I canti della vita - per la prima volta in lingua italiana - sono il capolavoro di Abu'l Qasim ash-Shabbi (1909 - 1934), il maggiore poeta tunisino del Novecento, rinomato e apprezzato in tutto il mondo arabo, eppure quanto mai scomodo e osteggiato nel suo stesso milieu di provenienza.Ash-Shabbi è stato tenuto nell'ombra per molti decenni, quasi fosse impresentabile, avendo egli osato criticare e contestare, con rara audacia, l'arretratezza e i limiti della cultura e dei costumi del suo tempo in Tunisia e negli altri paesi arabi, con parole ancora attualissime. Da taluni è stato addirittura apertamente accusato di avere subito il fascino satanico dell'Occidente. La coraggiosa ribellione dello scrittore magrebino è presente anche nel suo celebre saggio L'immaginario poetico degli Arabi. Tali contraddizioni dei suoi estimatori-detrattori - da una parte, eroe nazionale e, dall'altra, "vergogna" da celare - emergono nel corposo saggio con cui il curatore del volume (Salvatore Mugno, che in passato si è occupato dei poeti tunisini Mario Scalesi e Moncef Ghachem) introduce la raccolta di ash-Shabbi, tradotta dall'arabo da Imed Mehadheb (autore tunisino che scrive in italiano) e rivisitata poeticamente da Gëzim Hajdari (noto poeta albanese di espressione italiana), uniti dal proposito di offrire una lettura appassionata e meticcia di un artista che per troppo tempo è stato messo a tacere.
II volume è interamente dedicato a Giacomo da Lentini (1210 ca-1260 ca), il "fondatore" della lirica italiana, oltre che caposcuola dei poeti siciliani, autore di sorprendente maturità e di altissimo valore poetico, "inventore" del sonetto. Nel Meridiano sono riprodotti tutti i componimenti (canzoni e sonetti) attribuitigli con verosimiglianza dalla tradizione manoscritta: tra questi si possono ricordare le canzoni "Madonna", "dir vo voglio" (che apre il codice Vaticano Latino 3793, il più importante canzoniere delle origini, ed è citata da Dante nel "De vulgari eloquentia"), "Meravigliosamente" (la canzone più celebre di Giacomo, presente in tutte le antologie), "Troppo son dimorato" (archetipo delle canzoni di lontananza italiane) e i sonetti "Io m'aggio posto in core a Dio servire" (forse il più bel sonetto di Giacomo), "Madonna a 'n sé vertute con valore" e "Angelica figura e comprobata" (che intessono una poesia di lode della donna amata straordinariamente anticipatrice dello Stilnovo).
Il secondo volume propone i poeti della corte di Federico II (a esclusione di Giacomo da Lentini), che possono essere distinti in due generazioni: la prima legata all'imperatore e ai suoi funzionari di maggiore spicco, come lo stesso Giacomo e Pier delle Vigne, e più radicata in Sicilia e nel sud; la seconda sviluppata intorno al figlio di Federico, Manfredi, e con ramificazioni verso la Toscana. Tra gli autori presentati nel Meridiano, oltre allo stesso Federico, si segnalano Guido delle Colonne (di lui sono citate da Dante nel "De vulgari eloquentia" le canzoni "Amor, che lungiamente m'ài menato" e "Ancor che l'aigua per lo foco lasse"), Rinaldo d'Aquino (autore tra l'altro di "Giamäi non mi conforto", lamento della donna per la partenza del crociato), Pier delle Vigne (cantato da Dante nella Commedia), Stefano Protonotaro (la sua canzone "Pir meu cori allegrari" è l'unico testo integrale che ci sia stato tramandato nel siciliano originale), Cielo d'Alcamo (autore del famoso contrasto "Rosa fresca aulentissima"), Giacomino Pugliese (sua la canzone "Morte, perché m'ài fatta si gran guerra", uno dei più antichi esempi di pianto per la morte dell'amata) e Re Enzo (che, figlio naturale di Federico II, passa gran parte della sua vita prigioniero a Bologna ed è quindi figura importante per la diffusione della poesia siciliana nell'Italia del centro-nord).
All'esaurirsi dell'esperienza sveva o addirittura quando la dinastia non è ancora tramontata, alcuni poeti nati e operanti in Toscana ripropongono con adattamenti il modello siciliano, mentre altri (quali Guittone d'Arezzo e Bonagiunta Orbicciani) tentano più decisamente il distacco e avviano la sperimentazione di forme relativamente più autonome: per comodità si possono chiamare Siculo-toscani i primi. Toscano-siculi i secondi. Ai Siculo-toscani è dedicato questo volume. Pur nella continuità con la Scuola, i testi dei Siculo-toscani presentano innovazioni indicative dell'avvio di una stagione poetica relativamente diversa: al cosmopolitismo della Magna Curia si sostituisce un evidente municipalismo che in parte si travasa nelle poesie, nelle quali ai tradizionali temi amorosi d'impronta lentiniana se ne affiancano altri che sono espressione della nuova coscienza cittadina e dei gruppi borghesi emergenti.
Dopo la raccolta "Opera sull'acqua", nella quale si cimentava per la prima volta con l'"azzardo dei versi", con queste nuove poesie, che incrociano alcuni temi di quel fortunato esordio poetico, Erri De Luca dà vita a una silloge di raggiunta maturità compositiva. Le sue poesie raccontano. Raccolgono personaggi, viaggi e dialoghi. Parlano di incontri e di volti. Sono tracce che indicano una storia possibile o tutta già avvenuta in un solo gesto istantaneo ed eterno. L'amicizia, i genitori, l'amore, la Napoli della sua prima infanzia, le missioni umanitarie in Bosnia o in Sudan. In questo libro Erri De Luca si racconta e si mette in gioco con poesie che trascendono sempre l'autobiografia per diventare messaggi sapienzali per chiunque apprezzi un atteggiamento di fermezza ma mai di arroganza nei confronti della vita degli uomini.
Prosegue la biografia in versi di Charles Bukowski. Dopo le intemperanze della prima giovinezza, Buk ci conduce per mano in stanze d'hotel, alle corse dei cavalli, davanti ai quadri erotici di un pittore francese, ai primi reading di poesia. Entrano nel suo universo amici insinuanti, profili di donne, voci che danno forma a improvvisi dialoghi esistenziali, che risalgono il fiume del passato, che sono a volte pruriti comici a volte insulti a volte parole di pietà. Ancora una volta emerge il Buk dilapidatore di tempo, di sesso, di scrittura, come se nel ritmo insaziabile della poesia egli continuasse a ritrovare tanti ganci che lo strappano e insieme lo tengono legato alla realtà.
Variamente legata, nelle prove più giovanili, al gusto di elegante sperimentazione e insieme al culto dei classici che caratterizza l'area veneta di fine Settecento, e nel 1797 intensamente coinvolta nella nuova situazione rivoluzionaria, la poesia foscoliana matura intorno al 1800 una straordinaria densità e fermezza di scrittura in cui si declina il mito dell'eroe sconfitto e disingannato, in attesa di morte. In seguito, fra i "Sepolcri" e" Le Grazie", Foscolo tenta percorsi più complessi, nella direzione, suggerita soprattutto dagli antichi, di un discorso poetico che esplori la condizione umana e le sue chances, oltre il male storico. Nel suo insieme un'esperienza fra le più alte nella poesia europea del tempo e pure sottilmente aperta sull'oggi.
Poesie che nascono da una dolce ossessione, da un dialogo, da una specie di follia. Claudio Damiani è uno dei più importanti poeti italiani e qui compie un gesto rischioso e forte. E compie, al tempo stesso, il gesto alto e umile della grande poesia: metter la propria voce a disposizione di altre voci, di altri uomini. Affascinato fin da ragazzo dalla poesia cinese incontrata sulla traduzione del sinologo Martin Benedikter, il poeta romano ha sentito crescere in questi decenni la forza di quella letteratura così remota e pur consona a certi classici della nostra latinità. Così queste pagine, che colgono in testi stupefatti e profondi gli elementi minimi e vitali dell'esistenza, ci giungono come frutto speciale di un dialogo naturale tra ere e uomini, tra cuori antichi e contemporanei. Una prova d'autore, nel senso più duraturo del termine, meno legata all'enfasi individualistica della firma e ricca invece della personale scoperta delle dimensioni del tempo.
Davide Rondoni
«Ho amato la poesia cinese come qualcosa che mi spingeva oltre il mio tempo, in un futuro antico che m’appariva come un sogno, che m’avvicinava i giganti della poesia cinese (Po chu-i, Li Po, Tu Fu) ai calmi, sereni giganti dell’elegia latina ( Properzio, Catullo, Tibullo). Ho visto nella poesia cinese una poesia della terra, perfettamente oggettiva, senza il bisogno di nessuna metafora. Grande poesia della terra, della sua calma, della sua gloria».
Dalla premessa dell’autore
GLI AUTORI
CLAUDIO DAMIANI è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo da padre toscano dell'isola d'Elba e da madre romana. Vive a Roma dall'infanzia. Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (1987), La mia casa (Firenze, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Roma 1997, Premio Metauro), Eroi (Roma, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), e Attorno al fuoco (Roma, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Scrittori). Sue poesie sono apparse su varie antologie italiane e straniere. Ha curato i volumi: Almanacco di Primavera. Arte e poesia (1992); Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Roma, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Milano, 2000). È stato tra i fondatori della rivista letteraria “Braci” (1980-84). Collabora con vari giornali tra cui la cronaca di Roma di "Repubblica".
Al confine tra la zona della terra e la sfera di ciò che sta oltre scorre una linea labile. Il poeta la sorveglia e l'oltrepassa a suo piacimento, unificando il tempo, contrabbandando i corpi e gli spiriti. In questo continuo intersecarsi e sovrapporsi Mikolajewski colloca se stesso e l'intero microcosmo domestico, dando vita a prospettive ed esiti sorprendenti, attraverso un dialogo ora tragico, ora ironico, tra il desiderio dell'eterno durare dell'essere umano e l'aspirazione a rendere trascendente ciò che è terreno. Corredano il volume alcune fotografie di Ryszard Kapuscinski.
Un libro che parla di cartoni animati e di miti antichi, di amore e di Dio, di esaltanti minuzie e di grandiosi segreti. Insomma di poesia. In questo libro il colloquio procede gentile, e sprofondando. Oppure mostrando improvvisamente rupi e vaste mareggiate. Provocato, e a volte sapientemente braccato da Marco Dell'Oro, Roberto Mussapi attinge alle cavità e agli incanti da cui nasce la sua poesia per trarre materia di riflessione e di acquisizione. Tessendo con fili a volte sorprendenti i legami tra millenario lavoro dei poeti e le questioni attualissime del vivere e della cultura. Legando, con percorsi mai scontati, le grandi domande sul sacro e le scoperte e le inquietudini dell'uomo contemporaneo. Così entriamo in un colloquio che qui si realizza tra il poeta e l'osservatore, i cui frammenti però vivono e urgono intorno a noi. Ancora una volta i poeti parlano autenticamente di quanto nella nostra vita vorrebbe aver più voce, meno dispersa. A ciò che segretamente splende. Davide Rondoni