Questo è il buio degli anni raccontati da Zhang Jie nel seguito di Senza parole, sontuoso affresco di storia, vita e passioni. Lontano dai tormenti di Wu Wei nel suo amore per Hu Bingchen, dal sofferto rapporto con la madre Ye Lianzi e con il suo passato, ogni istante è pervaso ora dal buio della guerra civile. Le armi e gli uomini spezzano legami, distruggono valori e, spazzata via dall’interno la propria cultura millenaria, l’intero paese viene costretto a compiere il balzo "dal medioevo alla fantascienza" con una violenza cieca e disperata che nessun altro popolo ha mai conosciuto.
Un paradosso che ancora oggi oscura il cuore della Cina, nazione di naufraghi in balia di una modernità che li ha schiacciati e travolti, e di cui la maestria di Zhang Jie ci restituisce una miriade di storie intense, feroci, toccanti, uniche.
“È la morte di quell’uomo ad attrarla, Terradillos? È l’immagine, la stessa che continua ad alimentare i miei incubi malgrado non l’abbia vista con i miei occhi, di Bevilacqua disteso sul marciapiede, il cranio a pezzi, il sangue che scorre giù, verso il tombino, come se volesse fuggire dal corpo inerte, come se non volesse aver parte in quell’abominevole crimine, in quella fine così ingiusta, così inaspettata? È questo che cerca?”
Una domenica mattina il cadavere di Alejandro Bevilacqua viene trovato, per strada, riverso nel sangue. Ma perché e come sia morto, a distanza di trent’anni, non è ancora del tutto chiaro. Si è gettato dal balcone di quella casa di Madrid, così come lascia intendere la pratica archiviata della polizia, o in quell’appartamento è successo qualcosa? Qual è la verità e come si può scoprirla partendo dall’assunto che, come recita il Libro dei Salmi, tutti gli uomini sono bugiardi e che non sempre il tradimento è mancanza di lealtà? E chi è, e chi è stato, Alejandro Bevilacqua?
A questi interrogativi cerca di rispondere un giornalista francese che per ricostruire la vicenda ascolta le testimonianze di chi ha conosciuto quell’Alejandro Bevilacqua ormai intrappolato nell’etichetta di romanziere argentino suicida: il confidente, l’amante, il compagno di prigionia nelle celle di Buenos Aires, l’esule delatore e, attraverso le loro parole, altri personaggi che si muovono nella Madrid della fine degli anni settanta, ancora oscura e grigia, rifugio e speranza per i dissidenti latinoamericani. Quella che emerge dall’inchiesta è la figura di un uomo che è contemporaneamente molti uomini, inafferrabile, indefinibile, inconoscibile.
Tutti gli uomini sono bugiardi è un romanzo storico, poliziesco e metaletterario, un “giallo dell’identità” carico di tensione, dove Manguel gioca con la letteratura e con se stesso. Un grande romanzo sudamericano sulla verità e sulla finzione.
Nel 1975, dopo una guerra di liberazione, l’Angola cessa di essere una colonia portoghese e conquista formalmente l’indipendenza. Ryszard Kapuściński, che nella sua carriera di reporter ha seguito ben ventisette rivoluzioni, era là anche questa volta. Da allora sono trascorsi molti anni e a prima vista ci si potrebbe domandare che senso abbia riproporre avvenimenti così lontani. A parte il fatto che quella guerra si protrae, in diverse forme, fino a oggi, ogni libro di Kapuściński, oltre che una cronaca delle battaglie e dei fatti politici, offre sempre la descrizione di un mondo diverso dal nostro, osservato con l’occhio curioso di un bambino e la freschezza di un adolescente. Intrappolato nell’assedio di Luanda, l’autore narra, spesso con umorismo, quello che succede in tempo di guerra in una “città chiusa”, dalla quale tutti scappano come topi da una nave che affonda: prima i portoghesi con i loro beni e masserizie, poi i negozianti, la polizia, i tassisti, i barbieri, i netturbini e, infine, anche i cani. Attento in primo luogo agli esseri umani, l’autore fa vivere con tratti affettuosi e vivaci le poche, umili e belle persone con cui ha stretto amicizia e con le quali ha condiviso i momenti di sconforto, privazione e paura: dona Cartagina, Diogene, il comandante Farrusco, il proiezionista dell’unico cinema rimasto aperto in città. E poi c’è Carlotta, una soldatessa giovane e bella cui Kapuściński dedica un ritratto così commosso e delicato da farne un personaggio indimenticabile.
Da molti anni, la nipote prediletta del potente industriale Henrik Vanger è scomparsa senza lasciare traccia. Il corpo non è mai stato ritrovato. Quando, ormai vecchio, Vanger riceve un dono che riapre la vicenda, incarica Mikael Blomkvist, noto giornalista investigativo, di ricostruire gli avvenimenti e cercare la verità. Aiutato da Lisbeth Salander, abilissima hacker, Blomkvist indaga a fondo la storia della famiglia Vanger, ma più scava, più le scoperte sono spaventose.
Un misterioso viaggiatore dai capelli biondi arriva a Sikri, sede della corte Mogol, e chiede udienza al sovrano Jalalluddin Muhammed Akbar, detto Akbar il Grande. Lo straniero afferma di venire da una sconosciuta, remotissima città di nome Firenze e di avere una storia tanto meravigliosa quanto veritiera da raccontare: una storia che lega i destini della misteriosa capitale d'Occidente da cui proviene a quelli della discendenza del monarca indiano. Inizia così un racconto che, unendo una pirotecnica inventiva a una minuziosissima documentazione, si snoda tra figure storiche gigantesche, una fra tutte Machiavelli, e vede tra i protagonisti l'enigmatica Qara Köz, Madama Occhi Neri, principessa destinata a sconvolgere con la sua esotica e rara bellezza la raffinata corte medicea. Quanto c'è di vero nel racconto del viaggiatore, il quale afferma di non essere altri che il figlio di Qara Köz? E se ciò che racconta è vero, che ne è stato della principessa? Non si tratterà invece di un bugiardo che, in quanto tale, merita solo la morte? Dopo il successo di Shalimar il clown, torna uno dei massimi autori angloindiani viventi con un romanzo che indaga con magistrale sapienza i mille, inesplorati legami che uniscono una delle massime stagioni storiche europee, il Rinascimento florentino, a una delle corti più splendide d'Asia, immortalata all'apice della sua fioritura.
Infine, l'attesa si compie: ecco la terza parte, quella conclusiva, del grande romanzo di Javier Marías. La vicenda è quella ormai nota: Jaime Deza - che amici, colleghi e familiari chiamano Jacobo, Jack, Jacques, ma anche Yago - è al servizio di un misterioso centro di spionaggio inglese che sfrutta il suo straordinario talento di interpretare le potenzialità di un carattere, di saper leggere il volto delle persone e di prevederne così i comportamenti. Dal rapporto con Tupra, il suo superiore, Jaime Deza apprende - dal vivo e con pratiche dove ogni scrupolo viene messo da parte - cosa sia la violenza, come dietro l'apparenza della realtà vi siano oscuri e inestricabili intrecci e finisce per conoscere il vero volto di chi lo circonda, e anche il suo. Allo stesso tempo deve congedarsi per sempre da due figure fondamentali: il padre e Sir Peter Wheeler; grazie all'esperienza diretta della Guerra Civile spagnola, il primo ha saputo trasmettergli la coscienza di quanto il tradimento e la delazione siano presenti nell'essere umano, mentre il secondo lo ha introdotto nel misterioso mondo dei «traduttori di anime», dove gli scopi finali delle azioni non sono mai trasparenti e spesso la legalità è messa tra parentesi. Nella sua condizione di spagnolo trans-terrado nell'«isola grande», Jaime è infine obbligato a confrontarsi con la solitudine provocata dalla lontananza dei figli ancora piccoli e della moglie Luisa: una solitudine che la presenza della giovane Pérez Nuix non riesce certo a colmare.
Incentrato sul tema del tempo e della memoria, e pervaso da una irridente levità ironica, questo terzo e ultimo volume del suo progetto narrativo più ambizioso conferma il talento di Javier Marías, da molti ormai considerato fra i più autorevoli scrittori europei.S
A intervalli regolari di qualche mese, Tridib compare alla porta di casa dei suoi zii e cugini. Le gambe incrociate strette, la fronte coperta di sudore, dopo i necessari convenevoli imposti dall'etichetta, si precipita direttamente nella stanza da bagno, spinto dai capricci del suo apparato digerente, rovinato dai fiumi di tè nero ingollati nei chioschi ai margini delle strade di Calcutta. Quando ne riemerge, mostra il consueto piglio disinvolto del figlio di un funzionario del Foreign Office abituato agli agi di una spaziosa casa avita. Sprofondato nel divano buono, inizia a dissertare sui più svariati argomenti: le stele mesopotamiche, il jazz dell'Est europeo, i costumi delle scimmie arboricole, il teatro di Garcia Lorca e, soprattutto, l'Inghilterra, abitata da compite fanciulle come la signorina Price. Incantato, il cugino più piccolo di nove anni non perde una parola delle sue storie fantastiche, delle sue mirabolanti descrizioni di un'Inghilterra leggendaria e lontana. Assorbe a tal punto l'arte di narrare di quel parente bizzarro dal volto magro e stizzoso, dai capelli arruffati e dagli occhi neri che scintillano dietro le lenti cerchiate d'oro, da essere capace lui stesso, crescendo, di dare voce ai ricordi della sua infanzia, alle vicende della sua famiglia e a quelle più grandi dell'India moderna.
“Come faccio
a capire se è amore o infatuazione?” chiese.
“All’inizio la differenza non si vede,”
rispose il Señor Peregrino.
“Ci vuole tempo prima di riuscire a capire.
Ma ciò che ha un valore autentico resiste alla
prova del tempo.
E con l’amore non è diverso.”
“Una storia di redenzione e fede
alimentate dalla forza dell’amore:
Cecilia Samartin
offre un’illuminante prospettiva
sul vero significato della bellezza.”
Publishers Weekly
“Incredibilmente intenso,
senza essere sentimentale.”
Kirkus Review
“Realismo e illusione si fondono
in una storia piena di vita.”
Dallas Morning News
“Il personaggio di Jamilet
è un ritratto dal grande fascino letterario.”
Entertainment Weekly
Jamilet è una bellissima ragazza messicana con un segreto che non si può né si deve rivelare: il suo corpo è segnato da un “marchio diabolico”, una “voglia” che le ricopre il collo, la schiena e le gambe. Il naturale disagio che prova mette in discussione ogni aspetto della sua vita, costringendola a vivere ritirata e a fuggire le compagnie, buone o cattive che siano: nessuna libertà, nessuna prospettiva. C’è un’unica cosa da fare: andarsene, dare una svolta radicale alla propria esistenza lontano dalla sua casa e dalla sua gente. Emigrata clandestinamente negli Stati Uniti, Jamilet incontrerà il suo destino nella figura di un originale paziente della clinica in cui ha trovato lavoro: il Señor Peregrino del titolo. Obbligandola con un sottile ricatto ad ascoltare la storia della sua vita e di un meraviglioso pellegrinaggio a Santiago de Compostela, il vecchio saggio trasformerà la mente di Jamilet, mettendola dinanzi alle sue paure e fornendole la consapevolezza necessaria per vincerle una volta per sempre. Da un’autrice salutata dalla critica e dal pubblico come “una nuova Isabel Allende”, un romanzo di fede e di redenzione, e insieme un grande omaggio al potere magico e liberatorio della parola.
“Scrutò il mio palmo per lunghi minuti,
e lo guardai anch’io, come se non l’avessi
mai visto prima. Era attraversato da pieghe,
sporco, pieno da croci e solchi profondi
che lo tagliavano in due. Mi era capitato
di vedere palmi senzaquasi un segno.
Il mio non era uno di quelli, anzi, ne era ben
lontano. Rimasi ad aspettare, come in attesa
di un verdetto. ‘Un vero e proprio atlante,’
disse, le sue dita seguivano le linee più lunghe
sul mio palmo. ‘Che fiumi di desiderio,
che montagne di ambizione!’ ‘Volevo cioè,
speravo’ ‘Voglio voglio, voglio, spero, spero,
spero,’ ripeté a pappagallo l’astrologo,
‘è proprio quello che dice anche la tua mano,
il tuo palmo non è nient’altro che un atlante
di desideri impossibili’. Toccò la linea
della vita e disse: ‘Nient’altro che desiderio’.”
La storia d’amore tra due persone
che si ritrovano quando
il resto del mondo li ha abbandonati
Anuradha Roy ci racconta la storia epica di una famiglia bengalese del Ventesimo secolo che inizia sulle sponde di un fiume in piena, pronto a travolgere ogni cosa, minaccioso e infinitamente distruttivo. In un luogo pieno di colori intensi e profumi speziati, dove i gelsomini fioriscono nei sobborghi e il ruggito della tigre solca il silenzio delle lunghe notti, una famiglia, appena giunta in città, fa conversazione intorno a un tavolo. Sotto il chiacchiericcio leggero scorre però una corrente tumultuosa. Nirmal sogna la felicità con una cugina vedova a cui però non può aspirare; sua figlia Bakul, orfana di madre, pensa solo a come sfuggire alla noia della cena. Vorrebbe correre libera insieme a Mukunda, un orfano senza casta adottato dalla famiglia. In una stanza all’ultimo piano della casa, la matriarca della famiglia farfuglia parole senza senso, ma felice di gridare oscenità con tutta l’aria che ha nei polmoni. Nel frattempo Amulya, lo stanco patriarca, dedica tutto il suo tempo al giardino mentre la sua dinastia si sta lentamente disfacendo davanti ai suoi occhi. Anuradha Roy scrive con un ritmo che seduce il lettore, conducendolo nell’intricata, incantevole storia di una famiglia travolta da amore e desiderio, rifiuto e accettazione, conformismo e ribellione. Una storia commovente nella sua nostalgia per ciò che è destinato a perdersi per sempre, e il profondo desiderio per ciò che non arriverà mai.
53-52 a.C. Margiana Orientale. Dopo la sconfitta umiliante dell’esercito di Crasso a Carre, diecimila legionari superstiti vengono catturati dai Parti e per evitare la morte accettano di combattere per i loro carcerieri. Sono la Legione dimenticata. Tra quei legionari ci sono anche Romolo, Brenno e Tarquinio. Uniti dall’amicizia, dal destino avverso e dal desiderio di riconquistare la libertà, i tre guerrieri combattono per difendersi dai sanguinosi attacchi delle tribù che minacciano quei territori, e, allo stesso tempo, sventano le trame di alcuni ufficiali parti che vogliono la loro morte.
Nel frattempo, in Occidente, mentre è in viaggio verso la Gallia per incontrare Bruto, suo fidanzato e braccio destro di Cesare, anche Fabiola, la sorella gemella di Romolo, combatte per la sua sopravvivenza, animata dalla consapevolezza che la sua vita senza Bruto non conti niente. La ribellione dei Galli è dura e sanguinosa e mette in pericolo non solo l’ascesa di Cesare al potere, ma anche la sua vita e quella di tutti coloro che lo sostengono.
Intanto i legionari, grazie a una visione concessa dal dio Mitra a Tarquinio l’aruspice, riescono a trovare la via di fuga dalla Margiana Orientale, ma solo due di loro arriveranno in Occidente, dove Fabiola, una volta ritrovato Bruto e averlo seguito nella campagna contro Pompeo, sta per tornare a Roma. L’obiettivo di tutti è raggiungere la città natale, e il destino sembra prefigurare un loro ricongiungimento, ma nonostante gli sforzi, la meta è ancora lontana.
Lazarus Averbuch ha diciannove anni e nient'altro che una busta in mano quando una mattina di marzo bussa alla porta del capo della polizia di Chicago. Lazarus è solo uno dei tanti immigrati che provano a tirare avanti nell'America del 1908, un ebreo fortunosamente sopravvissuto ai pogrom dell'Europa orientale e un fratello affettuoso per Olga. Non c'è nulla di minaccioso in lui, vuole solo consegnare quella lettera: ma quando il capo della polizia lo vede - spaventato dalla «fisionomia straniera» del ragazzo - afferra la pistola e lo uccide. Immediatamente le autorità costruiscono il caso del sanguinoso anarchico che voleva attentare alla vita del poliziotto: una motivazione più che sufficiente per dare il via a misure ulteriormente repressive nei confronti degli immigrati.
Quando un secolo dopo, ai giorni nostri, l'aspirante scrittore Vladimir Brik si imbatte nella vicenda di Lazarus, capisce che deve raccontarla: anche lui è un immigrato - è arrivato da Sarajevo poco prima dello scoppio della guerra nei Balcani - e solo riportando in vita il «suo» Lazzaro, strappandolo «alla nebbia della storia e del dolore», riuscirà a placare i fantasmi che lo tormentano. Insieme all'amico Rora - fotografo di guerra, giocatore d'azzardo, gigolò e straordinario bugiardo - si mette sulle tracce di Lazarus in un viaggio che li porterà, come due improbabili cavalieri erranti, ad attraversare l'Europa, dall'Ucraina alla Moldavia, da Bucarest a Sarajevo, in un crescendo di avventure (ma soprattutto disavventure) in cui la frontiera più attraversata è quella tra la realtà e l'immaginazione letteraria.
Un giorno, quando Sampat è ancora piccola e ha i piedi a mollo in una risaia, vede passare un gruppo di bambini. Ordinati e puliti, non sono certo diretti al lavoro nei campi. Vanno a scuola, le dice qualcuno. Sampat non sa bene cosa sia la scuola, ma sa che solo i ricchi ci vanno. Ai poveri, i figli servono nei campi. Sampat è più che povera, appartiene a una delle caste più basse dell’India, è quasi un’intoccabile, e vive in un poverissimo villaggio dell’Uttar Pradesh. Il suo destino sembra segnato.
Ma lei è una bambina sveglia e quel giorno decide di andare a scuola con gli altri. Ci andrà molte altre volte, all’inizio restando in disparte, dimostrando un’intelligenza pronta e un innato senso di giustizia.
Nulla può però contro le millenarie tradizioni del suo paese. Ha solo dodici anni quando, come è consuetudine, viene data in sposa a un uomo ben più vecchio. Non conosce il marito, non sa nulla del matrimonio, non ha ancora raggiunto la pubertà. Non è che una bambina. Da quel momento la consuetudine vuole che lei sia silenziosa e si sottometta al marito, alla suocera e ai soprusi di chiunque appartenga a una casta più elevata. Perché così si deve fare. Perché quello, le dicono, è il suo destino.
Ma Sampat non sopporta le prevaricazioni, e non accetta di essere considerata inferiore a nessuno. Quando osa reagire all’ennesima angheria, la suocera la caccia di casa, insieme ai due figli che intanto sono nati. Potrebbe essere la fine, e invece è un nuovo inizio. In poco tempo, diventerà la paladina degli oppressi, soprattutto delle donne. Che in migliaia, da tutta l’India, si uniscono a lei per dare il via a una rivoluzione rosa, dal colore del sari che hanno scelto come divisa. Un’onda rosa che fa paura a chi non vuole che le cose cambino.