Il titolo “Canti ultimi” suggerisce proprio con l’inversione dell’aggettivo una sorta di messaggio escatologico, l’attesa dei “Novissimi”, lo svelamento degli estremi misteri, dall’ignoto di un Dio qui colto nell’inedita rappresentazione della sua sofferenza per un Male scaturito, suo malgrado, dalla sua stessa Volontà che paradossalmente non può scongiurarlo.
David Maria Turoldo e Loris Francesco Capovilla, due uomini che hanno scommesso la loro vita sul vangelo al servizio della Chiesa, partecipi delle vicende della società e attenti ai bisogni
degli “ultimi”.
Due uomini che hanno attraversato il Novecento, accomunati nel loro credo, nell’aver capito la “svolta” del Concilio ecumenico vaticano II e l’indicazione giovannea dei “segni dei
tempi”, uniti nel loro amore per la Parola, ma anche per la poesia, la cultura. Due uomini chiaramente diversi, ma che hanno condiviso la passione per l’annuncio, una sensibilità autentica
nelle modalità per portarlo agli uomini del loro tempo e per testimoniare, di fatto, la loro quotidiana esperienza di cristianesimo, incarnandola nella storia del “secolo breve”.
Il presente epistolario “a due voci” è formato da cinquantasei testi in larga parte autografi: diciannove inviati da Turoldo a Capovilla, trentasette da Capovilla a Turoldo, risalenti al periodo
1963-1991.
«L'amore, come passione, non ha un carattere determinato: nel superbo diventa esigente e tirannico, nel sensuale diventa bizzarro e incostante, nell'egoista diventa materiale e volgare, nel geloso diventa cupo e sospettoso, nel sensibile diventa timido e delicato». Nei primi anni Sessanta, David Maria Turoldo sta ideando una trilogia di film sul Friuli. Per mettere nero su bianco la sceneggiatura recluta un giovane che scrive a macchina velocemente. Si chiama Carlo Santunione: ha terminato il noviziato e ha fatto la professione solenne per diventare religioso. Il loro accordo di collaborazione deve rimanere segreto perché il Sant'Uffizio tiene Turoldo sotto osservazione.Come compenso, il giovane chiede di poter trascrivere di tanto in tanto commenti alla liturgia che il poeta friulano detta all'impronta con «quelle braccione che remavano nel vuoto della stanza» e «quel vocione che violentava il silenzio». Quelle parole che «vibravano di sublime teologia calata nella realtà della vita», rimaste inedite per oltre mezzo secolo, vengono ora riproposte in forma integrale.
Gli scritti qui raccolti appartengono agli ultimissimi mesi, in certi casi agli ultimissimi giorni, della vita di padre Turoldo; un manoscritto in prosa, quello che qui compare come ultimo rispettando la cronologia dei testi, porta in tal senso la certificazione autografa dell’amico e confratello padre Camillo de Piaz.
Le strutture portanti di molti di questi testi sono da ricondurre alla riflessione biblica, con anche momenti di straordinaria tensione linguistica.
Già pubblicati nel quaderno n. 84 (novembre-dicembre 1992) di Servitium, sotto il titolo «David M. Turoldo, frate dei Servi di santa Maria», sono stati ripresi dall’amico e massimo conoscitore della poesia turoldiana Giorgio Luzzi per un volume pubblicato da Rizzoli nel 2002 con il titolo: Nel lucido buio, da molti anni però indisponibile. La presente nuova edizione, mutato il titolo con un’altra espressione poetica turoldiana, Un luminoso vuoto, intende perciò colmare una lacuna, e particolarmente nella ricorrenza del centenario della nascita del poeta.
I colori dell'amore (l'amore difficile di Dio e quello affaticato dell'uomo) sono i protagonisti di questo volume, che attraversa tra poesia e riflessione il percorso biblico della storia di una salvezza che si dà solo nella relazione con l'altro e con l'Altro. Dall'amicizia alla sponsalità, dalla carità alla preghiera appassionata, padre David conduce il lettore in un cammino rapsodico, in cui ogni pagina, ogni punto si ricollega a un altro. E, in fondo, alcune pagine ritrovate: pagine pubblicate sulle riviste paoline alla fine degli anni Ottanta e che rischiavano la dimenticanza, ma che rilette a distanza di trent'anni si ripresentano potenti, attualissime, provocatorie: come quelle sul Qohelet, o come la preghiera nella "notte del credere", che conclude questo libro, aprendo a una nuova ripartenza in cui fede e disperanza non sono distanti, ma si intrecciano lungo il cammino dei giorni. Uno dei più grandi successi di Turoldo arricchito da pagine inedite.
Prendendo spunto dalle parabole della misericordia secondo Luca, Turoldo riflette lungamente sul tema dell'amore di Dio: di un Dio che è "infelice" per non vedere pienamente realizzata la felicità dell'uomo oggetto del suo amore. Un libro in cui meditazione e passione si intrecciano, silenzio e grido si compongono. A distanza di decenni dalla sua prima edizione, vale ancora presentare questo volume con le parole di un grande critico letterario, Geno Pampaloni: "Una fervida contraddizione fa da sottofondo a questo ricchissimo libro e a tutta l'opera di padre Turoldo. Da un lato, il canto di gloria a Dio ("Dio d'amore, o fonte di gioia / vogliamo offrirti un inno di grazia"); dall'altro il sentimento penitenziale, l'umiltà, l'invocazione al silenzio. Da un lato l'illusione umana di "raggiungere l'infinito", anche con "le parole più grosse e sonanti"; dall'altro la consapevolezza che Cristo è "premuroso di non tradire l'infinito". Da un lato la sintesi, l'entusiasmo e la gioia della riconoscenza; dall'altro, l'umiltà di quella riconoscenza".
I Salmi messi in ritmo, per poter meglio essere utilizzati all'interno del percorso liturgico comunitario: questo il senso di un salterio moderno, fedele allo spirito del testo. Un classico dell'orazione contemporanea che pesca nella tradizione più feconda. Un testo dedicato "a tutti gli uomini che amano la poesia, che riflettono sul mistero dell'esistere e del morire, che sperano e si indignano, insomma, che vivono da uomini... si sono volute offrire centocinquanta chiavi per l'ingresso nelle stanze del Salterio. Ora tocca al lettore di entrare e sostare".
Un percorso profondamente meditato attraverso l’anno liturgico, riletto come dovrebbe essere, un tutt’uno che compenetra la vita personale e quella ecclesiale; un percorso esistenziale prima ancora che rituale, in cui avvento, quaresima, tempo di Pasqua e giorni “ordinari” scandiscono il ritmo della vita umana e credente. Un Turoldo assorto e dedicato completamente al commento della parola di Dio, intesa però sempre come freccia che giunge precisa a colpire i nostri giorni, il nostro tempo. A distanza di quarant’anni da quando furono pronunciate, queste omelie svelano ancora oggi tutta la loro attualità, che è la medesima dell’annuncio evangelico. Poiché, come si chiede padre David stesso, in apertura del libro: «In quale anno, mese, giorno? Nessuno può fissare una data, sia pure approssimativa, nessuno può segnare un confine di tempo e di spazio all’azione divina... Il calendario di Dio non combacia con quello dell’uomo. Tu puoi attardarti dietro a mille programmi, distribuire secondo gli anni le tue speranze... Ma un giorno egli verrà. Verrà. Questa la promessa certa, definita, anche se è incerta l’ora, il minuto».
Dialogo tra cielo e terra raccoglie i testi omiletici che padre David ha scritto negli ultimi anni della sua vita. L'antologia di brani arriva fino al 1992, anno che lo vide mancare all'affetto dei fratelli e dei fedeli che continuavano a frequentare la sua predicazione. Le meditazioni attraversano l'anno liturgico e sono un continuo incrociarsi dei temi cari a Turoldo e della proposta cristiana. Quello che emerge da queste pagine è un padre David più pacificato con il mondo e in lotta con l'esperienza della malattia.