"La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare." Perché comunicano a ognuno qualcosa di personale e accompagnano diversi momenti della nostra vita, innescando con noi un dialogo intimo al di sopra dello spazio e del tempo. Per questo Cees Nooteboom, nel corso di trent'anni di viaggi per il mondo e attraverso i cieli della letteratura, ha visitato le tombe dei grandi scrittori e filosofi che lo hanno segnato, raccogliendo quello che, dietro una lapide di marmo, un monumento bizzarro, un'epigrafe toccante o l'incanto di un'atmosfera, hanno ancora da raccontare. Dal famoso Père-Lachaise di Proust e Oscar Wilde alla pittoresca collina sopra Napoli che ospita Leopardi, dalla cima del monte Vaea, nelle isole Samoa, dove è sepolto R.L. Stevenson, a Joyce e Nabokov in Svizzera. Calvino a Castiglione della Pescaia, Melville in un angolo sperduto del Bronx, e Kawabata nel suo Giappone; Keats e Shelley accanto a Gregory Corso nel romantico Cimitero Acattolico di Roma; Brecht a due passi da Hegel a Berlino est; Brodskij insieme a Pound nell'isola veneziana di San Michele, e il Montparnasse di Baudelaire, Beckett e Sartre, a cui ha scelto di unirsi anche Susan Sontag.
Il Tram 83 è il giardino delle delizie e l'allucinato epicentro della "Città-Paese", capitale di un imprecisato ma riconoscibile stato africano: prostitute di ogni età, musicisti scalcagnati, turisti a scopo di lucro, minatori alcolizzati e faccendieri carichi di soldi sporchi, stranieri in cerca di fortuna e locali in cerca di un diversivo alla miseria si incrociano e rimescolano nel bar a luci rosse più fornito - di bevande, divertimento e carne di cane - della città. È la frontiera africana, niente regole e l'imperativo categorico della sopravvivenza per tutti. Requiem, infaticabile maestro di traffici, e Lucien, scrittore spiantato e idealista in arrivo dall'entroterra, si rivedono dopo molti anni. Coinvolto negli affari loschi di Requiem, Lucien incontra un eccentrico editore e si avventura in un'impresa letteraria dagli esiti dubbi, in mezzo al carnevale esplosivo e disperato del Tram 83, dove le smanie e i gesti sono sfrenati come la corsa all'oro che ha messo a soqquadro il paese, e il vuoto è dietro l'angolo: "Questo è il Nuovo Mondo, ognuno per sé e la merda per tutti".
Amica della mia giovinezza, la settima raccolta di Alice Munro, usciva in Canada nell'ottobre del 1990 e consegnava a lettori ormai affezionati un decalogo di storie ancora una volta impareggiabili. Il libro si qualifica oggi come cardine di una produzione senza cedimenti, perno di un discorso e di un percorso sul Canada e la vita, sugli amori e sul mondo inesauribile delle relazioni. Le storie di questa raccolta tornano ai consueti ritratti stratiformi e intensi di donne e uomini che Alice Munro ci ha proposto altrove, ma lo fanno con un tasso di salinità piú elevato, un registro narrativo di sfrontata consapevolezza. Circola aria di Vancouver, e di una Vancouver anni Settanta, in alcuni di questi racconti, un senso di piovosa sensualità mescolato all'asprezza di donne in bilico su presunte vite nuove. In Five Points lo squarcio sul passato di un amante innesca la possibilità dell'odio dentro un amore recente, passionale. In un altro caso, Parrucca, l'incontro con un'amica persa di vista da trent'anni rinnova ricordi di vecchissimi ardori destinati a un unico marcantonio senza scrupoli. Nel narrato di Munro il tempo può scorrere lento come lo sgocciolio di una gelatina d'uva in una torrida sera d'estate (avviene nel notturno racconto Meneseteung), e rapido come il semplice salto di un rigo sulla pagina, nel cui spazio bianco volano decine d'anni e di ripensamenti. E se la strada che scelgono di imboccare i personaggi di queste storie punta spesso in direzione dell'indipendenza, di un'autonomia del corpo e della mente da legami e catene familiari, vi resta inscritta comunque la fatica di ogni metro percorso. La vita cambia, è vero, il futuro sorprenderà ciascuno diverso da com'era, ma niente potrà cancellare gli imbarazzi attraversati, l'improvviso disgusto per un privato desiderio che si specchia nella volgarità di un gesto o di un pensiero, le meschine soddisfazioni della vita coniugale. È in questo esserci sempre tutto il bagaglio della vita, in ogni battuta di dialogo, in ogni sofisticata opzione sintattica, che si costruisce ogni volta il peso specifico aureo della scrittura di Alice Munro.
A Mezudat Ram, un kibbutz isolato nel Nord del paese, circondato da nemici e sormontato dall'ombra di cupe montagne, si svolge la vita di una comunità di coloni, dediti all'agricoltura e all'allevamento, allo sport, alla musica, al dibattito, ma soprattutto alla purificazione. A trent'anni dalla fondazione del kibbutz, infatti, sono essenzialmente gli ideali di miglioramento personale e collettivo che sostengono i kibbutzim e il miglioramento si attua anche grazie al pettegolezzo. Questo spiega la voce narrante di un colono che guida il lettore - non senza malizia e ironia - alla scoperta degli abitanti del kibbutz, concentrandosi soprattutto sulla famiglia di Ruben Harish. Questi è tra i più convinti sostenitori di una vita pacifica e collettiva, l'instancabile cantore delle virtù di un'esistenza semplice e illuminata, il poeta del kibbutz. La moglie Eva lo ha abbandonato per fuggire con un cugino in visita a Mezudat Ram come turista. Si è sposata, vive in Germania e aiuta il nuovo marito a gestire un night-club. Ruben lo ha accettato senza lamentarsi, sprofondando in una tristezza nobilitata dai doveri di maestro, guida turistica e poeta. È rimasto solo col figlio Gai e la figlia Noga e, per consolarsi, ha iniziato una blanda relazione con un'amica Bronka, un'insegnante sposata, madre di due figli...
Germania, 1936. Nel campo di concentramento di Westhofen, sul lato corto della baracca III, si ergono sette tronchi di platani con delle assi inchiodate ad altezza delle spalle di un uomo. Fahrenberg, il comandante del campo, un pazzo colto da improvvisi accessi d'ira e di crudeltà, ha ordinato quello strano allestimento con un fine preciso: quei tronchi sono le sette croci su cui ha giurato di appendere i sette uomini che hanno osato evadere da Westhofen: Wallau, Füllgrabe, Beutler, Belloni, Aldinger, Pelzer, Heisler, uomini piegati da dozzine di interrogatori, sofferenze e torture. Uomini che hanno scelto la fuga perché persuasi che soltanto la morte possa salvarli o, all'opposto, perché mossi da un insopprimibile istinto di sopravvivenza. Vengono riacciuffati uno dopo l'altro - chi per sorte avversa, chi perché troppo vecchio, chi perché troppo debole, chi perché reso fuori di senno dalla fuga eccetto Georg Heisler. Un'irrefrenabile voglia di vivere, più forte di ogni paura, più forte della fame e della sete e del maledetto pulsare di una mano sanguinante, guida il giovane Heisler e lo tiene miracolosamente lontano dalla settima croce del campo. Proprio quando ogni sogno di libertà sembra spento in lui, insieme alla percezione stessa del pericolo, ecco l'evento inaspettato: alcuni tedeschi decidono di mettere a repentaglio la propria vita, nel "giardino delle bestie" del Terzo Reich, in nome dell'umanità e dell'amicizia.
Due coppie sono a cena in un ristorante di lusso. Chiacchierano piacevolmente, si raccontano i film che hanno visto di recente, i progetti per le vacanze. Ma non hanno il coraggio di affrontare l'argomento per il quale si sono incontrati: il futuro dei loro figli. Michael e Rick, quindici anni, hanno picchiato e ucciso una barbona mentre ritiravano i soldi da un bancomat. Le videocamere di sicurezza hanno ripreso gli eventi e le immagini sono state trasmesse in televisione. I due ragazzi non sono stati ancora identificati ma il loro arresto sembra imminente, perché qualcuno ha scaricato su Internet dei nuovi filmati, estremamente compromettenti. Paul Lohman, il padre di Michael, si sente responsabile. Si riconosce nel figlio perché hanno molto in comune, non ultima l'attrazione per la violenza. Non può lasciare che trascorra la sua vita in galera. Serge, il fratello di Paul, è il padre dell'altro ragazzo, il complice. Secondo i sondaggi Serge Lohman è destinato a diventare il nuovo Primo ministro olandese. Se l'omicidio verrà rivelato, sarà la fine della sua carriera politica. Babette, la moglie di Serge, sembra più interessata ai successi del marito che al futuro del proprio ragazzo. Claire, la moglie di Paul, vuole proteggere il figlio a ogni costo. Ma quanto sa di ciò che è realmente accaduto? Due coppie di genitori per bene durante una cena in un bel ristorante. Cosa saranno capaci di fare per difendere i loro figli?
Nel luglio del 1945 un sopravvissuto della Seconda guerra mondiale raggiunge un campo profughi in Svezia. Ridotto pelle e ossa, ormai allo stremo dopo gli anni del conflitto, e nonostante i medici gli dicano che ha pochi mesi di vita Niklós, questo il suo nome, non si arrende. Sceglie di vivere. Compila una lista di 117 giovani donne, ungheresi come lui, che hanno trovato asilo in un altro campo profughi svedese e invia a ognuno di loro lettere elegantemente scritte a mano. Di una cosa è certo: una di loro diventerà sua moglie. Ispirato dalle incredibili, divertenti lettere del padre dell'autore, "Febbre all'alba" è una storia sulla speranza e sulla sorprendente forza che ogni uomo, anche nei momenti più bui, sa trarre dal desiderio di vivere e amare.
Se la guerra la raccontano le donne, quando prima l'hanno raccontata solo gli uomini... se a farla raccontare è Svetlana Aleksieviéc... se le sue interlocutrici avevano in gran parte diciotto o diciannove anni quando, perlopiù volontarie, sono accorse al fronte per difendere la patria e gli ideali della loro giovinezza contro uno spietato aggressore... allora nasce un libro come questo. 22 giugno 1941: l'uragano di ferro e fuoco che Hitler ha scatenato verso Oriente comporta per l'URSS la perdita di milioni di uomini e di vasti territori e il nemico arriva presto alle porte di Mosca. Centinaia di migliaia di donne e ragazze, anche molto giovani, vanno a integrare i vuoti di effettivi e alla fine saranno un milione: infermiere, radiotelegrafiste, cuciniere e lavandaie, ma anche soldati di fanteria, addette alla contraerea e carriste, genieri sminatori, aviatrici, tiratrici scelte. La guerra "al femminile" - dice la scrittrice - "ha i propri colori, odori, una sua interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti e anche parole sue". Lei si è dedicata a raccogliere queste parole, a far rivivere questi fatti e sentimenti, nel corso di alcuni anni, in centinaia di conversazioni e interviste. Cercava l'incontro sincero che si instaura tra amiche e quasi sempre l'ha trovato: le ex combattenti e ausiliarie al fronte avevano serbato troppo a lungo, in silenzio, il segreto di quella guerra che le aveva per sempre segnate...
Il 1887 rappresenta una data storica nella letteratura poliziesca. Nasce in quell'anno il più celebre detective di tutti i tempi: Sherlock Holmes. Anche se "Uno studio in rosso", il primo romanzo della serie, passò praticamente inosservato, qualche anno dopo però "Il segno dei Quattro" fu accolto con un favore di pubblico tale da rimanere celebre nella storia letteraria. Per quarant'anni Doyle continuò a inventare storie sul celebre detective e sul suo inseparabile aiutante, amico e voce narrante, il dottor Watson, creando un modello destinato a esercitare un'influenza decisiva su tutta la letteratura poliziesca. Da "Uno studio in rosso" a "Il segno dei Quattro", dal ben noto "Mastino dei Baskerville" a "La Valle della Paura", a "Le avventure di Sherlock Holmes", l'investigatore si confronta con un caleidoscopio di casi sempre più complessi ricorrendo spesso al suo stratagemma preferito: travestirsi, da prete, da marinaio o da mendicante. Nell'ultima avventura delle Memorie di Sherlock Holmes, Doyle, ormai stanco del personaggio, ne decreterà la morte facendolo precipitare in un abisso. Sarà poi costretto dalle proteste del pubblico a farlo resuscitare: eccolo in gran forma nel "Ritorno di Sherlock Holmes". "L'ultimo saluto" raccoglie quattro straordinarie storie dell'investigatore, ancora agile e lucido nonostante gli anni. "Il Taccuino di Sherlock Holmes", l'insuperabile detective si aggira tra maggiordomi, tappeti persiani e preziosi servizi da tè.
Il palcoscenico è deserto. Il grido echeggia da dietro le quinte. Il pubblico in sala a poco a poco si zittisce. Un uomo con gli occhiali, di bassa statura e di corporatura esile, piomba sul palco da una porta laterale. Signore e signori un bell'applauso per Dova'le G.! C'è qualcosa di strano nella serata. Tra le sedie c'è un intruso, trascinato fino a quella cittadina poco raccomandabile da una telefonata inattesa: è l'onorevole giudice Avishai Lazar, amico d'infanzia di Dova'le. Deve giudicare la vita intera di quello che, lo ricorda solo ora, era un ragazzino macilento e incredibilmente vivace, con l'abitudine stramba di camminare sulle mani. Dova'le sul palco si mette a nudo, e imprigiona la sala nella terribile tentazione di sbirciare nell'inferno di qualcun altro. Nella storia di un bambino che camminava a testa in giù e da quella posizione riusciva ad affrontare il mondo. Un ragazzino che al campeggio paramilitare viene raggiunto dalla notizia della morte di un genitore e deve partire per arrivare in tempo al funerale. Ma chi è morto? Nessuno ha avuto il coraggio di dirglielo, o forse lui non ha compreso. Il giovane Dova'le ha un viaggio intero nel deserto per torturarsi con l'angoscia di un calcolo oscuro che gli avvelena la testa. Mio padre o mia madre? Ora eccolo, quel ragazzino, ancora impigliato nell'estremo tentativo di venire a capo di quella giornata lontana, ancora incapace di camminare dritto.
Un ragazzo ama una ragazza. Tutte le storie, anche quelle più complicate, nascono da questa semplice, universale premessa. Mevlut l'ha incontrata una sola volta: i loro sguardi si sono incrociati di sfuggita al matrimonio di un parente a Istanbul. Eppure è bastato quell'attimo di perfezione e felicità a farlo innamorare. Süleyman, il cugino, gli ha detto che delle tre figlie di Abdurrahman, quella che ha visto Mevlut, quella di cui si è innamorato, è senz'altro Rayiha. Da allora non l'ha più rivista ma, per tre anni, Mevlut le scrive le lettere più appassionate che il suo cuore riesce a creare. Finché un giorno capisce che l'unico modo di coronare il suo sogno è scappare con Rayiha, di fatto rapendola dalla casa paterna in cui è rinchiusa. Così, una notte di tempesta, mentre Süleyman aspetta con un furgone in una strada poco lontana, Mevlut e la sua amata si riuniscono. Nulla potrà andare storto ora, nulla potrà più dividerli, pensa lui. Poi un lampo illumina la scena e rivela il volto di Rayiha: quella non è la ragazza a cui Mevlut ha creduto di scrivere per tutto quel tempo, non è la ragazza di cui si è innamorato a prima vista tre anni prima! Chi ha ingannato Mevlut? E come si comporterà ora il nostro eroe?
Tutti gli amanti dei felini lo sanno: i nostri raffinati amici a quattro zampe adorano i libri. Non perdono occasione per accoccolarvisi sopra, per mordicchiarne la copertina, per sdraiarsi, se solo commettiamo l'errore di non dare loro le dovute attenzioni, tra il nostro sguardo e le pagine. Ma dentro i libri, altrettanto spesso, ci finiscono, grazie alla penna degli scrittori che decidono di farne i protagonisti o addirittura i narratori delle proprie storie. Dall'inquietante gatto musicale di Roald Dahl al ribelle a quattro zampe di Patricia Highsmith, dal randagio molto speciale di Doris Lessing agli affamati felini di Murakami Haruki (che nessuno vorrebbe avere la ventura di incontrare sul proprio cammino): una galleria dei racconti pili belli che la letteratura di ogni epoca e latitudine ha saputo regalarci.