Un sussidio liturgico per approfondire il Vangelo di ogni giorno del mese di settembre. Uno strumento per la meditazione quotidiana basato sulle letture del giorno, che si arricchisce dei ritratti di santi e beati e delle testimonianze di chi vive e mette in pratica gli insegnamenti del testo evangelico, quale stimolo a informare di esso il proprio vissuto. Un utile contributo che si avvale inoltre, di significative note esegetiche, diretto a chiunque desidera che la propria vita non sia solo esteriorità, ma sia fondata su una ricchezza interiore.
A questo numero hanno collaborato:
GIUSEPPE DALLA TORRE, rettore emerito, Università LUMSA, Roma.
FABIO PIERANGELI, professore associato di Letteratura italiana, Università Tor Vergata, Roma.
RAFFAELE MANICA, professore associato di Letteratura italiana, Università Tor Vergata, Roma. Dirige Nuovi Argomenti.
SIMONE STANCAMPIANO, docente di Storia della filosofia moderna, Pontificia Università Antonianum, Roma.
DIEGO FERRANTE, dottorando di ricerca in filosofia, Scuola Normale Superiore-Istituto Italiano di Scienze Umane, Pisa.
PAOLA DALLA TORRE, professore a contratto di Cinema, immagini e linguaggi, Università Tor Vergata, Roma.
DANIELA DE LISO, ricercatrice confermata di Letteratura italiana, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi “Federico II”, Napoli.
CECILIA OLIVA, dottoranda di ricerca, Dipartimento di Studi Umanistici, Università Tor Vergata, Roma, con un progetto di ricerca sui manoscritti di Elsa Morante.
EMILIO GATTICO, professore associato di Psicologia dello sviluppo ed Epistemologia Genetica, Università di Bergamo.
RAFFAELLA SABRA PALMISANO, collabora con la cattedra di Filosofia Morale dell’Università degli Studi di Trieste.
GIACOMO SCALZI, direttore editoriale del Giornale di Brescia.
CLADIA VILLA, professore ordinario di Filologia medioevale e umanistica, Università di Bergamo e Scuola Normale Superiore, Pisa.
MARI K. NIEMI, senior researcher, Università di Turku (Finlandia) e, in virtù delle sue ricerche sul sistema politico britannico, è attualmente visiting scholar all’Università di Strathclyde, Glasgow (Scozia).
FRANCESCO LEONELLI, dottorando di ricerca in Storia dell’arte, Università “Roma Tre”.
Editoriale. UNA CHIESA MISERICORDIOSA PER UN MONDO FERITO -
Documento. IL NUOVO UMANESIMO IN CRISTO GESÙ. Discorso in occasione del 5o Convegno nazionale della Chiesa italiana -
Articolo. DIO MANCA, MA CI MANCA? Ambiguità sulla fede in alcuni scrittori contemporanei -
Articolo. IL CINEMA SECONDO GODARD -
Focus. LA CITTÀ DI ROMA -
Vita della Chiesa. LA CHIESA CATTOLICA LATINA NELLA TURCHIA DI OGGI. Spargere semi di senape a tutti i venti... -
Profilo. ELISABETH HESSELBLAD. Una pioniera dell'ecumenismo -
Intervista. GIUSTIZIA E ARMONIA: UN CONFRONTO COL PENSIERO CINESE. Intervista a Robin R. Wang -
Rassegna bibliografica. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA -
Editoriale
UNA CHIESA MISERICORDIOSA PER UN MONDO FERITO
Vogliamo prendere spunto da tre espressioni di Papa Francesco, piccoli suggerimenti utili per concentrare le nostre riflessioni sull’imminente Anno giubilare della Misericordia. Il 17 marzo 2013, nel primo Angelus dopo la sua elezione a Papa, Jorge Mario Bergoglio citò un libro del cardinale Kasper, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo – Chiave della vita cristiana, dicendo: «E mi ha fatto tanto bene, quel libro, tanto bene…». Non molti, allora, potevano intuire l’importanza di questo argomento per il suo pontificato.
In quei momenti era altrettanto sconosciuto il significato del suo motto episcopale Miserando atque eligendo, che il medesimo Francesco poi ha spiegato durante l’intervista apparsa sulla nostra rivista (cfr A. Spadaro, «Intervista a Papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 IV 449-477). Il Papa diceva: «Il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando».
Il terzo spunto ci viene da quella stessa intervista, quando Papa Francesco afferma chiaramente «che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia».
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Chi tenga a mente questi suggerimenti non può restare sorpreso dal ruolo che la misericordia ha assunto nel magistero ordinario di Papa Francesco, né dalla sua convocazione dell’Anno giubilare della Misericordia. Naturalmente la misericordia è al centro della rivelazione biblica, perché si trova nel cuore del nostro Dio trinitario. In una prospettiva teo-antropologica, san Tommaso d’Aquino considerava che «fra tutte le virtù che riguardano il prossimo la prima è la misericordia, e il suo atto è il più eccellente: poiché soccorrere la miseria altrui è per se stesso un atto degno di chi è superiore o migliore» (Sum. theol., II-II, q. 30, a. 4), mostrando bene, così, che la misericordia ha sia una componente affettiva sia una componente effettiva.
L’ Anno giubilare della Misericordia avrà inizio l’8 dicembre, data che è stata scelta «perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa». Esordirà con l’apertura della Porta Santa, nel «cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio ecumenico Vaticano II», un Concilio che ha seguìto l’invito di Papa Giovanni XXIII: «Apriamo le finestre della Chiesa per far entrare l’aria fresca dello Spirito».
Nell’Esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium (EG) leggiamo un altro invito ad essere una Chiesa aperta, perché «la Chiesa “in uscita” è una Chiesa con le porte aperte» (EG 46). Aprire i propri cuori e le proprie vite è un modo per mostrare misericordia.
Non c’è contrapposizione tra un partito della misericordia e un partito della verità. E nemmeno c’è alcuna contraddizione tra Papa Francesco e i suoi predecessori, se si hanno presenti, per esempio, la Caritas in veritate di Benedetto XVI o la Dives in misericordia di Giovanni Paolo II.
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La Costituzione dogmatica conciliare sulla Chiesa Lumen gentium (LG) afferma autorevolmente: siccome «Cristo è stato mandato dal Padre “per annunciare ai poveri un lieto messaggio…, guarire quelli che hanno il cuore contrito” (Lc 4,18 Vlg), “a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10), similmente la Chiesa abbraccia con amore quanti sono afflitti dall’umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo Fondatore povero e sofferente, cerca di sollevarne l’indigenza e in essi intende servire Cristo» (LG 8). Si tratta di un criterio guida per l’impegno della Chiesa e per il suo comportamento in una serie di situazioni. Come infatti ricorda la bolla papale d’indizione del Giubileo, la Chiesa è chiamata ad essere un’«oasi di misericordia», e non soltanto la Chiesa in generale, ma tutte le «nostre parrocchie, le comunità, le associazioni e i movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani» (Papa Francesco, Misericordiae Vultus, n. 12).
Citiamo due esempi di applicazione pratica di questo principio, entrambi delicati e significativi. Il primo si riferisce all’aborto. Come è ormai ben noto, Papa Francesco ha deciso «di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono» (Lettera a monsignor Fisichella, 1° settembre 2015). Di certo ciò non nega il «dramma dell’aborto», che è «profondamente ingiusto». Ma, continua il Papa, una «genuina accoglienza [può andare unita] con una riflessione che aiuti a comprendere il peccato commesso, e indicare un percorso di conversione autentica per giungere a cogliere il vero e generoso perdono del Padre che tutto rinnova con la sua presenza». L’amore di Dio non è né rigido né permissivo. Né può esserlo la prassi misericordiosa della Chiesa.
Qualcosa di simile si può dire per quanto riguarda il secondo esempio che portiamo, riguardante la complessa realtà delle famiglie, con i loro fallimenti, sofferenze, fratture e vicoli ciechi. La Chiesa, come madre, riconosce la necessità di una misericordiosa attenzione pastorale in una varietà di situazioni, tra le quali: le coppie civilmente sposate o conviventi; le famiglie ferite, che comprendono le famiglie monoparentali; le persone che sono separate; i divorziati — siano o non siano risposati — e le persone di orientamento omosessuale. La misericordia di Dio dev’essere incarnata nella Chiesa di Cristo, mostrando caritas in veritate in modo concreto e convincente per le persone in tutte queste situazioni.
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Se la Lumen gentium si concentra sulla Chiesa guardando più verso l’interno, un altro grande documento del Concilio, la Costituzione pastorale Gaudium et spes (GS), volge la sua attenzione sulla Chiesa nel mondo, nella sua dimensione ad extra. La misericordia è il cuore dell’identità, delle relazioni e della vita della Chiesa. Ma la misericordia si trova anche al centro dell’attività missionaria della Chiesa, perché tutte le realtà umane, e la società nel suo insieme, sono mosse dal cuore di Dio e vi si orientano. «Il Signore è il traguardo della storia umana, il fulcro nel quale convergono gli ideali della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore e il compimento delle loro aspirazioni» (GS 45).
Tornano alla mente e nel cuore le note frasi iniziali della Gaudium et spes: «La gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia degli uomini d’oggi, soprattutto dei poveri e di tutti i sofferenti, sono anche la gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia dei discepoli di Cristo, e non c’è nulla di veramente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS 1). Ora, come si applica questo messaggio al nostro mondo attuale? Certo, esso riecheggia un buon numero di situazioni difficili, specie in questa «cultura dell’esclusione» in cui viviamo. Senz’altro ci sono molti problemi rilevanti, ma i limiti dello spazio disponibile ci inducono a concentrarci soltanto su uno di essi.
Questo Editoriale viene sottoscritto da 10 riviste dei gesuiti d’Europa, ed è evidente che il nostro continente oggi sta affrontando una serie di crisi difficili: una crisi di profughi, una crisi umanitaria, una crisi politica. Che cosa ha da dire la misericordia in questa situazione? Il Papa stesso ha fatto luce su questo tema in diverse occasioni, tra cui spicca il suo recente messaggio per la «Giornata mondiale del migrante e del rifugiato», in cui offre la risposta della misericordia a questa sfida pressante: se siamo onesti con noi stessi e con la realtà, riconosceremo che «il Vangelo della misericordia scuote le coscienze, impedisce che ci si abitui alla sofferenza dell’altro e indica vie di risposta che si radicano nelle virtù teologali della fede, della speranza e della carità, declinandosi nelle opere di misericordia spirituale e corporale».
Quindi, come possiamo affrontare l’attuale crisi dei rifugiati in questa prospettiva evangelica? Da una parte, riconosciamo con tutto il cuore la risposta pronta e generosa di un numero significativo di persone, famiglie, comunità e organizzazioni di base della società civile. La solidarietà nasce dal cuore misericordioso. Anziché reagire con paura o egoismo, la maggior parte delle società europee ha risposto col cuore, facendo affiorare le proprie radici cristiane, a volte trascurate o scartate. D’altra parte, dobbiamo dire che questo tipo di risposta personale, benché necessario, non è sufficiente. La carità cristiana ha una dimensione politica. E la misericordia ha bisogno di incarnarsi nel regno del diritto.
Soprattutto quando ci si riferisce ai rifugiati, come in questo caso, il diritto internazionale va applicato tenendo presente l’aspetto vincolante, per tutti gli Stati, degli accordi sottoscritti. Quella di assistere le persone che fuggono dalla guerra non è una decisione facoltativa di alcuni politici: si tratta di un requisito delle normative internazionali e dei diritti umani.
Infine, va detto che i piani di emergenza umanitaria non possono oscurare la necessità di programmi di integrazione domestica a lungo termine, così come di un serio impegno in processi di pace per la fine delle guerre nei Paesi di origine dei rifugiati.
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Misericordiae Vultus è un invito ad essere «misericordiosi come il Padre». Proprio come il padre della parabola di Luca non perse mai di vista il figlio (cfr Lc 15,20), tutti siamo invitati a tenere d’occhio i nostri fratelli e sorelle, a prestare attenzione alle loro situazioni ed esigenze, a scoprire i loro volti, a riconoscere una comune umanità. Come ha rilevato il filosofo ebraico-francese Emmanuel Lévinas, il volto dell’altro (il suo sguardo = vultus) crea un obbligo etico: «Il volto mi parla e così mi invita a una relazione. […] Il volto apre il discorso originario la cui prima parola è un obbligo» (Totalità e infinito, pp. 198; 201).
In una visione etica e cristiana, noi rispondiamo a questa chiamata aiutando l’altro nelle sue necessità. Come ha sottolineato sant’Ignazio di Loyola, «l’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole» (Esercizi spirituali, n. 230). Le opere di misericordia sono la nostra risposta alla chiamata del nostro mondo ferito.
La Civiltà Cattolica
e le riviste Anoichtoi Horizontes, Brotéria, Choisir,
Ètudes, Razón y Fe, Signum, Stimmen der Zeit,
A Szív, Thinking Faith
della Compagnia di Gesù
© Civiltà Cattolica pag.415-419
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