Eskandar ha solo sei anni quando si arrampica per la prima volta sulla montagna, proibita come molte altre cose nel suo villaggio senza nome. Proibita perché al di là di quella vetta ci sono i kafar, gli infedeli, strani esseri dalla pelle bianca e senza barba.
«Gli spiriti malvagi che vivono tra le rocce, la prossima volta ti divoreranno», urla il mullah. E il mullah sa bene come incutere paura. Anche il capo del villaggio senza nome, che è tanto curvo che senza bastone cadrebbe in avanti, lo ammonisce: «Lo sai che Dio non ama i bugiardi e li punisce».
“Ma non c’è più alcuna punizione che Dio possa ancora infliggerci”, pensa Eskandar, guardando il letto del fiume secco da tanto, troppo tempo. E allora indica la montagna con il braccio disteso, e si gode l’istante in cui tutti gli occhi seguono il suo dito. «È vero», dice poi, «giuro sulla mia vita che sono stato lì!»
Allora tutti fanno silenzio. «Lascia che il ragazzo racconti», dicono. È vero che vivono in un villaggio senza donne? È vero che i loro capelli sono gialli?
«Gli stranieri hanno parole diverse dalle nostre», riprende Eskandar. «E scorte così abbondanti che persino ai cani danno da mangiare la carne. Non coltivano i campi, non si occupano degli animali, per tutto il giorno non fanno altro che scavare buchi nella terra.» Solo quando tutti smettono di ridere, risponde alla domanda più importante. «Sì, hanno l’acqua», dice. «Così tanta che addirittura ci si lavano i piedi.»
Da quel giorno, Eskandar tornerà molte volte sulla montagna proibita. Fino a quando uno degli stranieri non lo accoglierà, e farà di tutto affinché il ragazzo possa avere una nuova speranza.
Dalla corte del Khan all’occupazione britannica e russa, dal regime dello Shah Pahlewi alla rivoluzione khomeinista, nell’indimenticabile racconto di Siba Shakib la lunga vita di Eskandar diventa l’odissea di tutto un Paese.
Aveva pregato con tutte le sue forze che fosse un bambino. Suo marito, il giovane e valoroso comandante, non avrebbe potuto sopportare l’affronto di una femmina. Daria lo sapeva bene, e sapeva anche quale punizione poteva essere inflitta nel suo villaggio alle donne che non erano in grado di partorire un primogenito maschio.
Eppure aveva fallito. Era nata Samira, una bambina. Lo aveva capito subito, aveva letto la sua colpa sul volto amareggiato dell’uomo che amava e che la amava. L’uomo era sconcertato. Perché proprio a lui? Cosa avrebbero pensato i suoi soldati, cosa avrebbero detto al villaggio quando la notizia fosse giunta? Non era possibile. E così aveva deciso: la bambina sarebbe stata cresciuta come un maschio. Sarà Samir.
Sulle montagne dell’Hindu Kush, in Afghanistan, Samir impara a cacciare, ad andare a cavallo, a sparare. A credere ciecamente a suo padre, che venera come un dio. E quando il comandante viene ucciso in un combattimento, gli uomini del villaggio non hanno dubbi: anche se non è che un ragazzino, Samir dovrà diventare la loro guida.
Ma quando la natura giungerà a reclamare ciò che le spetta, l'artificio così a lungo alimentato inizierà a vacillare. Sarà allora che Samira inizierà la sua lotta per rimpossessarsi della propria vita e del proprio destino.
Aveva pregato con tutte le sue forze che fosse un bambino. Suo marito, il giovane e valoroso comandante, non avrebbe potuto sopportare l’affronto di una femmina. Daria lo sapeva bene, e sapeva anche quale punizione poteva essere inflitta nel suo villaggio alle donne che non erano in grado di partorire un primogenito maschio.
Eppure aveva fallito. Era nata Samira, una bambina. Lo aveva capito subito, aveva letto la sua colpa sul volto amareggiato dell’uomo che amava e che la amava. L’uomo era sconcertato. Perché proprio a lui? Cosa avrebbero pensato i suoi soldati, cosa avrebbero detto al villaggio quando la notizia fosse giunta? Non era possibile. E così aveva deciso: la bambina sarebbe stata cresciuta come un maschio. Sarà Samir.
Sulle montagne dell’Hindu Kush, in Afghanistan, Samir impara a cacciare, ad andare a cavallo, a sparare. A credere ciecamente a suo padre, che venera come un dio. E quando il comandante viene ucciso in un combattimento, gli uomini del villaggio non hanno dubbi: anche se non è che un ragazzino, Samir dovrà diventare la loro guida.
Ma quando la natura giungerà a reclamare ciò che le spetta, l'artificio così a lungo alimentato inizierà a vacillare. Sarà allora che Samira inizierà la sua lotta per rimpossessarsi della propria vita e del proprio destino.
Shirin-Gol ricorda ancora le montagne dell'Indu Kusch non devastate dalle bombe. Viveva, da bambina, in uno sperduto villaggio di montagna a cui era stato dato il nome di "Dolce Fiore" e la sua vita pareva già fissata. Poi arrivarono i russi e iniziò una guerra stupida che si portò via padri, fratelli, mariti. Da allora Shirin-Gol non ha smesso di fuggire: dalla fame, dalla miseria, dalla negazione dei più elementari diritti umani, dai soldati dell'Armata Rossa, dai Mujahedin, dai Talebani, da decenni di efferate faide fratricide che hanno devastato l'anima del suo paese. Data in moglie a quattordici anni per onorare un debito di gioco ha dato alla luce i suoi figli, ha lottato per la sua famiglia, ha imparato a leggere, a scrivere, a pensare. Siba Shakib, regista e documentarista, racconta da anni la vita del popolo afgano e la condizione delle donne: dalla sua esperienza nei campi profughi è nato questo libro che mostra perché, da sempre, il fanatismo religioso è terrorizzato dalla serena forza delle donne.