"Cogito ergo sum", penso dunque sono. Questa frase, scritta nel 1637 dal filosofo francese René Descartes, è ancora oggi una delle asserzioni più citate nella filosofia occidentale. Una delle grandi lezioni che ci ha dato la biologia del ventesimo secolo è che l'affermazione è errata per due ragioni. In primo luogo, Descartes è ricorso a questa frase per sottolineare la separazione che secondo lui esisteva tra la mente e il corpo: oggi, invece, i biologi ritengono che le attività della mente nascano da una parte specializzata del nostro corpo: il cervello. Sarebbe pertanto più corretto riformulare la frase invertendola: "Io sono, dunque penso". La seconda ragione, più importante, è che noi non siamo ciò che siamo semplicemente perché pensiamo, ma perché abbiamo la capacità di ricordare ciò che abbiamo pensato. Ogni nostro pensiero, ogni parola pronunciata e ogni azione intrapresa - in definitiva il senso del proprio io e il senso del legame con gli altri - li dobbiamo alla nostra memoria, alla capacità del cervello di ricordare e di immagazzinare le esperienze. La memoria è il collante che consolida la nostra vita mentale, l'impalcatura che sorregge la nostra storia personale e ci permette di crescere e di cambiare nel corso della vita. Negli ultimi trent'anni vi è stata una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda le conoscenze sulla memoria e sui processi che si svolgono nel cervello quando apprendiamo e ricordiamo.