Il rapimento e l'assassinio per mano delle Brigate rosse, nel 1978, hanno finito per concentrare in quella fine tragica la memoria di Aldo Moro. Nell'intento di riscoprire nella sua interezza questo significativo protagonista della storia italiana, il libro ne tratteggia un profilo biografico completo: l'intellettuale, il giurista, il dirigente delle associazioni cattoliche, il costituente, il politico, lo statista. Moro fu il principale stratega del centro-sinistra e della "solidarietà nazionale", ma anche a lungo guida del governo e della politica estera italiana. La sua esperienza assunse un carattere drammatico non solo per il violento epilogo ma anche per la crescente difficoltà nel tenere assieme Stato e società, innovazione e tradizione, cambiamento e coesione, in un sistema sociale e politico messo a dura prova dalla transizione degli anni Settanta.
Profezia e utopia, due categorie fondanti dello sviluppo dell'Occidente moderno. La tensione dialettica che le ha caratterizzate nel corso dei secoli e il dualismo istituzionale che si è creato tra potere religioso e potere politico hanno permesso all'Occidente la conquista delle sue libertà, dallo stato di diritto alla stessa democrazia. Oggi, sbiadito ormai ogni progetto utopico, il declino dell'Europa non può essere letto solo come corruzione delle regole e delle istituzioni, ma come conseguenza di una crisi di civiltà.
A differenza di quelle condotte in Terrasanta, le crociate del Nord-Europa, intraprese tra il XII e il XVI secolo per convertire i territori dell'area baltica, non sono molto note. I Cavalieri Teutonici che ne furono protagonisti spinsero avanti la frontiera cattolica conquistando e cristianizzando vaste regioni, dalla Finlandia all'Estonia, alla Prussia, alla Lituania, alla Russia. Una espansione che, sotto il pretesto della conversione delle popolazioni pagane o ortodosse, mascherò aggressive mire colonialistiche.
In origine un corpo d'elite costituito da combattenti a cavallo, la cavalleria ha finito per essere progressivamente identificata con la nobiltà: nobiltà di sangue e nobiltà di spirito. Il libro traccia la storia della cavalleria nelle sue diverse identità, illustrando aspetti come l'investitura, le armi, i metodi di combattimento, i tornei e le giostre. Fa luce poi sul rapporto della cavalleria con la nobiltà e la chiesa, sullo sviluppo dell'ideologia amorosa cavalleresca e sulla letteratura di argomento cavalleresco, fiorente nel Medioevo e dopo.
La rivoluzione politica non è più al centro dell'immaginario collettivo, i movimenti sociali latinoamericani degli ultimi decenni sono calati nel locale, nelle singole situazioni, e contemporaneamente aperti al mondo, universalistici. Quello contadino lancia lo slogan "Una campagna mondiale di mutuo appoggio tra i popoli rurali", ma ciò avviene ponendo attenzione a non proporsi come modello, guida, centro, direzione etc., per consapevolezza dei propri limiti ma ancor più perché si è consumato del tutto il ciclo storico della sinistra novecentesca focalizzato sulla conquista e l'occupazione dello Stato. La meta a cui si aspira non è un tutto unico, difeso dall'armatura statale, ma un pluriverso, un mondo di molti mondi, una pluralità di identità, di modi di vivere, una molteplicità impegnata nella creazione di un mondo nuovo, che abbia al centro la liberazione della Terra e l'inaugurazione di un'era ecozoica, ponendo fine all'antropocentrismo prima che la sua definitiva affermazione segni la condanna a morte del pianeta. L'assoluta sproporzione delle forze in campo parrebbe rendere vana e velleitaria la proposta che sintetizzando le istanze del pensiero critico latinoamericano viene formulata in questo volume da vari interventi, in particolare nei due conclusivi di Arturo Escobar e Gustavo Esteva. È però possibile trovare uno spiraglio, un passaggio, ripensando il concetto di capitalismo e di capitale, come essi invitano a fare, prendendo le distanze dalle concezioni totalizzanti.
"Il carattere della Roma antica è tutto in un inevitabile equivoco, racchiuso nell'espressione 'storia di Roma'. Non ci sono incertezze né ambiguità se diciamo 'storia di Parigi', o di Londra, o di qualunque altra città del mondo. Ma se diciamo 'storia di Roma', non sappiamo bene di quale storia esattamente si tratti: se della città intesa in senso stretto, o anche di quella parte cospicua della superficie e della popolazione terrestre che per molti secoli fu sottoposta al suo dominio. Anche un gioco di parole facile e un po' stucchevole come quello che accosta urbs (la città) e orbis (il mondo), può cogliere una verità profonda". Come già riconoscevano gli antichi, è impossibile scrivere una cronaca della storia della città di Roma. È possibile invece recuperare alcune immagini essenziali, fatte di spazi fisici e sociali, di cose e di uomini, che ne segnarono il carattere e la resero unica al mondo. Dalla fondazione all'età gotica, Andrea Giardina racconta, con firme di grande prestigio, oltre tredici secoli che hanno depositato in Roma un numero incalcolabile di edifici e di storie.
I film raccontano sempre due epoche. Una è quella in cui sono ambientati, il contesto storico in cui si dipana la trama. L'altra è quella in cui vengono realizzati. In 1860 Blasetti descrive il Risorgimento come impresa 'dal basso' per creare una continuità con il fascismo, che vedeva come fenomeno rurale e popolare. Cosa che a Mussolini, da un certo punto in poi, non piacque più. Nei libri di Guareschi, Don Camillo è incredibilmente più violento e sanguigno mentre nei film lui e Peppone vengono ammorbiditi e resi simpatici. Perché? È un caso che Tutti a casa di Comencini, film sulla nascita goffa e incompiuta della nostra democrazia, esca nel 1960, l'anno di Tambroni e dei morti di Reggio Emilia? Questo libro parla del fascismo utilizzando Amarcord di Fellini, del '68 con Sandokan di Sollima, degli anni 70 con Salò di Pasolini, passando per la caduta del muro con Palombella rossa di Moretti, fino all'attualità politica sconfortante della serie tv Gomorra. II viaggio sarà lineare e cronologico per quanto concerne gli eventi storici, mentre compirà un continuo andirivieni nella storia del cinema: incontreremo fenomeni come colonialismo, fascismo, Resistenza, dopoguerra in film di epoche disparate, diversissimi fra loro.
Crimini di guerra sono stati perpetrati in Italia fin dall'Unità con la repressione del brigantaggio e altri sono stati commessi da italiani già a partire dalle spedizioni coloniali in Africa Orientale e in Libia. Ma è soprattutto durante il ventennio fascista che l'Italia si rende responsabile della violazione dei più elementari diritti umani nelle guerre in Etiopia, Somalia, Spagna e - ancor più - nel corso della seconda guerra mondiale. In particolare, tra il 1940 e il 1943, insieme alla Germania, è protagonista di numerosi eccidi di civili in Jugoslavia, Grecia, Albania, ma anche in Russia e in Francia. Poi, tra il 1943 e il 1945, il nostro paese subisce stragi efferate a opera dei nazisti, sostenuti dai fascisti della Repubblica di Salò. Per questo motivo, l'Italia viene a trovarsi nella particolare situazione di essere considerata responsabile e vittima di crimini di guerra al punto da impedirle, nei decenni successivi, di riconoscere tanto le responsabilità dei propri soldati in Africa Orientale e soprattutto nei Balcani, così come di perseguire i nazifascisti colpevoli delle stragi compiute sul suo territorio. Questa vera e propria strategia politica di occultamento ha subito un parziale ripensamento solo dopo la fine della guerra fredda. Dal 2005 a oggi sono state emesse numerose sentenze che hanno contribuito a rinnovare il rapporto tra storia e memoria su una delle questioni più tragiche e controverse della storia nazionale.
Per tre anni e tre terribili inverni la Grande Guerra scaraventa migliaia di uomini sul fronte che dallo Stelvio e dall'Ortles scende verso l'Adamello, le Dolomiti, il Pasubio e Asiago. In quegli anni di fuoco, su 640 chilometri di ghiacciai, creste, cenge, altipiani e brevi tratti di pianura cadono circa centottantamila soldati. Le Alpi diventano un immenso cimitero a cielo aperto, sfigurate da una devastante architettura di guerra che scava strade e camminamenti, costruisce città di roccia, legno e vertigine, addomestica le pareti a strapiombo e spiana le punte delle montagne. Alpini e soldati del Kaiser si affrontano divisi tra l'odio imposto dalla guerra e l'istinto umano di darsi una mano, invece di spararsi, per far fronte alla tormenta e alla neve. Si ingaggiano piccole battaglie anche a tremilaseicento metri, ma la vera sfida è sempre quella di resistere per rivedere l'alba, la primavera, la fine della guerra, prima che la morte bianca si porti via le dita di un piede, o la valanga si prenda un compagno. Intanto, l'isolamento, il freddo, i dislivelli bestiali, le frane, le valanghe, la vita da trogloditi, la coabitazione tra soli uomini producono risposte sorprendenti, insolite collaborazioni umane, geniali rimedi di sopravvivenza e adattamento. Leggendo le storie di vita e di guerra raccolte in questo libro - crude e vere perché narrate dai protagonisti in prima persona attraverso le lettere e i diari - si scopre un mondo d'insospettata complessità e ricchezza.
Nel 700 d.C. l'Italia è divisa in due regni, quello longobardo e quello bizantino. Dopo decenni di lotta, nel 680, regna un accordo di pace. Tra le due aree, quella sottoposta a maggiori tensioni è quella bizantina a sud dove le élites italiche si sono più volte poste in posizione di fronda rispetto al centro imperiale. Al nord, invece, il regno longobardo è al suo apice, la società è saldamente inquadrata dalle gerarchie laiche, guidate da duchi e ufficiali pubblici, e ha le potenzialità per governare tutta la penisola. Non sarà così e la sua sconfitta cancellerà anche la sua lunga storia. Stefano Gasparri recupera la memoria dei Longobardi in Italia e presenta la loro società senza trascurare neppure i contatti e i rapporti avuti con la stessa Chiesa romana. Sarà, infatti, quest'ultima ad avere la meglio, fra Longobardi e bizantini, e sarà proprio il papato con la sua azione a impedire il passaggio dell'intera Italia nelle mani dei re "barbari". Con tre conseguenze importanti: la conquista franca dell'Italia, la creazione del primo impero medievale e l'impianto di una dominazione territoriale da parte della Chiesa di Roma. Per arrivare a questo, come indaga Gasparri, è stata fondamentale la forte operazione di propaganda intorno ai due grandi progetti, franco e papale. Il loro proselitismo ha dominato la scena dell'occidente europeo nella seconda metà dell'VIII secolo e costruito un pregiudizio negativo nei confronti dei Longobardi dal quale val la pena liberarsi.
Una figura geniale che sfugge a ogni classificazione: la sua vicenda rappresenta un enigma dal fascino immortale. Wilhelm Canaris, responsabile del controspionaggio militare del Terzo Reich, maturò ben presto una profonda avversione al regime. Così, mentre Hitler trasformava la Germania in una delirante potenza del male, Canaris intraprendeva una pericolosissima campagna sotterranea per destabilizzarlo. Sospettato di reiterati tentativi di abboccamento con Churchill e di essere tra i registi dell'attentato dinamitardo ai danni del Führer nel luglio 1944, Canaris venne arrestato dal regime, torturato e impiccato nudo come traditore.
Per chiunque abbia vissuto e studiato negli anni Sessanta e Settanta, scrive Hobsbawm, "l'America Latina era un laboratorio del cambiamento storico. La storia procedeva a velocità altissima e nel breve spazio di mezza vita umana era possibile osservarla nelle sue tappe più significative". Dalle dittature militari al terrore di stato e alla tortura, dalle rivoluzioni "che, a differenza dell'Europa, erano tanto necessarie quanto possibili" ai "sogni di guerriglia che si ispiravano a Cuba e non avevano alcuna speranza di successo", fino all'esplosione delle metropoli e alla Colombia di Garda Marquez, Hobsbawm ci spiega perché lì "si era costretti ad accettare ciò che altrove sarebbe stato impensabile"; con un occhio al presente, perché strascichi e contraccolpi di quegli anni sono più vivi che mai.