Dall'autoritratto dello scrittore, tratteggiato attraverso lo sguardo e le parole del gatto di casa, al recupero di un diario anonimo della vita di trincea nella Grande Guerra; dal beffardo eppur pietoso ritratto di un federale fascista alla bizzarra e poetica costruzione del museo Guatelli di Ozzano Taro, per finire con l'ossessione di un uomo che ha perduto i genitori nei campi di sterminio nazisti. La memoria è il filo rosso che attraversa, tra autobiografia e invenzione, questi racconti di Marcello Venturi: nelle paure ricorrenti e nelle piccole e grandi manie, nel riaffiorare di documenti che riaccendono la luce su storie dimenticate e sollecitano l'immaginazione, nella convivenza con ferite che non si rimarginano ancora dai tempi della guerra e della Shoah. Non si pensi però a un libro chiuso nei toni nostalgici: l'ironia, anche quella rivolta verso se stesso, cede il passo talvolta al disincanto; e un certo aspro disamore, sorretto da una forte e incessante passionalità, aggredisce la noncuranza e la distrazione dell'attuale società: non potrebbe essere diversamente per chi, come Venturi, colloca la memoria all'altezza del cuore.