Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-1957) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo le otto parti del Gattopardo, ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo di recente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, è stato possibile ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del 1955, che come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione "ci schiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del suo capolavoro". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo. Ma il racconto più celebre della raccolta è "La sirena" (precedentemente con il titolo "Lighea"), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, spicca il vecchio professor La Ciura, che da giovane conobbe l'amore della Sirena e non potè più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", dei tre racconti il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene fosse nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo del quale ha mantenuto il titolo.
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-1957) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo le otto parti del "Gattopardo", ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo di recente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, è stato possibile ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del 1955, che come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione "ci schiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del suo capolavoro". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo, perfetto di tono e di misura. Ma il racconto più celebre della raccolta è "La sirena" (precedentemente con il titolo "Lighea", imposto dalla vedova dell'autore), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, spicca un personaggio formidabile: il vecchio professor La Ciura, che da giovane conobbe l'amore della Sirena e non potè più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", dei tre racconti il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene fosse nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo del quale ha mantenuto il titolo.
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-57) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo gli otto capitoli del "Gattopardo", ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo recentemente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del '55, che, come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione, "ci dischiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del 'Gattopardo'". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo, perfetto di tono e di misura. Ma il racconto più celebre della raccolta è senza dubbio "La Sirena" (precedentemente con il titolo imposto dalla vedova dell'autore, "Lighea"), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, si accampa un personaggio formidabile: il vecchio professor La Cura, il quale, da giovane, conobbe l'amore della Sirena, e non poté più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", che, dei tre racconti, è il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene sia nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo, del quale ha mantenuto il titolo. Introduzione di Gioacchino Lanza Tomasi.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico. È di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso del regime, mentre già incalzano i tempi nuovi. Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo ci offre un'immagine della Sicilia viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica, politica e letteraria contemporanea. (Durata: 10 ore e 6 minuti).
Don Fabrizio, principe di Salina, all'arrivo dei Garibaldini sente inevitabile il declino e la rovina della sua classe. Approva il matrimonio del nipote Tancredi, senza più risorse economiche, con la figlia di Calogero Sedara, un astuto borghese. Don Fabrizio rifiuta però il seggio al Senato che gli viene offerto, ormai disincantato e pessimista sulla possibile sopravvivenza di una civiltà in decadenza e propone al suo posto proprio il borghese Calogero Sedara.
Tra il 1925 e il 1930, Giuseppe Tomasi di Lampedusa viaggiò molto. Soggiornò nelle capitali europee. Scoprì la "mite bellezza" di Parigi e la "bonomia" riposante della "diletta" Londra. Ma anche il "fascino perverso" ed enigmatico di una Berlino livida e "crudelmente" metropoli. Fece sosta nelle città degli studi. Visitò cattedrali, castelli, parchi. Percorse paesaggi già abitati dalla letteratura. Indugiò nei musei. Frequentò salotti, esposizioni, e sale cinematografiche; luoghi di severa etichetta e locali di ricreazione: di tutto curioso, persino dei più tenui accadimenti, allegri o affranti. I suoi itinerari attraversarono l'Austria, la Svizzera, il Tirolo. Toccarono il Baltico. Lampedusa era trentenne. E viaggiava immerso nella letteratura europea, con una portatile biblioteca di studiate citazioni. Il suo stesso viaggio si consumava in letteratura. Scriveva in Sicilia ai cugini Piccolo, a Lucio poeta e a Casimiro pittore. E le lettere, tra bozzettismo e divertimento burlesco, tendevano a darsi una linea di continuità; e a progettarsi come la macchinazione romanzesca di un "Mostro" immane, di invadente stazza e di scandalosa curiosità: "mostruosamente" goloso e insidioso, nonostante le sue innocue galanterie di morigerato signore. Lampedusa ci teneva a dare di sé un'immagine spettacolare.
Don Fabrizio, principe di Salina, all'arrivo dei Garibaldini sente inevitabile il declino e la rovina della sua classe. Approva il matrimonio del nipote Tancredi, senza più risorse economiche, con la figlia, che porta con sé una ricca dote, di Calogero Sedara, un astuto borghese. Don Fabrizio rifiuta però il seggio al Senato che gli viene offerto, ormai disincantato e pessimista sulla possibile sopravvivenza di una civiltà in decadenza e propone al suo posto proprio il borghese Calogero Sedara.