“All’inizio c’era un albero, un albero d’autunno – senza più foglie
ma con dei piccoli frutti gialli per gli uccelli d’inverno.
E già nevicava …
… poi c’erano le nuvole: strane, non autunnali, estive piuttosto.
Il cielo era scuro, cupo, si udivano dei tuoni.”
“Sarebbe stato innaturale operare delle distinzioni rigide tra le diverse parti del libro, dividendolo in “segmenti”, mentre è piuttosto utile seguire il ‘sentiero di circolazione’ della lettura sulla mappa generale. Per questo il libro comincia con Alexandra, per poi proseguire con i racconti brevi che introducono note relative alla storia, alla guerra e ai ricordi familiari – alla base della poetica e della visione del mondo di Sokurov, esposte poi nei Diari e quaderni di lavoro –, fino ad arrivare agli Appunti per delle lezioni di filosofia, i quali per il tono poetico rimandano più allo stile recondito dei diari che ad un essai di intento filosofico-estetico. Da questa prosa intima l’autore conduce poi il lettore alle Elegie, seguite da una specie di “lettera a se stesso” intitolata Il mio posto nel cinema. Il libro si conclude infine con il frutto delle riflessioni su Ejzenstejn, i cui disegni servono in realtà a Sokurov come spunto per rileggere di nuovo il mondo e l’arte, oltre che se stesso. In questo modo il lettore, condotto dalle steppe cecene alle silenziose stanze del Cremlino fino alle isole giapponesi, può avvertire la vita pulsante dello spirito dell’autore e diventare testimone di come egli si senta in questo mondo – immergendosi nell’intimità dei suoi diari e delle memorie, e superando così l’apparente non-fluidità di un’opera non omogenea.”
Dalla Postfazione di Alena Shumakova