La nostra vita è ricca di ritualità e rappresentazioni: ricorriamo a pratiche performative per mostrarci, raccontarci e "metterci in scena" quotidianamente. È così che facciamo esperienza del mondo e lo riproduciamo, interpretandolo e riscrivendolo. Victor Turner si chiede se l'esperienza può tornare a essere un momento di verità e di incontro: per riaffermare una soggettività che si riscopra padrona del proprio destino, al di là della macrofisica del dominio che l'ha estromessa da ogni possibilità di gestione collettiva. Ritrovare il senso di un'esperienza così concepita ci è più che mai necessario, oggi che il rumore di fondo si fa assordante e nulla si fissa e si deposita, gli accadimenti più insignificanti vengono trasformati in "eventi", navigare rimanda solo a Internet e la memoria che conta è quella del nostro smartphone.
Tema dominante del volume è il dramma sociale, il dramma del vivere quale fonte di tutte le pratiche performative espressive. L'autore utilizza la performance come griglia interpretativa per penetrare quelle che chiama le fenomenologie "liminoidi", ossia le fasi di passaggio da situazioni sociali e culturali definite ad altre aggregazioni e fornire così una lettura delle dinamiche sociali. Spazia dal teatro giapponese No al carnevale brasiliano, dalle pratiche cerimoniali dell'Umbanda alle performance etnografiche recitate dai suoi studenti dell'università della Virginia. L'ultima parte del volume tenta un innesto tra neurobiologia e antropologia, per coniugare reciprocamente processi mentali e processi culturali.