
Agamben ha raccolto in questo libro tutti i suoi interventi sull'emergenza sanitaria che stiamo attraversando. Al di là di denunce e descrizioni puntuali, i testi propongono in varia forma una riflessione sulla Grande Trasformazione in corso nelle democrazie occidentali. In nome della biosicurezza e della salute, il modello delle democrazie borghesi coi loro diritti, i loro parlamenti e le loro costituzioni sta ovunque cedendo il posto a un nuovo dispotismo in cui i cittadini sembrano accettare limitazioni delle libertà senza precedenti. Di qui l'urgenza della domanda che dà il titolo alla raccolta: a che punto siamo? Fino a quando saremo disposti a vivere in uno stato di eccezione che viene continuamente prolungato e di cui non si riesce a intravedere la fine?
I grammatici antichi cominciavano dalla voce la loro trattazione del linguaggio, distinguendo con cura la voce confusa degli animali il nitrito dei cavalli, l'urlo rabbioso dei cani, il ruggito delle fiere e il sibilo del serpente, dalla voce articolata degli uomini. L'antropogenesi, il diventar umano del vivente uomo coincide cioè con un'operazione sulla voce, che la rende significante, trasformando il verso espressivo dell'animale in uno strumento impareggiabile di dominio e di conoscenza. Ma che cos'è una voce articolata? Attraverso una paziente indagine archeologica, il libro ricostruisce il senso e le modalità di questa articolazione della voce, interrogando la funzione che in essa ha svolto l'invenzione della scrittura e revocando innanzitutto in questione il rapporto fra voce e linguaggio, fra il nome e il discorso, fra chiamare e significare. Situare il linguaggio nella voce significa, infatti, articolare insieme non soltanto il suono e il senso, ma anche il vivente e il parlante, il corpo e la mente, la natura e la storia. La riflessione sulla voce è allora inseparabile da una riflessione sulla natura umana e costituisce in questo senso un problema essenzialmente politico, perché in esso ne va ogni volta della decisione di ciò che è umano e di ciò che non lo è.
Stasis è il nome della guerra civile nella Grecia antica. Un concetto così inquietante o impresentabile per la filosofia politica posteriore da non essere fatto oggetto sinora di una dottrina adeguata, neppure da parte dei teorici della rivoluzione. Eppure, sostiene Giorgio Agamben fornendo qui i primi elementi di una necessaria "stasiologia", la guerra civile costituisce la fondamentale soglia di politicizzazione dell'Occidente, un dispositivo che nel corso della storia ha permesso alternativamente di depoliticizzare la cittadinanza e mobilitare l'impolitico, e che vediamo oggi precipitare nella figura del terrore su scala planetaria. Al suo paradigma concorrono insieme due poli antitetici dei quali Agamben mette allo scoperto la segreta solidarietà, quello classico secondo cui la guerra civile è coessenziale alla polis, al punto che chi non vi prende parte è privato dei diritti politici, e quello moderno rappresentato dal Leviathan di Hobbes, che ne decreta l'interdizione, ma introduce una scissione - e con questa la possibilità della guerra civile - all'interno stesso del concetto di popolo.
Azione e colpa sono concetti-soglia, a tal punto fondativi del pensiero giuridico, morale e politico dell'Occidente da rimanere oscurati dalla loro stessa costitutività. Il carattere liminare di entrambi viene però in luce non appena si rifletta sulla corrispondenza stringente tra il latino "crimen", che designa l'azione umana in quanto imputabile e sanzionata, ossia chiamata in causa nell'ordine della responsabilità e del diritto, e il sanscrito "karman", che contrassegna l'agire generatore di conseguenze. Con mossa disvelatrice, Giorgio Agamben individua nel "karman/crimen" la chiave di volta indoeuropea senza la quale crollerebbero sia l'edificio dell'etica e della politica occidentali sia il soggetto libero e responsabile che ne è il presupposto e l'effetto. Questa archeologia pragmatica, più che gnoseologica, della soggettività, rende evidente quanto la presa dell'azione sanzionata sull'agente si rinsaldi sempre più proprio nel momento in cui - con la patristica - la nozione di libero arbitrio intende assicurare la sovranità della volontà, spodestando il primato aristotelico della potenza. Secondo Agamben, non si riuscirà a inceppare il dispositivo volontà-azione-imputazione se non si uscirà dal paradigma della finalità: contro la signoria dei fini va ripensata una politica di mezzi puri, che già Benjamin affidava al gesto inoperoso, capace di disattivare le opere umane e destinarle "a un nuovo, possibile uso".
Quarant'anni dopo il libro di Sciascia, il mistero della scomparsa di Ettore Majorana, avvenuta il 25 marzo 1938, è rimasto immutato. Com'è possibile che il più promettente e geniale fra i fisici riuniti intorno a Enrico Fermi sia sparito senza lasciare traccia? Sciascia aveva ipotizzato che la decisione di scomparire e di abbandonare la fisica fosse stata presa da Majorana nel momento in cui si era reso precocemente conto che le ricerche di Fermi avrebbero portato alla bomba atomica, ma la sua ipotesi è stata sempre smentita dai fisici. Agamben in questo libro affaccia un'altra e più persuasiva ipotesi. Analizzando attentamente un articolo postumo di Majorana sul "Valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali", che dimostra che nella fisica quantica la realtà deve dissolversi nella probabilità, Agamben suggerisce che Majorana, scomparendo senza lasciare tracce, ha fatto della sua persona la cifra stessa dello statuto del reale nell'universo probabilistico della fisica contemporanea e ha posto alla scienza una domanda che aspetta ancora la sua risposta: che cos'è reale?
Nella cultura occidentale, principio, creazione e comando sono strettamente intrecciati. L’arché, l’origine, è sempre già anche il comando, l’inizio è sempre anche il principio – il «principe» – che governa e comanda. Questo è vero tanto in teologia, dove Dio non solo crea il mondo, ma lo governa e non cessa di governarlo attraverso una creazione continua, quanto nella tradizione filosofica e politica, in cui principio e creazione, comando e volontà formano insieme un dispositivo strategico senza il quale l’edificio della nostra società crollerebbe.
I cinque scritti qui raccolti cercano di disinnescare questo dispositivo attraverso una paziente indagine archeologica dei concetti di opera (Archeologia dell’opera d’arte), creazione (Che cos’è l’atto di creazione), comando e volontà (Che cos’è un comando). Il territorio dell’arché viene percorso ed esplorato in ogni senso alla ricerca di una via di uscita an-archica. Finché, nel testo che chiude il libro (Il capitalismo come religione), l’anarchia appare come il centro segreto del potere, che si tratta di portare alla luce, perché un pensiero che abbia deposto tanto il principio che il suo comando diventi possibile.
Ogni uomo si trova preso nell'avventura, ogni uomo ha, per questo, a che fare con Demone, Eros, Necessità e Speranza. Essi sono i volti - o le maschere che l'avventura ogni volta gli presenta.
Il titolo "Autoritratto nello studio" un tema iconografico familiare alla storia della pittura - va qui inteso alla lettera: il libro è un autoritratto, ma soltanto nella misura in cui il lettore potrà alla fine decifrarne i tratti attraverso il paziente scrutinio delle immagini, delle fotografie, degli oggetti, dei quadri presenti negli studi in cui l'autore ha lavorato e tuttora lavora. La scommessa di Agamben è, cioè, quella di riuscire a parlare di sé soltanto e unicamente parlando di altri: i poeti, i filosofi, i pittori, i musicisti, gli amici, le passioni insomma gli incontri e gli scontri che hanno deciso della sua formazione e hanno nutrito e ancora nutrono in vario modo e misura la sua propria scrittura, da Heidegger a Elsa Morante, da Melville a Walter Benjamin, da Caproni a Giovanni Urbani. Per questo del libro sono parte integrale le immagini che, come in quei rebus in cui varie figure accostate l'una all'altra ne disegnano una diversa e più grande, si compongono alla fine col testo in uno dei più insoliti autoritratti che un autore abbia lasciato di sé: non un'autobiografia, ma una fedelissima e intemporale autoeterografia.
Alla domanda "che cos'è la filosofia" - una questione che si pone tardi e di cui si può parlare solo fra amici - Agamben, in questo libro che è in qualche modo una summa del suo pensiero, non risponde direttamente, ma attraverso cinque saggi, ciascuno dei quali presenta una sorta di emblema: la Voce, il Dicibile, l'Esigenza, il Proemio, la Musa. In ognuno dei testi, secondo un gesto che definisce il metodo di Agamben, l'indagine archeologica e quella teorica si intrecciano strettamente: alla paziente ricostruzione del modo in cui è stato inventato il concetto di lingua, fa riscontro il tentativo di restituire il pensiero al suo luogo nella voce; a una inedita interpretazione dell'idea platonica, corrisponde una lucida situazione del rapporto fra filosofia e scienza e della crisi decisiva che entrambe stanno attraversando nel nostro tempo. E, alla fine, la scrittura filosofica - un problema sul quale Agamben non ha mai cessato di riflettere - assume la forma di un proemio a un'opera che deve restare non scritta.
I due testi in dialogo che costituiscono la trama di questo libro sono una meditazione sul fantasma in quanto prodotto della fantasia e come luogo e soggetto dell'amore. Mescolando riferimenti e implicazioni, si propongono di confrontare, in una prospettiva inedita, due personaggi eccezionali: Guido Cavalcanti, il «primo amico» di Dante e l'ineguagliato maestro della fenomenologia amorosa, e Ibn Rushd, l'Averroè dei Latini, il filosofo arabo che più profondamente ha segnato il pensiero occidentale del XIII e del XIV secolo. Se per questi due autori la congiunzione con l'intelletto unico designa la perfezione suprema, è però la funzione del fantasma quella che, ogni volta, si rivela decisiva. Da questo punto di vista, Intelletto d'amore è la migliore introduzione che si possa immaginare a ciò che ancor oggi rende interessante Averroè, Cavalcanti, Dante e la poesia amorosa: la questione del fantasma, in quanto vi si espone il rapporto tra l'intelletto e il desiderio e la mutua implicazione, l'intreccio, del desiderio della conoscenza e della conoscenza del desiderio.