Chi vede il castello di Rossena, sulle pendici dell'Appennino reggiano, a baluardo di quello di Canossa, luogo emblematico dell'aspro scontro fra papa Gregorio VII e l'imperatore Enrico IV, con la mediazione sottile della "gran contessa" Matilde, intuisce al meglio la straordinaria complessità della figura di Giuseppe Dossetti, la vera e propria aporia che essa costituisce nella storia politica ed ecclesiale del XX secolo. È anche per questo che i giovani dossettiani "più ingenuamente affezionati" che, nell'agosto del '51, preso atto con sgomento della decisione del carismatico leader e vicesegretario della DC, di sciogliere la corrente che portava il suo nome, scelsero quelle colline con grande malinconia e con un irrimediabile bisogno di creare un mito: quello del "dossettismo politico". Devono passare quarant'anni perché Pierluigi Castagnetta possa animare il primo dibattito sulla vitalità di quel mito. Nessuno poteva immaginare che, di lì a poco, dal '94 al '96, ci sarebbe stata un'altra "stagione civile" di Dossetti, a difesa della Costituzione, una delle concause di una nuova stagione della politica italiana.