La giustizia costituzionale è ormai una branca tradizionale della giurisdizione, accanto a quelle civile, penale e amministrativa. Essa, però, presenta una peculiarità, che la connota e la differenzia dalle altre: l'aspirazione a stabilizzare le regole fondamentali della convivenza politica e a difenderle dalla minaccia del potere arbitrario. Si potrebbe dire che trae la sua origine dall'intreccio di un fine politico con un dato giuridico: mantenere la continuità nella vita collettiva, cioè rigettare le fratture e i conflitti che esse generano, e realizzare tale continuità attraverso la risoluzione giudiziaria, secondo norme giuridiche costituzionali positive, delle più alte controversie politiche.
C'è un tema negletto gonfiato dalla retorica e sottovalutato nella pratica: i simboli politici. Se tutta la realtà fosse scoperta davanti ai nostri occhi, non avremmo bisogno di loro. I simboli, quelli della politica in particolare, servono invece per accedere al mondo, reale ma astratto, dei rapporti tra noi anche in assenza di contatti concreti e perfino in assenza di una conoscenza diretta. Proprio perché la vita collettiva è fatta in larga parte di relazioni impersonali inadatte ad essere descritte come se fossero tangibili, abbiamo bisogno della simbolica politica. Per interpretare, specie nella grande trasformazione in corso, bisogni e aspirazioni, attrarre forze, produrre concretamente fiducia in vista di un futuro che non sia semplice ripetizione del presente.
Pensi davvero che ci sia da temere per la democrazia, anche solo come forma politica? Non ti pare che ormai, nel mondo occidentale, nessuno oserebbe proclamarsi antidemocratico? Perfino i dittatori, quando prendono il potere, sciolgono il Parlamento e sospendono i diritti, dicono di farlo per restaurare la 'Vera democrazia'. La democrazia è l'ideale del nostro tempo. Ma la democrazia è un sistema di governo molto compiacente. Può ospitare tante cose, senza abbandonare il suo nome. C'è da preoccuparsi perciò della sua salute, cioè della sua efficacia, che è poi la sua capacità di mantenere le promesse. Non è strano infatti che alla massima estensione spaziale della democrazia corrisponda un'insicurezza, anzi uno scetticismo crescente, diffuso e diffusivo nei suoi confronti? Il disincanto democratico, si sta diffondendo sempre di più, non tra chi appartiene ai giri del potere, ma tra chi ne è escluso. È il segno che la democrazia, come ideale politico si sta appannando, anzi, sta facendo una semi-rotazione: dal basso all'alto. Ma se chi ne ha più bisogno rinuncia alla democrazia come ambito di libertà nel quale è possibile l'emancipazione, il cambiamento, la semplice affermazione di diritti, allora la democrazia è mutilata, perché parziale. E dove va chi è deluso dalla democrazia? Non va da nessuna parte, perché non ci si può astenere dalla democrazia come se fosse un'opzione politica. Il fatto è che la democrazia è fragile, è delicata, è manipolabile...
Dal IV secolo a oggi, potere civile e potere religioso non hanno fatto altro che combattersi per indossare l’uno i panni dell’altro, quando non si sono messi d’accordo, alleandosi, per entrare entrambi in una stessa, unica, veste.
La laicità è il prodotto di una specifica e cruentissima storia di lotte per la libertà religiosa e di coscienza e per la fondazione della convivenza civile su basi indipendenti dalla professione di fede. Significa spazio pubblico a disposizione di tutti per esercitare, in condizioni di libertà e uguaglianza, i diritti di libertà morale (di coscienza, di pensiero, di religione e di culto) e per costruire a partire da questi la propria esistenza: uno spazio voluto dagli uomini indipendentemente da Dio, una ‘città degli uomini’ in cui ci sia spazio per tutti, credenti e non credenti, non una città di Dio in cui ci sia posto solo per i suoi credenti. Non c’è laicità né quando la religione, al singolare o al plurale, si ingerisce nelle cose dello Stato, facendo dello Stato un affare di religione, né quando lo Stato si ingerisce nelle cose della religione, facendo della religione un affare di Stato. Laicità significa divieto di intromissioni. Quello che conta è la non ingerenza. Se si guarda alla storia, questa concezione dei rapporti tra politica e religione appare come un’eccezione, per di più recente, in una vicenda storica pluri-millenaria, in cui si intrecciano dissidi e connivenze. Un conflitto ineliminabile, latente o patente che sia, perché tra Chiesa e società civile ogni accordo non è mai un trattato di pace ma sempre e solo un armistizio. Universalismo religioso, pluralismo civile, laicità: Gustavo Zagrebelsky affronta temi centrali per la nostra democrazia..
«Le cose umane sono ambigue, aperte al bene e al male, - dice Gustavo Zagrebelsky. - La storia di Giuda è un inestricabile intreccio di questa duplicità». Scrutando le «ragioni di Giuda» è possibile esplorare uno dei territori piú inquieti del pensiero cristiano, non solo perché vi è in gioco la libertà della creatura rispetto ai disegni del creatore. Ma anche perché in Giuda si condensano, come una sterminata letteratura ci conferma, tutte le ombre del cuore umano: il suo sogno di bene e la sua capacità di male, il baratro della disperazione e il sogno della redenzione, la deformità del tradimento - l'affronto piú grande alla creatura che si offre inerme - e la domanda piú radicale su Dio, se cioè la sua misericordia sia tale da poter accogliere e perdonare anche il colpevole piú ripugnante.
«Giuda andò incontro alla misericordia di Dio nonostante la disperazione del suo gesto? Condannato nei secoli, non è in fondo molto vicino a tutti noi? Il tradimento è solo suo? Di quale peso collettivo abbiamo caricato nei secoli la sua figura?
Giuda è una figura dell'ambiguità: piú ci si riflette, piú si scopre che questa icona del male ch'egli dovrebbe rappresentare nella sua purezza, l'eccellente nel peccato, l'imperdonabile, non smette invece, nella sua ambiguità, di interrogarci sempre di nuovo con domande alle quali, probabilmente, non è possibile dare risposte definitive. Anzi, forse il senso di tutto ciò che lo riguarda è proprio questo: ci sono interrogativi ineludibili, cui tuttavia non possiamo rispondere».
«Noi non solo pensiamo in una lingua, ma la lingua "pensa con noi" o, per essere ancora piú espliciti, "per noi"». Nell'Italia di oggi, per fortuna, non vi è un ministero della propaganda a forgiare una lingua che influenzi le coscienze, addormenti le resistenze e spinga al pensiero unico; eppure è difficile negare che il linguaggio usato dalla politica e amplificato dai mezzi di comunicazione di massa ruoti attorno a espressioni, parole, frasi che ricorrono sempre di piú, si fanno senso comune, sono spesso udite ma non certo indagate e capite a fondo.
Gustavo Zagrebelsky passa in rassegna una serie di questi «luoghi comuni linguistici» e denuncia il rischio che sia questa lingua a pensare per noi, e che i cittadini vivano immersi, senza rendersene conto, in una rete di significati che, se pure gli sfuggono, nondimeno strutturano la loro esperienza, danno forma alla loro vita politica, in ultima analisi regolano e limitano le loro possibilità di comunicare.
Questo volume inaugura una collaborazione tra Codice edizioni e Biennale Democrazia, progetto civile e culturale che sta compiendo un profondo lavoro di indagine sul senso e il valore del concetto di democrazia nella società contemporanea, e la cui prima edizione si è svolta a Torino nel 2009. L’esercizio della democrazia raccoglie l’intervento introduttivo alla manifestazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, unitamente alla lectio magistralis del professor Gustavo Zagrebelsky, Presidente della Biennale. Dalle loro parole emerge una lezione fondamentale, quanto mai necessaria oggi: la democrazia è un insieme di diritti e di doveri che appartengono al cittadino, e che spetta al cittadino esercitare. È prima di tutto un modo di rapportarsi con gli altri: nasce dal basso, dalla vita quotidiana, e arriva a permeare la costruzione di una società. Per questo è così importante parlare di esercizio: la democrazia non viene stabilita e progettata una volta per tutte; è una realtà viva, in continua trasformazione, che si nutre dei valori che le persone sanno trasmettere.
In breve
Dal IV secolo a oggi, potere civile e potere religioso non hanno fatto altro che combattersi per indossare l’uno i panni dell’altro, quando non si sono messi d’accordo, alleandosi, per entrare entrambi in una stessa, unica, veste.
La laicità è il prodotto di una specifica e cruentissima storia di lotte per la libertà religiosa e di coscienza e per la fondazione della convivenza civile su basi indipendenti dalla professione di fede. Significa spazio pubblico a disposizione di tutti per esercitare, in condizioni di libertà e uguaglianza, i diritti di libertà morale (di coscienza, di pensiero, di religione e di culto) e per costruire a partire da questi la propria esistenza: uno spazio voluto dagli uomini indipendentemente da Dio, una ‘città degli uomini’ in cui ci sia spazio per tutti, credenti e non credenti, non una città di Dio in cui ci sia posto solo per i suoi credenti. Non c’è laicità né quando la religione, al singolare o al plurale, si ingerisce nelle cose dello Stato, facendo dello Stato un affare di religione, né quando lo Stato si ingerisce nelle cose della religione, facendo della religione un affare di Stato. Laicità significa divieto di intromissioni. Quello che conta è la non ingerenza. Se si guarda alla storia, questa concezione dei rapporti tra politica e religione appare come un’eccezione, per di più recente, in una vicenda storica pluri-millenaria, in cui si intrecciano dissidi e connivenze. Un conflitto ineliminabile, latente o patente che sia, perché tra Chiesa e società civile ogni accordo non è mai un trattato di pace ma sempre e solo un armistizio. Universalismo religioso, pluralismo civile, laicità: Gustavo Zagrebelsky affronta temi centrali per la nostra democrazia.
Indice
1. Di che cosa andiamo a trattare: universalismo - religioso, pluralismo civile, laicità - 2. Laicità in questione - 3. Secolarizzazione fallita? - 4. Dalla salvezza delle anime... - 5. ...alla rottura dell’unità cristiana della società civile... - 6. ...al bene della società... - 7. ...alla dignità degli esseri umani... - 8. ...alla riconsiderazione della democrazia... - 9. ...alla critica della democrazia e alla riscoperta della religione come «religio civilis» - 10. Il protettorato cattolico sulla società civile - 11. La coincidenza di ragione e verità cristiano-cattolica - 12. La «dittatura del relativismo» 13. I «non possumus» della Chiesa - 14. La verità-ragione nella «sfera politica»: il «non possumus» laico - 15. «Etsi Deus non daretur. Veluti si Deus daretur» - 16. Conflitto inevitabile e non - Note - Indice dei nomi
Un'idea-guida muove l'articolata riflessione di Gustavo Zagrebelsky intorno alla legge: il diritto è una dimensione del vivere comune che non si lascia racchiudere e ridurre alla volontà di un qualunque legislatore e nemmeno si lascia dedurre da un qualche principio astratto di razionalità naturale o giustizia. La legge non vive isolata, costretta entro le rigide maglie di un mondo astratto, ma è calata nel contesto giuridico che le sta intorno. È essa stessa forma della convivenza. Né, tanto più, si può pensare il diritto come una realtà separata, avulsa dalle condizioni storiche, politiche, sociali e culturali in cui esso è chiamato a prestare i suoi servigi. Agire secondo diritto richiede agli attori, legislatori, giudici e giuristi in genere, la consapevolezza della loro posizione entro le istituzioni del diritto e dell'ethos che ne deriva. Questo ethos è, per ora, quello di una società plurale, aperta all'accoglienza.
«Intorno alla legge» - il titolo del libro - allude proprio alla rete di interrelazioni e tensioni in cui l'universo giuridico è immerso, costantemente avvolto.
In breve
«Contro l’etica della verità significa a favore di un’etica del dubbio. Al di là delle apparenze, il dubbio non è affatto il contrario della verità. Ne è la riaffermazione, è un omaggio alla verità, ma una verità che ha sempre e di nuovo da essere esaminata e ri-scoperta.» Quando i detentori di una presunta verità assoluta riusciranno a convincersi che la politica e l’etica civile non sono la semplice applicazione delle proprie radicate fedi o convinzioni, ma mediazione tra fedi, convinzioni, opinioni, norme e concrete situazioni? Per accedere a questa, che è poi la condizione della vita democratica, non c’è altra via se non quella che Zagrebelsky chiama ‘etica del dubbio’, l’unica che fa onore alla verità che nessuno possiede, perché, di epoca in epoca, la verità si trova sempre per via. Umberto Galimberti
Indice
Premessa - 1. I paladini dell’identità e la tolleranza dell’Occidente - 2. Stato e Chiesa. Cittadini e cattolici - 3. Tre formule dell’ambiguità - 4. Gli atei clericali e la fonte del potere - 5. Stato, Chiesa e lo spirito perduto del Concordato - 6. Il «non possumus» dei laici - 7. Referendum: Chiesa machiavellica ed etica politica dubbia - 8. L’identità cristiana e il fantasma dell’assedio - 9. Cosa pensa la Chiesa quando parla di dialogo? - 10. Cattolicesimo e democrazia - 11. Disagio democratico - 12. La Chiesa, la carità e la verità - 13. Ritorno al diritto naturale? - 14. Né da Dio né dal popolo: dove nasce la giustizia - 15. Decalogo contro l’apatia politica - 16. Democrazia. Non promette nulla a nessuno, ma richiede molto da tutti - 17. Le correzioni di Tocqueville ai difetti della democrazia - 18. Uomini, anche se Dio non esiste - 19. Norberto Bobbio e l’etica del labirinto - Epilogo. Democrazia, opinioni e verità - Note - Fonti