La mano di Mingzhi scorre rapida sulla carta di riso, tracciando con destrezza segni curvi e decisi. Somigliano ai pesci dello stagno, quando saltano fuori dall'acqua e si avvitano in aria, da una parte e dall'altra, come spiriti liberi. Liberi come Mingzhi vorrebbe essere. In qualità di primo nipote del potente e temibile Chai, il suo destino è segnato sin dalla nascita: sarà lui a ereditare i vasti possedimenti del nonno. Idealista e sensibile, è tuttavia estraneo agli intrighi che serpeggiano nella sua famiglia. Desidera affrancarsi dalle rivalità e dalle gelosie che segnano i confini della dimora paterna, respirare un'aria non contaminata dall'odore nauseabondo dei papaveri da oppio delle piantagioni familiari. Crescendo, comincia quindi a mettere in discussione quella pesante eredità e si rende conto che l'unica strada per l'indipendenza è quella dello studio e del sapere. Quella che farà di lui il più giovane mandarino di tutta la Cina. Ma è la fine dell'Ottocento, l'epoca in cui l'impero vacilla, e sul suolo cinese dilagano le potenze occidentali che bramano di impossessarsi di una fetta d'Oriente. In qualità di alto funzionario di quell'impero, Mingzhi è il depositario della sua tradizione millenaria. Eppure, dentro di sé sente nascere la curiosità per quelle culture diverse, e per una lingua che lo affascina nonostante lo costringa a storcere labbra e occhi. Una passione pari solo a quella per una fanciulla dalla veste di seta azzurra, scorta un giorno tra la folla e mai dimenticata.