra archeologia, papirologia, filologia e storia dell'arte antica, un documento così inatteso? Questo libro ripropone, in breve e con linguaggio accessibile, la storia del Papiro di Artemidoro dalla scoperta all'acquisto da parte della Compagnia di San Paolo di Torino, alle analisi fisico-chimiche, paleografiche, bibliologiche e contestuali che consentono di datarlo entro il I secolo d.C., alle nuove conoscenze che esso apporta agli studi classici. Emergono il recupero di un testo perduto ma di autore identificabile, una mappa che è a oggi la più antica che sia giunta dal mondo greco-romano, e infine le due serie di disegni che ripropongono con forza il tema delle pratiche di bottega degli artisti antichi, fra vari generi del disegno: di repertorio, di progetto e di esercizio. I disegni del Papiro di Artemidoro aprono così una nuova stagione di studi, una nuova provincia delle ricerche sulla storia dell'arte antica.