La strage di piazza Fontana apre il periodo più buio e sanguinoso della storia italiana recente, quello segnato dalla strategia della tensione. A cinquant'anni dall'eccidio, Angelo Ventrone prova a collocare quel disegno eversivo in una cornice storica più ampia, che non comprende solo l'Italia. I primi progetti volti a rovesciare l'assetto politico esistente con la pretesa di «salvare il Paese» dalla sovversione emergono infatti già all'inizio del Novecento. Ogni volta che all'orizzonte si profilano trasformazioni sociali importanti, del resto, si propagano la sfiducia nelle procedure del sistema parlamentare, l'insofferenza verso i compromessi imposti dal pluralismo e il timore che il Paese si snaturi, perda la propria identità. È proprio allora che affiora la tentazione di fare un passo indietro e sconfessare i valori della democrazia, accusata di non essere in grado di gestire quelle trasformazioni. Una circostanza di grande attualità, che Ventrone affronta delineando il quadro delle riflessioni e delle prospettive che guidano l'azione degli eversori, così come le loro modalità operative. Dalla Grande Guerra al Ventennio fascista, dal secondo dopoguerra al Sessantotto e alla sotterranea opposizione a ogni svolta politica che veda la sinistra assumere responsabilità di governo, fino ai progettati e mai realizzati golpe anticomunisti, l'autore ci accompagna lungo una strada nella quale attentati, stragi, insabbiamenti, depistaggi e omissioni si rivelano lo strumento primario di un disegno indirizzato a tenere in perenne stato di allarme la popolazione e far sentire la sinistra, identificata con il nemico interno, sempre sotto scacco. La dettagliata ricostruzione della traiettoria eversiva e l'individuazione della composita schiera dei soggetti impegnati in queste trame - non solo i nostalgici del fascismo e gli anticomunisti più irriducibili, ma anche ampi settori dei servizi segreti, politici di primo piano, esponenti delle istituzioni, alti gradi dell'esercito e delle forze dell'ordine - portano a galla la domanda che tutti gli eversori si sono dovuti porre e che Indro Montanelli ha efficacemente sintetizzato: «Difendere la democrazia fino ad accettare, per essa, la morte dell'Italia; o difendere l'Italia fino ad accettare, o anche affrettare, la morte della democrazia?». I registi della strategia che ha puntato a destabilizzare l'ordine pubblico per stabilizzare l'ordine politico, convinti di essere gli unici rappresentanti della «vera» Italia, hanno evidentemente scelto la seconda strada.
In questo volume - qui presentato in una nuova edizione integralmente rivista - i due maggiori partiti del dopoguerra, Democrazia cristiana e Partito comunista, sono studiati in quanto centri di partecipazione e di educazione politica, luoghi di formazione di grandi passioni collettive, elementi capaci di dinamizzare ima società civile ancora prevalentemente statica, disorientata dalla guerra e dalla fine dell'esperienza fascista. Il loro intenso sforzo propagandistico e l'impegno volto a radicarsi nella società attraverso organizzazioni a carattere economico, assistenziale, culturale, ricreativo, sportivo hanno contribuito alla costruzione di uno spazio politico nazionale e alla creazione, per la prima volta in Italia, di una democrazia a partecipazione di massa. Ma dall'analisi emerge anche come il ruolo svolto da comunisti e cattolici nei primi anni del loro operato abbia sostanzialmente ostacolato lo sviluppo di un'identità nazionale forte, anomalia di cui ancora oggi si misurano gli effetti.
Uno degli strumenti della lotta politica in Italia lungo tutto il '900 è stata l'intensa attività di propaganda caratterizzata da un alto tasso di violenza tanto nel linguaggio che nelle immagini. Con la Prima guerra mondiale infatti, accanto alla figura ovvia del nemico esterno è comparsa quella del nemico interno, disfattista, sabotatore e quant'altro, tutto dedito a tramare alle spalle dei compatrioti. Questo volume ripercorre l'evoluzione di questa figura attraverso più di 200 immagini che riproducono manifesti, volantini, vignette, locandine, cartoline e tutto ciò che lo storico ha ricercato negli archivi pubblici e privati per ricostruire una storia della lotta politica lunga un secolo.
Quali sono le origini di quella radicalizzazione della lotta politica che portò in Italia dapprima a una stagione di intensa violenza e poi all'avvento del fascismo? Dove andare a cercare le radici di quella propensione totalitaria di cui si è alimentata la storia italiana per una parte importante del Novecento? La tesi di questo libro è che fu la grande guerra il punto di coagulo di una deriva totalitaria che in qualche modo interessò l'intero campo della lotta politica. Nel corso della prima guerra mondiale, nacque e si diffuse in Italia una nuova mentalità politica, dal carattere "rivoluzionario" e, per non pochi aspetti, "totalitario".