Così come produciamo la storia collettiva, veniamo da essa modellati. La fondatrice della "psicologia geopolitica clinica" sviscera questo assunto nei conflitti che segnano il nostro tempo e dispiega il metodo per curare le patologie provocate dagli scontri tra etnie, culture e civiltà. Si tratta di disturbi che non sono riducibili alle abituali problematiche della prima infanzia ma legati alla dimensione politica. Per esempio, nella Prima guerra mondiale la percentuale di civili sul numero totale dei feriti e dei morti fu del 5 per cento. Mentre nella Seconda guerra mondiale questa percentuale era salita al 50 per cento. E nel 1996 il numero di civili feriti o uccisi nelle guerre e nei conflitti contemporanei aveva raggiunto il 96 per cento del totale. La psicologia geopolitica clinica, nata dall’etnopsichiatria, analizza e costruisce soluzioni concrete relative alle patologie che emergono nei luoghi di interfaccia o collisione fra i mondi. Pensare e trattare i disturbi psicologici, culturali, politici e sociali direttamente legati alle violenze collettive, alle nuove migrazioni planetarie, alle trasformazioni ideologiche e tecnologiche e alle recalcitranze che esse inevitabilmente generano, diventerà una delle principali sfide delle pratiche cliniche contemporanee.