Le strade roventi popolate da orde di mendicanti, da cortei funebri, da bande militari tedesche che incedono con grande strepito, dai temuti Ussari della morte che sfilano in tutto il loro minaccioso splendore, da individui affamati e senza casa che si aggirano con espressione apatica, indifferente. Il gigantesco cantiere sulla Vistola dove gli operai - russi, ebrei e polacchi si sfiancano assonnati e indolenziti, perennemente sovrastati dal fragore delle onde, dal rombo dei macchinari, dal ruggito delle voci che sbraitano in varie lingue. È la Varsavia che accoglie Binyamin Lerner, reduce da nove mesi sul fronte galiziano nella fanteria dello zar. E più che mai deciso a sopravvivere, anche a prezzo della diserzione, a conquistare il suo destino in un mondo divelto dalle fondamenta: a contrastare, acciaio contro acciaio, l'inesorabile violenza della Storia. Una violenza che Singer ha vissuto sulla propria pelle e nella quale - mentre seguiamo Binyamin dal vertiginoso caos di Varsavia a una comune agricola in Polesia e infine a Pietroburgo, cuore della Rivoluzione - ci sprofonda, letteralmente, con la prodigiosa maestria che i molti lettori della Famiglia Karnowski hanno imparato a conoscere.
Chi è l'uomo, assente e impenetrabile, che alla domanda "Chi sei?" dei settanta rabbini appositamente convenuti a Nyesheve dalle grandi città della Polonia russa e della Galizia risponde solo, con voce remota: "Non lo so"? Il sensibile, delicato Nahum, genero dell'onnipotente Rabbi Melech ed esperto di Qabbalah, tornato pressoché irriconoscibile a Nyesheve dopo quindici anni di un misterioso errare? O, come invece sostengono i nemici di Rabbi Melech, il più miserabile e deriso dei mendicanti di Bialogura, Yoshe il tonto, che per placare una spaventosa epidemia è stato unito in matrimonio a Zivyah, la figlia idiota dello scaccino? È un asceta, un santo, degno di succedere all'ormai anziano rabbino di Nyesheve e di guidare i hassidim, o un peccatore, uno spergiuro? Mai la comunità ebraica è stata tanto lacerata e divisa - al punto da istituire un tribunale che risolva il caso -, mai ha conosciuto una così sanguinosa faida, quasi che le sue sorti fossero appese all'esile filo di una vacillante identità e di un incomprensibile vagabondare. E mai come in quest'uomo l'impossibilità di decidere del proprio destino, l'esilio - da se stessi, anzitutto -, l'angosciosa ricerca di una patria inesistente hanno trovato una più arcana, struggente, memorabile incarnazione.
Joshua cresce nel villaggio ebraico di Leoncin, nell'odierna Polonia: la sua vita scorre tra estenuanti studi ebraici, regole severe e voglia di ribellione. Suo padre ha un animo ingenuo, è convinto che "Con l'aiuto di Dio, tutto andrà bene"; la madre, intelligente e brontolona, deve rimediare alle sue catastrofi. E poi c'è il nonno che passa la vita a scovare nuovi divieti; c'è il rabbino che cerca i derelitti più poveri e sporchi per accoglierli nella sua casa; ubriaconi e santi, cristiani che un giorno minacciano di sterminare tutti i figli di Israele e il giorno dopo vanno da loro alla ricerca di un buon affare; insomma, c'è tutta la vita di un mondo che per noi è perduto per sempre. Da un mondo che non c'è più è un'opera diversa dalle precedenti di I.J. Singer: in questo testo, più che negli altri, l'autore ci fa sentire il peso opprimente e confortante della Torah; ci presenta le superstizioni delle donne, il coraggio e le piccole meschinità degli uomini. Personaggi che restano impressi nella memoria, episodi semplici e indimenticabili, racconti di vita privatissima e universale. Introduzione di Moni Ovadia.
In questo volume sono raccolte alcune tra le opere più significative di uno dei maggiori autori della cultura ebraica. Quattro romanzi che raccontano un mondo ormai svanito, complesso eppure semplicissimo, poetico e vibrante di vitalità. "Yoshe Kalb" ci presenta un uomo ammantato di mistero, tonto mendicante per alcuni, per altri santo asceta, degno di diventare rabbino. La rivalità tra Jacob Bunim e Simcha Meyer è il filo conduttore de "I fratelli Ashkenazi", uno scontro che si prolunga per decadi, mentre sullo sfondo Lódz da borgo polacco si trasforma in città industriale. "La famiglia Kàrnowski" ci offre il ritratto di tre generazioni di ebrei, inseriti nella società tedesca ma minacciati dal nazismo sempre più cupo e pericoloso. Infine in "Da un mondo che non c'è più", opera autobiografica incompiuta pubblicata postuma, si narra del piccolo Joshua: il suo villaggio gli pare "schiacciato dal peso della Torah"; è costretto a studiare i testi sacri, mentre preferirebbe correre nei prati e giocare. Se la storia del ventesimo secolo, con la follia dei totalitarismi e la frenesia del progresso, ha travolto il mondo descritto in questi capolavori, le parole di Israel Joshua Singer per sempre manterranno vivo il loro patrimonio unico di persone, idee, sapienze e costumi. Introduzione di Moni Ovadia.
Come definireste una storia lineare, inventata, che racconta vita, morte (non sempre) e miracoli di una persona dalle caratteristiche precise: aspetto, età, abitudini, problemi matrimoniali, figli, credo religioso, professione o mestiere? Possiamo definirla romanzo, vero? Ma se sono soltanto quaranta pagine, o trenta? Allora la si definisce racconto. Però se il piacere che si prova leggendola è lo stesso di quando si legge un tomo di quattrocento pagine qual è la differenza? Soltanto la lunghezza. Ciascuna di queste storie si svolge in uno shtetl polacco, prima della seconda guerra mondiale, un villaggio intercambiabile, riconoscibile essenzialmente dal protagonista, di volta in volta diverso, ma abitato da una serie di personaggi descritti con tanta precisione che si possono subito individuare quando riappaiono in un altro racconto, magari in veste di protagonisti. C'è, per esempio, Hirsch Leib che, dopo aver condotto a destinazione il bestiame a lui affidato dai commercianti locali, non vede l'ora di tornare da moglie e figli per festeggiare la Pasqua ebraica, e si trova davanti la Vistola, ghiacciata sì, e quindi attraversabile, ma battuta da una inaspettata pioggia primaverile che rischia di rompere la superficie solida del fiume. Ci riuscirà, o dovremo dire vita, miracoli... e morte? Ogni racconto un romanzo, ogni villaggio un mondo, ogni protagonista un personaggio, e una pletora di vivacissimi ritratti di contorno, così caratterizzati, in poche righe, da diventare indimenticabili.
Sono tutte in lacrime, le cameriere ebree del Praga, alla vigilia delle nozze del padrone: certo, hanno sempre saputo che lui andava a letto con tutte, "eppure ognuna era convinta in cuor suo che con lei si sarebbe comportato in modo diverso ... l'avrebbe portata via dalla cucina per sistemarla dietro al bancone e metterla alla cassa a contare il denaro". Ora, però, che nell'annuncio affisso in vetrina c'è scritto, nero su bianco, che "in onore del felice e fortunato matrimonio del proprietario di questo ristorante, Sender Prager, con la sua fidanzata, Edye Barenboim" i poveri del quartiere riceveranno un piatto di crauti e salsicce, hanno perso ogni speranza. Si è fidanzato all'improvviso, "quell'uomo solido e vigoroso, dagli occhi lucenti e dai capelli neri impomatati": perché all'improvviso, a quarantaquattro anni, ha avuto paura della vecchiaia e della solitudine. Così, lui che delle donne non si è mai fidato, si è lasciato indurre dal suo rabbi a sposare quella ragazza di buona famiglia hassidica che ha la metà dei suoi anni e lo guarda "con i suoi grandi occhi neri impauriti". "Dio del cielo," implorano le cameriere "fagli pagare la nostra umiliazione...". Al lettore scoprire, in questo magnifico e crudele racconto lungo del fratello "più talentuoso" di Isaac B. Singer (come ha scritto Harold Bloom), se Colui che tutto può le ascolterà.
Decisamente, il piccolo Yehoshua non è portato per la santità: le preghiere infinite del padre, i libri di morale della madre, l'onnipresenza della Torah che pesa "come un macigno" sulla sua famiglia, quel mondo in cui è attribuita più verità alle fiamme dell'inferno che alla natura circostante e agli uomini concreti che la abitano - tutto ciò suscita in lui solo una sensazione di soffocamento e accende un grande desiderio di fuga. Yehoshua anela ai pascoli, ai cavalli, ai giochi nei campi con i coetanei; alle letture della Bibbia preferisce le storie di ladri, briganti, soldati, vagabondi; ama usare sega e pialla nella bottega del falegname piuttosto che stare rinchiuso ore e ore a scuola, sottoposto alla dura disciplina dei maestri, e mal sopporta la tirannia del senso del peccato: "Qualsiasi cosa uno facesse era peccato. E ovviamente essere sfaccendati era peccato". Eppure, da questi irriverenti ricordi d'infanzia, che Singer ripercorre con la precisione e la brillantezza di una scrittura come sempre magistrale, traspare la nostalgia immedicabile per un mondo, quello dello shtetl, che ancor prima che il nazismo ne sancisse la definitiva cancellazione era già avviato al dissolvimento; di questo mondo, popolato da studenti di Talmud, macellai rituali, rabbini, artigiani, mendicanti, scaccini zoppi, maestri folli e scolari riottosi, Singer ci consegna un ritratto così vivido che ci pare di udirne le voci, di percepirne gli odori - e quasi saremmo tentati di scrollarcene di dosso la polvere.
Mattes Ritter è un venditore ambulante che percorre le campagne della Polonia barattando cianfrusaglie con cibo, pelli e qualche spicciolo. Per poi tornare al suo villaggio, alla sua capanna e alla sua famiglia per il Shabbath. La moglie, Sara, è stremata dalle gravidanze e dalle fatiche domestiche. Non ci si stupisce quindi che nella nascita di un figlio maschio, Nachman, Mattes riponga le speranze di una vita, deciso a fare del piccolo un dotto e stimato rabbino. Quando però Nachman viene sedotto da Hannah, e dalla sirena non meno potente del credo socialista, le speranze di Mattes cominciano a svanire. Ancora di più quando la bella, intelligente a avventurosa figlia Sheindel, rimane incinta di un soldato russo, costringendo tutta la famiglia a trasferirsi nella grande città. Dove l'altra figlia, Reisel, incontra un destino ancora peggiore. A Mattes, chiamato a combattere nella prima guerra mondiale, resta solo un desiderio, che si porta dietro scritto su un pezzetto di carta: alla morte, venire sepolto come un ebreo. Ma anche questa speranza finirà in una fossa comune. Nachman, diventato un agitatore socialista, finirà nelle prigioni polacche, e poi, rilasciato, inseguirà il suo sogno in terra sovietica, accolto a braccia aperte solo dal Commissariato del Popolo per gli Affari Interni. Di nuovo arrestato e poi rilasciato con l'aiuto di Daniel, un leader socialista polacco, verrà alla fine espulso dal paradiso sovietico e si troverà a vagare nella terra di nessuno tra il confine russo e quello polacco.
«... un capolavoro, al quale auguro un grande successo. La famiglia Karnowski è un grandioso romanzo che racconta la storia di tre generazioni ebraiche, dal 1860 al 1940. Gli eventi trascorrono: i personaggi crescono, maturano, si avvicinano alla morte; tutto è corposo e robusto, mentre dall'alto Israel Singer guarda le cose con uno sguardo sovrano e imperturbabile».
Pietro Citati
Chi è l'uomo, assente e impenetrabile, che alla domanda "Chi sei?" dei settanta rabbini appositamente convenuti a Nyesheve dalle grandi città della Polonia russa e della Galizia risponde solo, con voce remota: "Non lo so"? Il sensibile, delicato Nahum, genero dell'onnipotente Rabbi Melech ed esperto di Qabbalah, tornato pressoché irriconoscibile a Nyesheve dopo quindici anni di un misterioso errare? O, come invece sostengono i nemici di Rabbi Melech, il più miserabile e deriso dei mendicanti di Bialogura, Yoshe il tonto, che per placare una spaventosa epidemia è stato unito in matrimonio a Zivyah, la figlia idiota dello scaccino? È un asceta, un santo, degno di succedere all'ormai anziano rabbino di Nyesheve e di guidare i hassidim, o un peccatore, uno spergiuro? Mai la comunità ebraica è stata tanto lacerata e divisa - al punto da istituire un tribunale che risolva il caso -, mai ha conosciuto una così sanguinosa faida, quasi che le sue sorti fossero appese all'esile filo di una vacillante identità e di un incomprensibile vagabondare. E mai come in quest'uomo l'impossibilità di decidere del proprio destino, l'esilio - da se stessi, anzitutto -, l'angosciosa ricerca di una patria inesistente hanno trovato una più arcana, struggente, memorabile incarnazione.