Jonas non ce l'aveva con lei. Neanche adesso che se n'era andata. Sapeva che Gina non era cattiva. Anzi, era convinto che si sforzasse di essere una brava moglie. Gina era arrivata in casa sua come domestica; nella piccola libreria di libri d'occasione era entrata un giorno, ancheggiando e portandosi dietro un caldo odore di ascelle. Quando lui le aveva chiesto di sposarlo, sulle prime aveva rifiutato: "Ma lo sa che genere di ragazza sono io?" gli aveva chiesto. Sì, lo sapeva, come tutti in paese; ma voleva solo che lei fosse tranquilla. Ora lo aveva abbandonato, portandosi via l'unica cosa preziosa che lui possedesse, i suoi francobolli, e Jonas era stato colto da una vertigine. Per questo aveva cominciato a mentire. E per questo tutti, in paese, avevano cominciato a sospettare che fosse stato lui, il piccolo ebreo russo a cui nessuno era mai riuscito a dare del tu, a farla sparire.
Nel 1906 esce in Francia la traduzione proustiana di Sesamo e gigli di John Ruskin, accompagnata da una prefazione - Sulla lettura - nella quale Proust, prendendo le distanze dalle teorie del critico inglese, rende presente la sua idea di lettura, offrendoci un primo assaggio di quel peculiare stile di scrittura che troverà la sua massima espressione nella Recherche. Queste pagine, tra le più affascinanti che siano state dedicate all'attività di leggere, sono presentate insieme a un articolo, Giornate di lettura, pubblicato su "Le Figaro", dove - a dispetto del titolo - è un altro il magico oggetto in grado di evocare presenze e atmosfere assenti, il telefono, dispositivo all'epoca ancora estremamente raro e d'élite. È un piccolo esempio di scrittura mondana e d'occasione, un divertissement nel quale, tuttavia, traluce la capacità affabulatoria, ironica e ammaliante del primo Proust. Prefazione di Emanuele Trevi.
Citadelle: 985 pagine dattiloscritte, consegnate da Saint-Exupéry all'amico Georges Pélissier poco prima della morte. Pagine fitte di appunti, di cancellature, di parole che si intrecciano sui bordi dei fogli. "Sarà il mio libro postumo". Andrà ripulito, lavorato. Saint-Exupéry lo sa: Citadelle è il lavoro di una vita e, stratificato, come ogni pensiero che si è andato sedimentando, come ogni immagine, intuizione, preghiera, andrà riportato alla luce e reso chiaro. Scritto in prima persona, egli stesso aveva confidato di avere intenzione di proporre il discorso di un capo berbero il cui padre era stato assassinato, e in cui si cela l'immagine di un Padre più alto che ha i tratti di una divinità. La presente antologia trae le "linee di forza", le parti più evocative di un'opera che ha quasi l'aspetto di una lunga meditazione sui temi centrali del Piccolo principe: l'amore; l'educazione di sé attraverso l'ammaestramento dell'altro; la tensione verso questo "altro da sé" e l'attenzione a esso (chiunque egli sia); la percezione dello spazio del deserto, interiore prima che fisico... Perché in Citadelle è presente tutto l'essenziale del libro più famoso, al punto che possiamo utilizzare queste pagine come un aiuto a comprendere più a fondo il mistero di quel Principino che non può essere ridotto a una banale parabola del "volersi bene".
"In un certo periodo della mia vita sono stato cristiano" scrive Emmanuel Carrère nella quarta di copertina dell'edizione francese del Regno. "Lo sono stato per tre anni. Non lo sono più". Due decenni dopo, tuttavia, prova il bisogno di "tornarci su", di ripercorrere i sentieri del Nuovo Testamento: non da credente, questa volta, bensì "da investigatore". Senza mai dimenticarsi di essere prima di tutto un romanziere. Così, conducendo la sua inchiesta su "quella piccola setta ebraica che sarebbe diventata il cristianesimo", Carrère fa rivivere davanti ai nostri occhi gli uomini e gli eventi del I secolo dopo Cristo quasi fossero a noi contemporanei: in primo luogo l'ebreo Saulo, persecutore dei cristiani, e il medico macedone Luca (quelli che oggi conosciamo come l'apostolo Paolo e l'evangelista Luca); ma anche il giovane Timoteo, Filippo di Cesarea, Giacomo, Pietro, Nerone e il suo precettore Seneca, lo storico Flavio Giuseppe e l'imperatore Costantino - e l'incendio di Roma, la guerra giudaica, la persecuzione dei cristiani; riuscendo a trasformare tutto ciò, è stato scritto, "in un'avventura erudita ed esaltante, un'avventura screziata di autoderisione e di un sense of humour che per certi versi ricorda Brian di Nazareth dei Monty Python". Al tempo stesso, come già in "Limonov", Carrère ci racconta di sé, e di sua moglie, della sua madrina, di uno psicoanalista sagace, del suo amico buddhista, di una baby-sitter squinternata, di un video porno trovato in rete, di Philip K. Dick...
"Da adolescente" scrive Emmanuel Carrère nel "Regno" "sono stato un lettore appassionato di Dick e, a differenza della maggior parte delle passioni adolescenziali, questa non si è mai affievolita. Ho riletto a intervalli regolari 'Ubik', 'Le tre stimmate di Palmer Eldritch', 'Un oscuro scrutare', 'Noi marziani,' 'La svastica sul sole'. Consideravo e considero tuttora il loro autore una specie di Dostoevskij della nostra epoca". A trentacinque anni, spinto da questa inesausta passione, Carrère decise di raccontare la vita, vissuta e sognata, di Philip K. Dick. Il risultato fu questo libro, in cui, con un'attenzione chirurgica per il dettaglio e una lucidità mai ottenebrata dalla devozione, Carrère ripercorre le tappe di un'esistenza che è stata un'ininterrotta, sfrenata, deragliante indagine sulla realtà, condotta sotto l'influsso di esperienze trascendentali, abuso di farmaci e di droghe, deliri paranoici, ricoveri in ospedali psichiatrici, crisi mistiche e seduzioni compulsive e riversata in un corpus di quarantaquattro romanzi e oltre un centinaio di racconti (che hanno a loro volta ispirato, più o meno direttamente, una quarantina di film). Con la sua scrittura al tempo stesso semplice e ipnotica, Carrère costruisce una biografia intricata e avvincente quanto lo sarà, vent'anni dopo, quella di Eduard Limonov che è insieme un romanzo di avventure e un nitido affresco delle pericolose visioni di cui Dick fu artefice e vittima.
A Parigi, nel momento più fulgido della Renaissance francese, Mlle de Chartres sposata al principe di Clèves si innamora dell'affascinante duca di Nemours. Legata al marito da profonda stima e affetto, decide di confessargli i propri sentimenti. Narrato in una scena tra le più celebri della letteratura francese, questo gesto si rivela gravido di conseguenze per tutti i personaggi... Scritto da una dama della corte del Re Sole, colta e raffinata, amica di La Rochefoucauld e di Mme de Sévigné, e pubblicato anonimo nel 1678, "La principessa di Clèves" segna una tappa importante nella storia della narrativa occidentale. In nome della verosimiglianza della trama, della verità dei personaggi, dell'eleganza degli strumenti espressivi, La principessa di Clèves rompe con le inutili lungaggini del romanzo barocco, ed è considerato il primo romanzo psicologico. Con i dilemmi interiori della sua principessa, in bilico tra fosca inquietudine e penetrante lucidità, Mme de Lafayette ha affascinato lettori d'ogni epoca.
3 ottobre 2013, notte fonda. Una donna, sola in cucina, beve un caffè e sfoglia il giornale quando un bollettino radio le vomita addosso gli ultimi avvenimenti: un barcone proveniente dalla Libia è affondato a due chilometri dalla costa di Lampedusa causando la morte di oltre 300 persone. Nella mente della donna, alla voce metallica della radio fanno da contrappunto le immagini di Burt Lancaster, ne Il Gattopardo, poi in The Swimmer. Il suo pensiero vaga e divaga dando vita a un paesaggio interiore insieme tragico e mitico e, passando per altre terre, per altri sentieri, ricompone, come in un caleidoscopio, la Lampedusa attuale, ormai lontana dal mondo dorato del principe di Salina e indissolubilmente legata a quello e ad altri naufragi. Con "Lampedusa", Maylis de Kerangal compie a suo modo una traversata notturna durante la quale interroga un mondo in decadenza dove i diritti umani cessano a un tratto di esistere. Un omaggio a Lampedusa, isola di cinema e letteratura, diventata l'epicentro di una tragedia umana.
Grazie a questa prima traduzione integrale in prosa del "Romanzo della Rosa", il lettore italiano può gustare il poema francese del XIII secolo come fosse un vero romanzo. Il Romanzo della Rosa è una storia erotica, al tempo stesso realistica ed esoterica. È la storia di un giovane innamorato che cerca disperatamente di conquistare la "rosa", simbolo della donna amata. Comincia come un sogno mistico e finisce con una sorprendente scena di sapore quasi pornografico. È anche una sintesi di tutta la cultura classica e medievale, una vera inesauribile miniera di precetti, racconti, detti, proverbi e citazioni. Fra il Duecento e il Trecento la fama del "Romanzo" fu così immensa che due dei massimi scrittori europei, Chaucer e Dante, lo vollero tradurre. Ma i suoi quasi ventiduemila versi in rima baciata avevano costituito fino a oggi un ostacolo pressoché insormontabile per il lettore comune: questa versione in prosa - fedelissima al testo originale - risolve il problema e fa entrare questo capolavoro immortale nel novero delle opere leggibili da chiunque.
Una storia di amore e di ricerca, di disperazione e di felicità. La santità scovata nel miracolo dell'ordinario, nella vita di ogni giorno, nello svolgersi sorprendente di un dramma: la malattia, Lourdes, una redenzione imprevista e inaspettata. La storia di una donna eccezionale perché normale, forte perché fragile, santa perché peccatrice. Un racconto moderno, delicato e intenso.
Nella città impossibile di Coca, in un immaginario West contemporaneo, sulla sponda del fiume, ai margini della giungla e della storia, tutto può cominciare a muoversi e a pulsare, tutto può cambiare per l'arrivo del ponte e di coloro che lo faranno nascere. Come un potente magnete, il ponte attira a sé i destini incrociati di uomini e donne, visti fotograficamente in campo lungo, come massa eroica al centro di una storia corale, o zoomati fino al primissimo piano, nel dettaglio puntuale delle vite più diverse, nella geometria - lucida come un teorema - delle passioni. Ma la vera protagonista di queste pagine, insieme al ponte, è l'incredibile lingua che lo plasma. Lingua "poietica", lingua necessaria e senza sbavature. Lingua capace, nel flusso inesausto delle parole, di nominare e scoprire le cose. In un tour de force inaudito, Maylis de Kerangal intona un canto epico, teso come i cavi che reggono quell'audace struttura.
Dove sta la magia? Nella forza del plot? Nella qualità possente dello scenario storico che è in grado di evocare? Nella suspense? Forse, più di tutto, nella gioia del raccontare. Questo capolavoro dell'intrigo cattura a ogni pagina il lettore, lo spiazza, lo depista, lo inganna e lo rende complice, per poi coinvolgerlo in uno strabiliante "effetto meraviglia". A partire dal titolo: non solo I tre moschettieri sono quattro, ma - come ha osservato Umberto Eco il romanzo è palesemente "la storia del quarto", di d'Artagnan, che è l'assoluto protagonista non solo di questo libro, ma degli altri due che seguiranno: Vent'anni dopo e Il visconte di Bragelonne. "Immaginatevi un Don Chisciotte a diciott'anni": è questo il primo impatto del lettore con d'Artagnan, e attorno a questo virtuoso della spada, a questo campione di lealtà, di dedizione assoluta alla regina, si dipanerà la storia dei tre romanzi, la storia di una vita. L'altra figura decisiva, antagonistica, è Milady, quintessenza dell'inganno, maschera erotica della perfidia e del tradimento, di cui porta il segno indelebile inciso nelle carni. C'era bisogno di una nuova edizione dei Tre moschettieri per riportare il romanzo all'altezza della sua scrittura: attraverso una nuova traduzione che unisce rigore e respiro narrativo, un'Introduzione del più grande studioso vivente di Dumas e un dettagliatissimo Dizionario dei personaggi.
A Parigi, in un indeterminato ma prossimo futuro, vive François, studioso di Huysmans, che ha scelto di dedicarsi alla carriera universitaria. Perso ormai qualsiasi entusiasmo verso l'insegnamento, la sua vita procede diligente, tranquilla e impermeabile ai grandi drammi della storia, infiammata solo da fugaci avventure con alcune studentesse, che hanno sovente la durata di un corso di studi. Ma qualcosa sta cambiando. La Francia è in piena campagna elettorale, le presidenziali vivono il loro momento cruciale. I tradizionali equilibri mutano. Nuove forze entrano in gioco, spaccano il sistema consolidato e lo fanno crollare. È un'implosione improvvisa ma senza scosse, che cresce e si sviluppa come un incubo che travolge anche François. "Sottomissione" è il romanzo più visionario e insieme realista di Michel Houellebecq, capace di trascinare su un terreno ambiguo e sfuggente il lettore che, come il protagonista, François, vedrà il mondo intorno a sé, improvvisamente e inesorabilmente, stravolgersi.