L'incontro tra Simone Weil e alcuni testi della Grecia antica, innanzitutto l'Iliade, Platone, i pitagorici e i tragici, ha segnato uno dei picchi del secolo scorso. Nulla di quanto la luce della sua mente ha raggiunto è rimasto immutato. In particolare i Vangeli, come se la via regale per capirli non passasse da Gerusalemme, ma da Atene. Il verbo come mediatore, il sovrannaturale e l'innaturale, la bellezza del mondo, il giusto punito, la sventura: sono alcuni dei temi che Simone Weil tratta in questi scritti, non più nella forma altamente condensata dei quaderni, ma in una trattazione distesa, come chiarendo in primo luogo a se stessa le sue abbaglianti intuizioni.
Il periodo trascorso a Marsiglia tra il 1940 e il 1942, in attesa di imbarcarsi per gli Stati Uniti, rappresenta per Simone Weil una stagione di fioritura delle amicizie e un momento di straordinaria ricchezza e fecondità del pensiero e della scrittura. Il numero di lettere inviate a familiari e amici è impressionante, ma quel che più stupisce è la maniera in cui la sincerità degli affetti si coniuga con la ricerca della verità, che si va facendo sempre più pura e assoluta. Di questa continua vibrazione interiore dà testimonianza la prima parte di questo libro che ricostruisce la complessa esperienza culturale e sentimentale vissuta a Marsiglia, proponendo le lettere che Simone invia a due amici, con i quali la parola scritta si offre come l'unico strumento di conoscenza reciproca. Sono Joë Bousquet, il poeta di Carcassonne, paralizzato in seguito alle ferite riportate durante la Prima Guerra Mondiale, e Antonio Atarés, contadino anarchico aragonese, prima rinchiuso nel campo d'internamento del Vernet e poi spedito a Djelfa, sull'altopiano algerino. Il volume si chiude con la nuova traduzione di alcune pagine, tratte da Le forme dell'amore implicito di Dio, in cui si condensa la splendida, vertiginosa concezione dell'amicizia elaborata e concretamente vissuta da Simone Weil.
"Al di sopra delle istituzioni, destinate a tutelare il diritto, le persone, le libertà democratiche, bisogna inventarne altre destinate a discernere e a eliminare tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia le anime sotto il peso dell'ingiustizia, della menzogna e della bassezza. Bisogna inventarle, perché sono sconosciute, ed è impossibile dubitare che siano indispensabili".
Arrivata a Londra dagli Stati Uniti, il 26 novembre 1942, con la ferma intenzione di partecipare alla lotta sul territorio francese, Simone Weil è costretta a portare avanti la sua resistenza in una stanza, negli uffici del Commissariato per gli Interni. Nasce in questi giorni la Dichiarazione degli obblighi verso l'essere umano, che qui presentiamo insieme a un altro scritto poco noto in Italia, Riflessioni sulla rivolta. Questi testi, straordinariamente rappresentativi dell'ultima fase della sua vita, segnano un punto di sintesi molto alto tra il realismo politico con cui vengono analizzati metodi e scopi della Resistenza e la tensione etica che regge il progetto di una nuova Costituzione che Weil propone alla Francia e, per il suo tramite, all'Europa. Albert Camus, suo editore nel dopoguerra, ha scritto «che è impossibile immaginare una rinascita per l'Europa senza tener conto delle esigenze definite da Simone Weil». Ai suoi contemporanei richiedeva uno «sforzo d'attenzione» di cui, però, li sentiva incapaci. Noi, suoi lettori oggi, potremmo raccogliere la sfida.
Simone Weil è un punto di riferimento e di incrocio tra il pensiero laico, ebraico e cristiano e una delle figure più note della mistica contemporanea. In occasione del 70° anniversario della morte (31 agosto 1943), raccogliamo in questo volume alcune delle sue riflessioni più significative sull’amore di Dio.
«La forma velata dell’amore precede necessariamente la presenza di Dio e, spesso, regna essa sola nell’anima per lungo tempo; per molti, forse fino alla morte. Questo amore velato può attingere a gradi elevatissimi
di purezza e di forza. Ogni forma di cui questo amore è suscettibile, nel momento in cui tocca l’anima, ha la virtù di un sacramento».
L'AUTORE
Simone Weil (Parigi 1909 - Ashford 1943) israelita, fu insegnante di filosofia, fortemente interessata ai problemi sociali, militò nell’estrema sinistra. Lavorò come operaia in vari stabilimenti e partecipò, fin dall’inizio, alla guerra civile spagnola. Lasciò la Francia a causa della persecuzione nazista e, dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti, passò a Londra gli ultimi anni della sua vita, militando nelle file della resistenza francese.
"La verità è una, la giustizia è una. Gli errori e le ingiustizie variano all'infinito." Nei tumulti del "secolo breve", Simone Weil era chiara, quasi profetica sulle sorti non certo felici che avrebbero atteso la democrazia qualora la si fosse idealmente ridotta a una forma vuota, misto di burocrazia, rancore e legalismo. Una democrazia fatta di procedure prive di sostanza e, quindi, di giustizia. Giustizia, che per la Weil non precede ogni forma di rappresentanza o consenso, ma costituisce l'origine propriamente politica della comunità. Il partito politico, piccolo mostro totalitario capace di mascherare da fini i mezzi, le appariva già allora come sintomo e causa di un decadimento delle idee forti di giustizia, politica, comunità. Per uscire dalla crisi, suggerisce la Weil, bisogna "radicare" le nostre buone pratiche nell'idea di giustizia davvero comune. Quella giustizia che racchiude in sé l'intero tragitto storico e di significato di tre altre parole: libertà, uguaglianza, fratellanza. Parole svilite e tradite proprio da quei monopolisti del consenso che la Weil identificava con i partiti politici. I tre testi, che qui proponiamo come una lezione imprescindibile a cui guardare, indicano a noi una strada quanto mai necessaria, oggi: quella di una fase costituente per una politica che si voglia davvero nuova e motore di cambiamento nella libertà.
«Quel che non sopporto è che si transiga»: Simone Weil è la reincarnazione di Kant, oppure di san Francesco d'Assisi. Pare che Camus tenesse una sua fotografia sullo scrittoio. Paolo vi voleva farla santa, ma lei aveva sempre rifiutato il battesimo. Lei che a trentaquattro anni si è lasciata morire di fame perché non poteva andare a combattere in prima linea contro i nazisti. La rivoluzionaria mistica, uno dei più misconosciuti e fondamentali pensatori del Novecento. Il Saggiatore ripubblica Sulla guerra, una raccolta di articoli, lettere, brevi saggi scritti da Simone Weil tra il 1933 e il 1943, anno della sua morte, che delineano il difficile passaggio da un iniziale pacifismo intransigente alla partecipazione attiva, anche se non priva di contrasti, alla resistenza contro Franco prima e contro il nazismo poi. Un passaggio non raro in quegli anni, ma che in Simone Weil implica una complessità e un rigore di pensiero singolari, la ricerca appassionata e radicale di una possibile via d'uscita alla tragica minaccia che incombe sull'Europa, e più ancora all'impasse filosofica di chi sa che la guerra è il male assoluto, ma anche un male necessario quando si deve contrastare una violenza atroce e stritolante. Tutt'al più si può avere l'intenzione di «fare il minimo di male possibile». Che per Simone Weil coincide con l'autosacrifì-cio: si propone all'organizzazione France libre di De Gaulle per azioni che la espongano al più grande rischio personale; ma quando questo le viene negato - lacerazione irreparabile - si abbandona a una lenta morte. Sulla guerra è molto più di un documento storico su una delle più dolorose e folli stagioni dell'umanità; molto più di un'opera filosofica che affronta i nodi teorici del fenomeno bellico, che si tratti di guerra rivoluzionaria o di guerra tra Stati; ed è più del diario di una conversione e di un martirio. È la testimonianza profetica di un umanesimo integrale, di un'instancabile tensione etica - in definitiva, di una vicenda biografica, intellettuale e spirituale tra le più alte e sofferte di tutto il Novecento.
Uno degli scritti più celebri di Simone Weil. Con un saggio di Giancarlo Gaeta.
Sopprimere i partiti politici. Tutti, nessuno escluso. Perché in quanto organizzazioni verticistiche e inquadrate, essi sono autoritari e repressivi per definizione. E alcuni, quelli italiani ad esempio, mostrano un totale disinteresse per la res publica, ma un talento inenarrabile nel sottrarre denaro pubblico alla comunità. Quindi vanno soppressi, per il bene comune. Simone Weil, una riformista rivoluzionaria, una delle menti più brillanti della sua generazione, poco prima di scomparire prematuramente per malattia nel 1943 ha lasciato questa "modesta proposta". Un manifesto pieno di passione e di fuoco dove si afferma che aderire all'ideologia di un partito, in certe condizioni storiche, significa limitarsi a prendere una posizione, pro o contro qualcosa. Significa rinunciare a pensare. È questa la democrazia? E oggi, i partiti politici rappresentano davvero la volontà dei cittadini o sono dei semplici organismi che hanno come unico fine quello di riprodursi? Accogliere la proposta della Weil significa uscire dal letargo per tornare a pensare con le nostre teste. Con una prefazione di André Breton.
"La forza trasforma chiunque da essa venga toccato". Questa è per Simone Weil l'essenza del contenuto dell'Iliade. Nel poema omerico non si narra tanto l'eroismo nella battaglia o le fantastiche ingerenze degli dei nei casi umani. L'Iliade è piuttosto il poema della Forza e del potere che essa ha da una parte di portare alla rovina chi la esercita e dall'altra di pietrificare e ridurre a cosa chi la subisce. Allo stesso tempo, nel dispiegarsi tragico della forza e nella dismisura della volontà che l'accompagna, la violenza e la sopraffazione trovano il loro pareggio nella pietà e nell'amore, ma non nel perdono: il greco non conosce infatti questa ambigua categoria propria della cristianità. Ed è grazie a questa cruda verità, in cui l'uomo viene riportato alla sua finitezza, che la grande narrazione fondativa dell'occidente, si mantiene nella luce del mito. L'occhio di Omero guarda e narra con imparzialità quasi divina le violenze e le alterne sventure tanto degli Achei quanto dei Troiani. Lo stesso occhio, attraverso lo sguardo di Simone Weil, osserva, in un processo di attualizzazione del mito, tanto lucido quanto partecipe, l'avvicinarsi della tempesta europea.