Il 13 marzo 1824, a soli 42 anni, moriva dopo una vita travagliata e mai felice, Maria Luisa di Spagna, ultima duchessa di Lucca, rampolla di una potente famiglia vituperata dalla storia: i Borbone. Fecero parte delle sue radici e della sua esistenza città di straordinaria bellezza, Napoli del padre e Parma materna, Madrid sua culla, Firenze del suo primo Regno, Lucca preziosa, patria degli ultimi suoi anni, Roma che le chiuse per sempre gli occhi. Napoleone Bonaparte mise le mani nella vita di Maria Luisa e gliela rese invivibile, amara, dura. Le diede e tolse regni, le negò ascolto, la fece prigioniera, la privò dei figli, la usò, la derise, la rese infelice. Maria Luisa lo odiò, ma resistette. E ne vide la fine. In Europa, con il Congresso di Vienna, Austria Inghilterra Prussia e Russia decidevano le sorti dei popoli. Maria Luisa dopo tanto soffrire e peregrinare aveva in cuore il desiderio di trovare pace e regno; voleva Parma, i lucchesi volevano la Repubblica. Tuttavia propria a Lucca profuse ogni suo sforzo in un progetto politico di buongoverno ispirato alla saggezza, alla clemenza e alla prosperità della cultura e delle arti.
Nell?anno di Pistoia capitale italiana della Cultura, una nuova biografia di una Pistoiese illustre. Una Italiana, una scrittrice come poche altre. «Raccogliermi l?anima e tenerla in fronte come la lampada dei minatori: nient?altro che una particolare attenzione, in virtù della quale le cose escono da un?ombra che le preserva, un?ombra fermentante, faticosa, bruta, l?ombra dell?attimo che precede una nascita, per entrare in un cerchio di chiarità». Delle cose la scrittrice Manzini cattura un?immagine frantumata e distorta, bislacca quanto il riflesso dello specchio. Però, come lo specchio, alle cose aggiunge un luccichio sepolto, dietro l?apparenza sorprende la realtà. La ricerca espressiva è ardimentosa. I libri procedono per approssimazioni, sospensioni e dilatazioni dell?intreccio; sperimentano la costruzione del racconto secondo angolature e piani diversi, il continuo spostamento del fuoco narrativo. «Certamente la Manzini», ha scritto Giacomo Debenedetti, «è riuscita e riesce a pronunciare parole che, fino all?attimo precedente, avevamo creduto impronunciabili. [...] In tal modo [...] ci può descrivere un visibile che anche noi dovremmo vedere, ma da soli non vedremmo mai».