"Se è vero che nella vita Verlaine coltivò l'illusione della totalità nell'amore e nella fede religiosa, tutt'altra cosa è 'Romanze senza parole', dove l'immedesimazione nella natura e la ricerca di un'armonia tra soggettività e alterità non porta mai a negare la crisi, la pena, la finitudine. Dunque un'immedesimazione cercata non per identificarsi, ma per perdersi. Così in queste raccolte di poesie si può scorgere l'animazione della natura, che si esprime con tanti lievi segni, e che ripropone questa alternanza di appropriazione ed esclusione, di appartenenza ed estraneità." (Dall'Introduzione di Cesare Viviani)
"Non è difficile, aprendo a caso questo volumetto postumo di Verlaine, pubblicato per la prima volta poco più di un secolo fa, nel 1907, e in realtà composto intorno agli anni Ottanta del XIX secolo, ritrovare lo stesso clima, incandescente ed enfatico - degno più dell'apocalittico Commodiano che di un indignato Giovenale (un "Giovenale cristiano", come ebbe a scrivere Jacques Borel nel volume della Plèiade) -, che aveva dato vita ai componimenti di "Sagesse" (1881). Fin dall'esordio, Verlaine svela la sua unica Musa: la mistica Francia, monarchica e cattolica, la Francia di Luigi IX e di Giovanna d'Arco, alla quale si sono abbeverati tanti dei più impetuosi, e generosi, scrittori francesi del suo secolo, da Chateaubriand a Joseph de Maistre, da Barbey d'Aurevilly a Leon Bloy. Una Francia, nondimeno, che pare ai suoi occhi non esistere più, e per questo - confessa subito l'autore - ormai "quasi impossibile da amare", spazzata via dai colpi di troppe Rivoluzioni, tutte fondate (non pare già di sprofondare in una pagina febbrile, frastornante, apocalittica, di un Céline?) su un unico principio: organizzare il caos e regolarizzare l'anarchia. Eccola, la Francia che Verlaine denuncia, nel capitolo iniziale di questo libro, con la prosa irruente e tumultuosa di chi ha ritrovato, dopo i traviamenti della giovinezza, enfin, una fede: empietà, scetticismo, demagogia, opportunismo." (Giancarlo Pontiggia)
"Se è vero che nella vita Verlaine coltivò l'illusione della totalità nell'amore e nella fede religiosa, tutt'altra cosa è 'Romanze senza parole', dove l'immedesimazione nella natura e la ricerca di un'armonia tra soggettività e alterità non porta mai a negare la crisi, la pena, la finitudine. Dunque un'immedesimazione cercata non per identificarsi, ma per perdersi. Così in queste raccolte di poesie si può scorgere l'animazione della natura, che si esprime con tanti lievi segni, e che ripropone questa alternanza di appropriazione ed esclusione, di appartenenza ed estraneità" (Dall'Introduzione di Cesare Viviani).
Verlaine nasce poeta ma, nonostante questo aspetto predominante della creazione letteraria, fin dagli inizi della sua carriera si è rivolto anche alla prosa. "Histoires comme ça" è una raccolta di novelle che verrà pubblicata soltanto nelle opere postume del 1903: si tratta di racconti che si sviluppano sul filo dell'autobiografia e della fiction, popolati da personaggi reali, ma anche provenienti dal mondo delle favole e della tradizione letteraria precedente. In questi scritti Verlaine dimostra non soltanto di sapersi muovere all'interno dello spazio testuale della novella, ma anche di riuscire a inserire questi racconti in una cornice solida e coerente.