Il libro del Padre Cesare Truqui ci fa comprendere quanto sia forte oggi l’esigenza di buoni scrittori e di opere che trasmettano contenuti profondi, superando la banalità di formule preconfezionate; quanto sia importante fornire, attraverso lo sviluppo delle capacità critiche, strumenti che consentano di comprendere il bello, il bene, il giusto con l’evidenza dei princìpi primi, e contemporaneamente difendere da ciò che viene inculcato con ossessiva ripetizione da più parti. È fondamentale che gli scrittori recuperino il valore del miscere utile dulci, unendo la propria esperienza personale e la propria arte alla necessità di stimolare le coscienze alla ricerca d’un senso nella vita. Un romanzo, e particolarmente un giallo, con i suoi colpi di scena, le sue vicende rocambolesche, la sua azione coinvolgente, può, meglio d’ogni altro genere letterario, aiutare i giovani, purché l’autore sia capace di scendere più nel profondo, in quel complesso labirinto ch’è nascosto dietro le apparenze della vita quotidiana e persino delle più emozionanti avventure. Il protagonista di questo giallo esprime un ideale che l’autore ha potuto perfettamente interpretare perché egli stesso è un sacerdote cattolico saldo nella sua fede. La storia personale del Padre Massimiliano, il personaggio che dalla prima all’ultima pagina accompagna il lettore, costituisce così il filo rosso che s’intreccia non solo alle vorticose e movimentate vicende da cui viene coinvolto, ma a meditazioni e a momenti d’introspezione, e a una visione del mondo che vuol esser trasmessa a chiunque legga non per meramente cercare una facile evasione. Così l’autore ha voluto mettere in rilievo come nel groviglio della vita dei personaggi risalti la presenza invisibile di una Mano che accompagna i protagonisti portando a compimento i desideri reconditi del loro animo.
Radko Suban, alter ego dell'autore, torna a Trieste dopo la drammatica esperienza del lager e la degenza nel sanatorio dove l'amore per l'infermiera francese Arlette gli ha fatto riscoprire il gusto per la vita. La città natale, con i suoi caffè che un tempo echeggiavano delle conversazioni di una intellighenzia tra le più brillanti d'Europa, è la stessa di ieri ma Radko fatica a riconoscerla, mentre le grandi potenze ne tengono ancora in sospeso il destino. La comunità slovena è più straziata che mai dopo la costituzione della Jugoslavia che un tempo sembrava incarnare l'anima della resistenza a tutti i fascismi e che già versa, appena nata, nella peggiore caricatura totalitaria. Arlette, che prometteva di aiutarlo con la sua presenza, gli scrive ma si guarda bene dal raggiungerlo. Presto Radko comprende che i rapporti che riesce a intessere sono falsati dalle ideologie, dal calcolo. Ormai dovrà avanzare su un terreno minato, eredità trasmessa dalla guerra alla pace ritrovata, ricavarsi la strada in un labirinto ostile. Imparare di nuovo a orientarsi nella notte: questo è il compito che si trova davanti. Impossibile, forse, il solo però che valga la pena di affrontare se si è uomini.
Al largo di Fjällbacka, nella nassa di un pescatore a caccia di aragoste rimane impigliato il corpo senza vita di una bambina. Nei suoi polmoni ci sono tracce d'acqua dolce e sapone: qualcuno l'ha annegata in una vasca da bagno prima di gettarla in mare. Mentre Erica, mamma da poche settimane, è completamente assorbita da una neonata che tutto le offre fuorché le "gioie deliranti della maternità" che si aspettava, Patrik guida le indagini. Ma chi può aver voluto la morte della piccola Sara? Il paese è alla ricerca di un capro espiatorio, la gente bisbiglia, i conflitti nutriti negli anni si fanno più aspri: dentro le case dalle facciate perfette affiorano drammi famigliari che il tempo non ha saputo placare. Al terzo romanzo della sua serie pubblicata in trentadue paesi, Camilla Làckberg, con occhio attento agli esseri umani e alla loro psicologia, intreccia le colpe del passato agli effetti devastanti sul presente, tracciando il ritratto lacerante di una psiche femminile sfrenata, affascinante, e mostruosa.
Nel 2009 la Corte popolare di Pechino ha processato e condannato alcuni intellettuali e giornalisti per aver partecipato alla stesura e alla diffusione di Carta 08, un manifesto civile volto a promuovere importanti riforme politiche e a sostenere la causa della difesa dei diritti umani. Un anno dopo l'ispiratore e primo firmatario del documento, Liu Xiaobo, è stato insignito del premio Nobel per la pace, ma non ha potuto ritirarlo perché rinchiuso in prigione, dove dovrà rimanere per altri dieci anni. Sfidando ancora una volta la censura di Pechino, in questa raccolta di saggi e poesie Liu Xiaobo ci offre un vasto e sconvolgente spaccato della Cina di oggi. I cittadini del paese che ambisce al ruolo di prima potenza economica mondiale vengono descritti, infatti, come cinici, ossessionati dal successo economico e personale, o come fanatici nazionalisti. Eppure, nonostante l'attuale vittoria delle forze illiberali, agli occhi di Liu Xiaobo sono evidenti le crepe che faranno implodere il sistema autoritario cinese. Ovunque nel paese stanno crescendo la disillusione giovanile, lo scollamento tra realtà concreta e ideologia politica, la rabbia contro la prepotenza dei burocrati. Malgrado la ridotta libertà d'espressione e l'oppressione del governo sulla società civile, è nel progressivo diffondersi di questi movimenti dal basso che Liu Xiaobo ripone le sue speranze, o meglio le sue certezze, di un futuro democratico anche per la Cina. Prefazione di Federico Rampini.
"Doppiare il capo", come ogni espressione nella scrittura di J. M. Coetzee, possiede molteplici significad. Di certo ha a che fare con l'idea di un passaggio, una svolta nella continuità: la possibilità, volgendo lo sguardo al cammino compiuto, di riflettere su se stessi. I saggi raccolti in "Doppiare il capo" affrontano argomenti molto diversi: letterari (Rousseau, Tolstoj e Dostoevskij, Beckett...) e non solo (da Capitan America al rugby, dalla pubblicità alla censura), restituendo la varietà degli interessi intellettuali e politici del premio Nobel sudafricano. Ma tutti, a ben vedere, sono tentativi di affrontare il medesimo tormentato problema: come dire la verità (anche su se stessi) quando quella verità potrebbe non essere nel nostro interesse. Ammesso poi che tale verità esista: "Tutto ciò che scrivi, incluso critica e narrativa, ti scrive mentre lo scrivi. La domanda allora è: questa massiccia impresa autobiografica che riempie una vita, questa imponente opera di costruzione di sé, produce solo finzioni? Oppure tra le varie finzioni, ce ne sono alcune più vere di altre? Come faccio a sapere che dico la verità su me stesso?".
In un angolo del cortile della casa di Debrecen in cui Magda Szabó visse per molti anni, c'era un vecchio pozzo ricoperto ormai da lungo tempo. Era un luogo al quale la bambina non poteva avvicinarsi e che per questo esercitava un fascino particolare. Le alterne vicende della vita e della Storia condussero poi la scrittrice lontano dalla città natia, nella casa andarono a vivere altri inquilini, il cortile fu frequentato da gente sconosciuta. Ma non per questo l'incanto di quel posto si fece meno intenso: il vecchio pozzo non era più una minaccia, anzi, le sue misteriose profondità custodivano vivi e intatti i frammenti dell'infanzia che la donna ormai adulta e famosa poteva richiamare alla memoria a ogni nuova visita. Appaiono così i genitori, due "scrittori mancati" che tuttavia non rimpiansero mai di non avere consacrato tutta la vita all'arte e diedero alla figlioletta un'educazione particolare tutta intrisa di solidi valori e antichissima cultura; emerge Debrecen, la città in cui il vento era più autentico, l'acqua più buona, le stelle più luminose, fanno capolino il Natale, gli animali, il paesaggio, gli antenati, la scuola, i giochi dell'infanzia. Accostandosi, come una novella Alice, a quel pozzo, che è allo stesso tempo cifra dell'infanzia e del suo mondo interiore, capitolo dopo capitolo Magda Szabó ci svela l'origine di un'esistenza artistica fuori dal comune.
"La memoria dell'esule". Cosi Luciana Stegagno Picchio definiva i cinque volumi dei "Cadernos de Lanzarote" in un suo saggio sullo scrittore portoghese. Nel 1993, infatti, il futuro Premio Nobel per la Letteratura, in seguito alle polemiche suscitate in patria dal suo "Vangelo secondo Gesù Cristo", si era trasferito alle Canarie, nell'isola di Lanzarote. E per cinque anni, 1993-1997, scrive una sorta di diario "pubblico" in cui racconta di sé, del suo amore per la moglie Pilar, di libri degli altri, di persone che incontra, di viaggi - l'Italia, la Cina, la Spagna, naturalmente il Portogallo -, dei suoi adorati cani, di scrittura e di scrittori, di politica, filosofia, religione, di illuminazioni, di sensazioni... Un diario sincero che è anche un viaggio tra i suoi libri - scritti e da scrivere - e delle casualità che li hanno ispirati. Come pure un viaggio dentro se stesso, perché "tutto è autobiografia", perché la vita che raccontiamo sta "in tutto ciò che facciamo", e non solo nelle parole, ma anche nei gesti.
Un piccolo spacciatore ucciso per le strade di Oslo. Un ragazzo olandese fermato in stato confusionale e coperto di sangue: il sospetto ideale sul quale concentrare le indagini. La donna che l'ha trovato, Karen Borg, è un avvocato civilista, ma il ragazzo dichiara di voler parlare solo con lei e di volerla come difensore. Ma c'è un secondo omicidio, quello di un avvocato di dubbia moralità, e sembra non avere alcun legame con il primo. Sembra soltanto, però. Spetta all'ispettrice Hanne Wilhelmsen andare a fondo su entrambi i delitti, fino a intuire collegamenti impensati. Può essere davvero possibile che droga, avvocati, corruzione e perfino servizi segreti siano legati da un'unica rete?
America settentrionale, 1660. Bethia Mayfield ha quindici anni quando una sera dal suo letto sente il padre e il fratello annunciare quella che per lei è un'insperata felicità: Caleb della tribù wampanoag, da anni suo grande amico segreto, andrà a vivere nella loro casa, dopo il battesimo e la conversione alla religione cristiana. Bethia è nata e cresciuta in una piccola comunità inglese di pionieri puritani insediatisi sull'isola di Martha's Vineyard, un lembo di terra affacciato sull'oceano atlantico, schiacciato tra la selva e il mare. È sempre stata una bambina seria e silenziosa, e ha accentuato il suo carattere solitario dal giorno in cui l'amata mamma è morta dopo aver dato alla luce la piccola Solace. Inquieta e curiosa, Bethia subisce a malincuore quello che è il destino di una ragazzina del XVII secolo: non accedere all'istruzione o, come dice Makepeace, il suo pingue e pigro fratello, essere "dispensata" dall'onere degli studi. Trascorre così le giornate occupandosi di Solace, della casa e del padre, il pastore della comunità, un uomo di specchiata e intransigente moralità. Nei momenti liberi, tuttavia, la sua ansia di sapere, il suo desiderio di conoscenza dello strano mondo e delle cose che la circondano prendono il sopravvento. Bethia se ne va in giro per l'isola, a esplorare baie e boschi, e a osservare i nativi e i loro riti, che la affascinano e al tempo stesso la turbano, tra consapevolezza di libertà e paura del peccato. Ha dodici anni quando incontra Caleb...
In tutta la sua carriera, l'ispettore di Polizia Jeanette Kihlberg non ha mai visto niente di simile: il corpo giace seminascosto in un cespuglio in uno squallido quartiere periferico di Stoccolma. Un ragazzo, una vittima di un omicidio brutale, un cadavere perfettamente mummificato. Jeanette capisce che da sola non può farcela, il suo intuito investigativo non basta per capire quali abissi nasconde la mente che ha concepito questa messa in scena. Chiede aiuto a Sofia Zeltelund. psichiatra, esperta di personalità multipla. Al primo omicidio ne seguono altri, tutti con le stesse modalità. Jeanette e Sofia incominciano insieme un viaggio all'inferno, alla ricerca di un serial killer. Tutte e due si pongono le stesse domande: quanto deve soffrire una persona per trasformarsi in un mostro? E quanto stravolgerà la loro vita questa caccia all'uomo, questa guerra contro il tempo e contro la distruzione? Un libro duro e cupo dal ritmo incalzante, un thriller che spicca in un panorama letterario nordico ricco di autori di bestseller come Stieg Larsson e Lars Kepler. Un esordio che è diventato un caso editoriale nel Nord Europa, che ha stupito la critica e che è balzato in vetta alle classifiche. Un romanzo sul male che trasforma la vittima in carnefice, che si insinua nel lettore e che non lo abbandona più...
Durante la battaglia di Solferino, il luogotenente di fanteria Joseph Trotta salva la vita al giovane imperatore Francesco Giuseppe. Ma questo gesto eroico, travisato dalla retorica del potere, sancirà il declino della famiglia e diventerà lo specchio della fine dell'impero. Parallelamente al dissolvimento della dinastia asburgica, i protagonisti del romanzo saranno attraversati dalle inquietudini di quegli anni, che finiranno per compiersi fatalmente nella tragedia della Grande Guerra. Prefazione di Claudio Magris.
Storia di una passione che si tinge di follia, "L'Incantatore" può essere considerato, come Nabokov stesso ha scritto, la "prima pulsazione" di "Lolita". Qui lo sfondo su cui si muovono i tre personaggi - un quarantenne vizioso, un'innocente ragazzina di dodici anni e la sua patetica madre malata - è la Francia di fine anni Trenta, da Parigi alla Costa Azzurra, meta finale dell'affannoso viaggio del protagonista con la sua piccola vittima. Protagonista che appare, attraverso il prisma dell'ironia nabokoviana, sotto luci contrastanti: da un lato essere perverso che osa l'impossibile per soddisfare gli istinti, dall'altro uomo che nei rari momenti di lucidità vuole fuggire da se stesso e, disgustato, cerca di riscattarsi. Nabokov alterna alla piana narrazione dei fatti metafore abbaglianti, incursioni in un mondo di fantasie fiabesche, implacabili analisi interiori, distorsioni visive e percettive che trasmettono al lettore i turbamenti e le oscillazioni psichiche del suo antieroe. Ma a scandire il ritmo del romanzo sono soprattutto l'incalzare della suspense e il gioco degli imprevisti disseminati dal destino sul percorso tortuoso del protagonista, intento a ordire la sua trama mentre corre verso la rovina.