1944, Bologna sta vivendo il suo «inverno più nero». La città è occupata, stretta nella morsa del freddo, ferita dai bombardamenti. Ai continui episodi di guerriglia partigiana le Brigate Nere rispondono con tale ferocia da mettere in difficoltà lo stesso comando germanico. Anche per De Luca, ormai inquadrato nella polizia politica di Salò, quei mesi maledetti sono un progressivo sprofondare all'inferno. Poi succede una cosa. Nella Sperrzone, il centro di Bologna sorvegliato dai soldati della Feldgendarmerie, pieno di sfollati, con i portici che risuonano dei versi degli animali ammassati dalle campagne, vengono ritrovati tre cadaveri. Tre omicidi su cui il commissario è costretto a indagare per conto di tre committenti diversi e con interessi contrastanti. Convinti che solo lui possa aiutarli.
L'Odissea non è la storia del viaggio di un uomo: è la storia d'amore di molte donne. C'è Calipso, che, avvinta dalle sue stesse reti di seduzione, si innamora di Ulisse ma deve lasciarlo andare. C'è Euriclea, la nutrice che lo ha cresciuto, e ci sono le sirene, ciecamente decise a distruggerlo. C'è Nausicaa, seduttrice immatura ma potente, che non osa nemmeno toccarlo. C'è Circe dominatrice, che disprezza i maschi finché non ne incontra uno diverso da tutti gli altri. E naturalmente c'è lei, Penelope, la sposa che non si limita ad attendere il marito, ma gli è pari in astuzia e in caparbietà. In questo libro, sono loro a cantare le peregrinazioni dell'eroe inquieto, ciascuna protagonista di una tappa della grande avventura, ribaltando la prospettiva unica del maschile nella polifonia del femminile: che conquista, risolve, combatte. Alle loro voci fa da controcanto quella di Atena, dea ex machina, che sprona sia Telemaco sia Ulisse a fare ciò che devono: la voce della grande donna dietro ogni grande uomo. In un curioso alternarsi di punti di vista, torna in vita e vibra di nuovi significati un classico immortale, in una narrazione che vola sulla varietà e sulla verità dei sentimenti umani.
Quando una mattina il campanello di John Taliabue, professore di letteratura comparata alla New York University, suona insistentemente, né lui né chi legge può immaginare che aprendo la porta si troverà davanti Mark Simonetti, agente dell'FBI con tanto di tesserino, specializzato in "crimini letterari". Il crimine letterario che il Bureau non ha mai smesso di investigare riguarda l'infinita scomparsa di J. D. Salinger dalla vita pubblica, e sembra coinvolgere anche una donna misteriosa, Olga Simoneova, presunta spia russa nonché vecchia amica dell'accademico. Taliabue non vorrebbe saperne niente - mal sopporta l'FBI -, ma qualcosa sa, e per la prima volta si troverà costretto a parlare... La letteratura insegnata e amata dal professore e "Il giovane Holden" rappresentano l'occasione per analizzare il mito americano nell'epoca di Trump: tra rievocazioni e oblii, intuizioni geniali e false piste, Enrico Deaglio si avvicina alla vita e alla scrittura di J. D. Salinger.
Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali, e lui, ragazzo come tanti se non fosse per una sensibilità estrema, una percezione della realtà fatta tutta di picchi e di abissi, si trova inchiodato per una settimana in ospedale. Al suo fianco, come in un delirante campeggio, un girone infernale dell'assurdo, i compagni di stanza: personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi. Negli abissi della follia brilla un'umanità creaturale, potente, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una forza uniche. L'autore mette in scena la disperata, rabbiosa, ricerca di senso di un ragazzo che implora salvezza: "Salvezza. Per me. Per mia madre all'altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza".
Parigi, inverno 1302. Filippo IV detto il Bello, re di Francia, comanda l'armata più formidabile del mondo cristiano, ma il regno è sull'orlo della bancarotta. Per pagare i debiti di stato, il sovrano ha un piano che potrebbe costargli la scomunica: intende aggredire Firenze con un pretesto, per razziare le sue vaste riserve di fiorini d'oro, ma non ha fatto i conti con Bonifacio VIII... La Signoria di Firenze, infatti, ha chiesto la protezione del pontefice, dal momento che in Vaticano abita la sola persona in grado di fermare il re di Francia: Arnaldo da Villanova, detto il Catalano, medico talentuoso benché tacciato di praticare le arti oscure. Il Catalano può interpretare i misteriosi segni impressi nel più antico sigillo dei Templari, e così rivelare dove viene accumulato il leggendario oro dell'Ordine combattente. Si vocifera, infatti, che proprio fuori da Parigi ci sia una grande torre nella quale è nascosta un'immensa fortuna aurea. I Templari potrebbero salvare la Francia, ma intendono davvero condividere il segreto della loro ricchezza?
Nella più completa tranquillità di una stanza d’albergo in riva al mare, dove sta smaltendo le fatiche della tappa conclusa da poco, il campione precipita nel gorgo delle allucinazioni e del panico. Al doping non c’è rimedio facile. Come vincere questa battaglia? Trionfare grazie al doping può costare moltissimo. L’atleta lo capirà!
"Volete avere, di questo nostro pianeta, l'opinione ch'esso meriti un certo rispetto, e che non sia poi tanto piccolo in rapporto alle passioni che ci agitano, e che offra molte belle vedute e varietà di vita e climi e di costumi; e poi vi chiudete in un guscio e non pensate neppure a tanta vita che vi sfugge, mentre ve ne state tutti sprofondati in un pensiero che v'affligge o in una miseria che v'opprime".
Durante il processo per la canonizzazione di Tommaso d’Aquino, giunge da lontano un testimone misterioso e inatteso. È frate Carlo, carico di anni, ormai alla fine della sua vita terrena. Una vita che rischiava di essere sprecata, fino a quando non avvenne un incontro straordinario. Il giovane Carlo conobbe Tommaso d’Aquino che lo prese con sé e ne fece un suo scrivano. E così, tra visioni, sogni rivelatori e viaggi al fianco di Tommaso e Reginaldo da Piperno, suo fedele confratello, il ragazzo compì un cammino di purificazione.
Carlo, un semplice uomo plasmato nel fango, coi suoi dubbi e le sue stanchezze, viene trasformato dall’incontro con Tommaso che gli fa toccare con mano una vera e immensa santità, di fronte alla quale non è rimasto indifferente. E il miracolo della trasformazione e conversione del giovane frate colpirà il tribunale riunito per decidere della canonizzazione di Tommaso al quale – tra i tanti miracoli operati – verrà attribuito anche quello della conversione di fra Carlo.
Siamo nel 2007 in una Bilbao psichedelica, sfinita dagli ultimi fendenti del terrorismo basco. Gorane e Jokin hanno venticinque anni, sono gemelli e figli di due militanti dell’ETA. Cresciuti senza regole, prendono direzioni opposte e complementari: del tutto accondiscendente e passivo, Jokin, batterista eroinomane, sembra ricalcare le orme dei genitori, mentre Gorane, ambigua e introversa, prova a scostarsi dal loro insegnamento rifugiandosi in un mondo astratto che prosegue dentro di sé. A unirli però c’è un sentimento viscerale, anarchico, incomprimibile. Quando Jokin – che non regge più alla pressione – fugge e i genitori vengono coinvolti in una tragica vicenda, Gorane è preda di strane allucinazioni che la costringono ad andare da uno psichiatra. A Parigi Jokin conosce Germana, una splendida ragazza italofrancese con bizzarre manie da piromane, e inizia a suonare in giro per locali con un gruppo drum’n’bass. Eppure, nonostante la distanza fisica, le vite dei gemelli sembrano destinate a non separarsi mai. Sarà infatti il romanzo di uno scrittore francese a ricongiungerli. La mischia è un’opera polifonica, un mondo che collega la realtà ai nostri sogni più reconditi, un mondo dove l’unica forza trainante sembra essere quella cieca della violenza. Può la libertà – fragile e illusoria conquista del nostro tempo – rivelarsi uno strumento di tortura che occulta gabbie che non avevamo previsto? Valentina Maini risponde con le pagine di questo esordio sorprendente – una rete di storie che coinvolgono famiglie borghesi, spacciatori, maniaci, scrittori, tagliatori di valigie, cartomanti e donne delle pulizie – e lo fa con la decisione di Roberto Bolaño e Mathias Énard: guardando il caos dritto negli occhi.
Dopo aver risolto brillantemente il caso della parruccaia (Stella o croce), Angela Mazzola, poliziotta dell’Antirapine a Palermo, viene convocata alla Sezione omicidi. C’è un lavoro per lei, si tratta di infiltrarsi in una delle zone più animate del centro storico e raccogliere informazioni su un omicidio avvenuto qualche giorno prima. Il morto è Ernesto Altavilla, rampollo di una famiglia dell’alta borghesia: nessuna pista, niente testimoni. Inizia così una indagine che porta Angela a Ballarò, quartiere composito: mercato storico di giorno, taverna di sera, luogo di spaccio e di riciclaggio di merce rubata la notte, locali di ogni tipo e tantissimi quelli etnici, grazie anche alla accoglienza che Ballarò ha riservato agli stranieri. È in questi vicoli che Angela si conquista la fiducia di Jamal, un ragazzo nigeriano che lavora nel locale dove Ernesto è stato freddato da un colpo di pistola, e di Shamira, la donna di cui la vittima si era innamorato. Angela viene così a conoscere la realtà della comunità nigeriana grazie proprio a Jamal, che le racconta le storie del suo paese, e quelle dell’Ascia nera, l’organizzazione composta di stranieri che è diventata a tutti gli effetti una mafia e pare avere contatti con la criminalità locale. Da Ballarò l’indagine si va spostando nelle zone della Palermo bene e anche nei salotti della famiglia della vittima, che qualche segreto nasconde. Qualche tempo prima infatti gli Altavilla hanno subito un furto di opere d’arte, ma si sono ben guardati dall’avvertire la polizia, preoccupandosi semmai di recuperare la merce rubata con metodi discutibili. Angela si sente messa alla prova, è la sua grande occasione per fare il salto di qualità all’interno della polizia e non trascura nulla, né si lascia intimidire dalla baronessa e dalla figlia. L’intuizione, i metodi non proprio ortodossi, una buona dose di sfacciataggine e di fantasia saranno le doti giuste per questa sbirra allegra e credibile, né eroina, né votata solo alla professione, che si è fatta da sé e alla sua autonomia ci tiene, come al bicchiere di vino nella sua terrazza all’Arenella, e all’inseparabile labrador Stella. Tutt’intorno la Palermo di oggi, multietnica e accogliente sì, ma anche violenta e dura.
Daniele è un giovane poeta oppresso da un affanno sconosciuto, "una malattia invisibile all'altezza del cuore, o del cervello". Si rifiuta di obbedire automaticamente ai riti cui sembra sottostare l'umanità: trovare un lavoro, farsi una famiglia... la sua vita è attratta piuttosto dal gorgo del vuoto, e da quattro anni è in caduta "precisa come un tuffo da olimpionico". Non ha più nemmeno la forza di scrivere, e la sua esistenza sembra priva di uno scopo. È per i suoi genitori che Daniele prova a chiedere aiuto, deve riuscire a sopravvivere, lo farà attraverso il lavoro. Il 3 marzo del 1999 firma un contratto con una cooperativa legata all'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. In questa "casa" speciale, abitata dai bambini segnati dalla malattia, sono molti gli sguardi che incontra e che via via lo spingeranno a porsi una domanda scomoda: perché, se la sofferenza pare essere l'unica legge che governa il mondo, vale comunque la pena di vivere e provare a costruire qualcosa? Le risposte arriveranno, al di là di qualsiasi retorica e con deflagrante potenza, dall'esperienza quotidiana di fatica e solidarietà tra compagni di lavoro, in un luogo come il Bambino Gesù, in cui l'essenza della vita si mostra in tutta la sua brutalità e negli squarci di inattesa bellezza. Qui Daniele sentirà dentro di sé un invito sempre più imperioso a non chiudere gli occhi, e lo accoglierà come un dono. Con la lingua precisa e affilata del poeta, Daniele Mencarelli ci offre con grazia cruda il racconto coraggioso del rifugio cercato nell'alcol, della spirale di solitudine, prostrazione e vergogna di quegli anni bui, e della progressiva liberazione dalla sofferenza fino alla straordinaria rinascita.
Seguendo la traccia della Divina Commedia, e quasi ripetendone il percorso, Giulio Ferroni compie un vero e proprio viaggio all'interno della letteratura e della storia italiane: una mappa del nostro paese illuminata dai luoghi che Dante racconta in poesia. L'incontro con tanta bellezza, palese o nascosta, nelle città come in provincia, e insieme con tanti segni della violenza del passato e dei guasti del presente, è un modo per rileggere la parola di Dante in dialogo con l'attualità, ma anche per ritrovare in questi luoghi una ricchezza, storica e letteraria, che spesso fatichiamo a riconoscere anche là dove ci troviamo a vivere. Da nord a sud, dalla cerchia alpina alla punta estrema della Sicilia, da Firenze al Monferrato, da Montaperti a Verona, da Siena a Roma, Ravenna, Brindisi, si seguono con Dante i diversi volti di questo paese "dove 'l sì suona", "serva Italia", "bel paese", "giardin dell'impero": un percorso attraverso la storia, l'arte, la cultura, con quanto di essa luminosamente resiste e con ciò che la consuma e la insidia; ma anche un viaggio che riesce a restituirci, pur tra le fuggevoli immagini di uno smarrito presente, la profondità sempre nuova della nostra memoria.