«Non so dire se avessi deciso già quella mattina, al momento di andare in tribunale, che sarei rimasto in aula ad aspettare la sentenza. Forse sì o forse no. Mi sedetti sulla sedia del pubblico ministero, su quella di un giudice popolare, su quella del presidente, poi entrai nella gabbia degli imputati. Per vedere il mondo attraverso le sbarre». Una donna ha ucciso a colpi di pistola l'ex compagno della sorella. Legittima difesa o omicidio premeditato? La Corte è riunita in Camera di Consiglio. In attesa della sentenza l'avvocato Guerrieri ripercorre le dolorose vicende personali che lo hanno investito nell'ultimo anno. E si interroga sul tempo trascorso, sul senso della sua professione, sull'idea stessa di giustizia. Il ritorno di Guido Guerrieri in un romanzo poderoso e commovente. Un'avventura processuale enigmatica, dal ritmo impareggiabile, che si intreccia a un'affilata meditazione sulla perdita e sul rimpianto, sulle inattese sincronie della vita e sulla ricerca della felicità.
Sono il tessuto connettivo delle nostre comunità e donano senso al mondo. Ma nella società contemporanea, le narrazioni risultano effimere e inefficaci. La loro onnipresenza non è che un sintomo, e un segnale d'allarme. Le narrazioni sono in crisi da tempo. Da bussole capaci di dare senso all'esistenza collettiva sono ormai diventate una merce come tutte le altre. Ridotte ad ancelle del capitalismo, si trasformano in storytelling e lo storytelling, ormai ubiquo, scade nella pubblicità, nel consumo di informazioni. L'accumulo di notizie ha preso, insomma, il posto delle storie. Dati e informazioni, però, frammentano il tempo, ci isolano e ci bloccano in un eterno presente, vuoto e privo di punti di riferimento. A diventare impossibile è la felicità stessa. Perché la vita, con tutti i suoi imprevisti, inciampi, tentativi ed errori, incontra la pienezza solo quando può essere condivisa e tramandata all'interno di una narrazione collettiva. «Vivere è narrare. L'essere umano, in quanto animal narrans, si distingue dagli altri animali per il fatto che narrando realizza nuove forme di vita. La narrazione ha la forza del nuovo inizio. Lo storytelling, di contro, conosce solo una forma di vita, quella consumistica» (Byung-Chul Han).
Il silenzio lascia intravedere in sé tracce di oscurità e di mistero, di fascinazione e di speranza. Sono molti i modi con cui la parola e il silenzio si intrecciano l'una all'altro: c'è il silenzio che rende palpitante e viva la parola, dilatandone i significati; c'è il silenzio che si sostituisce alla parola nel dire l'angoscia; c'è il silenzio che si nutre di attese e di speranze. Ogni silenzio ha un suo proprio linguaggio che, non solo in psichiatria, ma nella vita di ogni giorno, non può non essere decifrato. Quante volte una paziente, o un paziente, si chiude in un silenzio, che è necessario interpretare nei suoi orizzonti di senso. Come è importante distinguere il silenzio, che nasce dal desiderio di solitudine, da quello che nasce dalla timidezza, o dalla depressione, nella quale la vita si oscura, risucchiata dal richiamo della morte volontaria. Eugenio Borgna ci mostra quanto è importante riconoscere il silenzio, che rinasce a causa della nostra incapacità di ascoltare, e di creare una relazione dialogica.
«Vittima com'è di una disperata follia di annientamento e di distruzione, Antigone non ama nessuno, così come non ama sé stessa: il suo solo e vero amore è la morte». In una rilettura controcorrente della più celebre figura tragica della classicità, Eva Cantarella smonta pezzo per pezzo le basi su cui si fonda il mito di Antigone. Per la sua determinazione a dare sepoltura al fratello Polinice, violando la legge cittadina per obbedire a una legge non scritta, Antigone ha rappresentato nei secoli il modello insuperato di chi si oppone a un regime tirannico, di chi reagisce di fronte ai diritti calpestati e negati, di ogni donna in lotta contro il potere maschile. Ma questa figura che sembra racchiudere in sé ogni virtù non corrisponde al personaggio cui Sofocle ha dedicato l'omonima tragedia oltre 2500 anni fa. Ed è esplorando la distanza tra mito e personaggio che Eva Cantarella mette in luce lati sorprendentemente negativi dell'eroina da tutti osannata e arriva a contestare il ruolo di despota attribuito a Creonte, protagonista di una drammatica vicenda umana e politica che lo rende una figura non meno interessante e non meno tragica. Proprio come in un'orazione, portando prove a sostegno della propria tesi e confutando gli argomenti di potenziali avversari, la più grande studiosa italiana di diritto greco traccia un profilo di Antigone spiazzante e inevitabilmente divisivo.
La storia dell'editoria è la storia dell'emancipazione di un mestiere da un altro. O meglio da altri due: quello del tipografo e quello del libraio. L'editore non è chi stampa un libro né chi lo vende, scriveva Niccolò Tommaseo, ma chi lo fa stampare per farne commercio. Ne discende che l'editoria non ha una data di nascita. È un'attività che si struttura in modo graduale, definendosi in corso d'opera. La sua affermazione si configura allora come un lento processo che, almeno nel caso italiano, inizia nella prima metà dell'Ottocento, si compie sul finire di quel secolo e perdura nella forma di un'interdipendenza fra i tre mestieri per tutto il Novecento. Questo volume delinea tale parabola, ponendo in rilievo la relazione che intercorre fra libri e società, industria editoriale e storia nazionale. Ripercorrendo le vicende di alcune case editrici - fra cui Zanichelli, Treves, Bemporad, Hoepli, Laterza, Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, Adelphi, Sellerio - e concentrando l'attenzione su alcune questioni trasversali alla loro attività, traccia un quadro non solo dell'editoria italiana, ma anche dell'Italia dei libri dall'età liberale a quella repubblicana.
Martin Luther King vs Malcolm X. La colomba disposta a immolarsi per il grande sogno di un'uguaglianza pacifica, e l'ape pronta a pungere sia per difendersi sia per ottenere ciò che le spetta. Un saggio preciso, avvincente, che restituisce l'entusiasmo di una stagione del Novecento ormai entrata nel mito. Episodi della lotta per i diritti civili degli afroamericani si alternano al racconto delle vite di pensatori, di attivisti fin qui noti solo agli esperti, che hanno preceduto Martin Luther King e Malcolm X, consentendo loro di diventare ciò che sono stati. L'avventura umana di questi due giganti - spesso diversi, talvolta affini - che hanno dato la vita per cambiare il mondo permette così di gettare una luce su un pezzo della storia recente. Una storia di emarginati e di segregati, ma anche di coraggiosi e di ribelli.
L'unica lezione che ho imparato, o comunque l'unica che ricordo, sei tu. Emma Donoghue ci consegna un romanzo coraggioso e intenso, una storia d'amore di lancinante bellezza. York, 1805. Raine ha quattordici anni e Lister quindici, quando si conoscono alla Manor School. In quella scuola che prepara le ragazze prima di tutto a un buon matrimonio, entrambe sono considerate diverse dalle altre. Raine, figlia di un funzionario della Compagnia delle Indie e di una donna di Madras, non è bianca. Lister, «dritta come un ufficiale», è così ribelle da arrivare all'insolenza. Relegate nella Soffitta, lontane dalle altre allieve, Lister e Raine costruiscono un mondo tutto per loro e un sodalizio tenace ed esplosivo. Una intesa che delicatamente diventa tumultuosa storia d'amore. Qualcosa di pericoloso, proibito, inaccettabile nell'Inghilterra di inizio Ottocento ma che segnerà la vita di entrambe per sempre. «Quando descrive situazioni di isolamento, Donoghue riesce a portare la tensione a livelli impressionanti» (Margaret Atwood).
Di che colore è la vaghezza? E qual è la differenza tra il grigio sopra le nubi e il grigio lama smussata? Quanto è buio il nero cecità? L'indaco di montagna, il marrone vento d'inverno, il bianco cielo con luna: tutto in Giappone ha un suo colore, perché col colore si può dire ogni cosa. Laura Imai Messina racconta il Giappone in un modo unico ed emozionante: attraverso i suoi colori. In un caleidoscopio di storie, leggende, tradizioni, e con le splendide illustrazioni di Barbara Baldi, "Il Giappone a colori" ha la forza gentile e dirompente dei viaggi che ci cambiano lo sguardo. «Cade la pioggia, sulla riva rocciosa di Jogashima / cade una pioggia color Rikyu», scrive il poeta Hakushu Kitahara: ma Sen no Rikyu è un antico maestro della cerimonia del tè vissuto molti secoli prima, come può una persona indicare una precisa sfumatura del grigio? E perché a un certo punto alcuni colori divennero «colori proibiti» appannaggio esclusivo della corte imperiale e come reagì la popolazione a quel «furto»? O ancora: quante sfumature di un sentimento si possono comunicare attraverso la semplice scelta del colore della carta di un messaggio d'amore? Fra i tanti segreti che il Giappone tuttora conserva allo sguardo occidentale, c'è il suo straordinario rapporto con i colori. Color piume bagnate di corvo, color piume nere di gru, campo arido, cielo illuminato dalla luna, lama smussata: i nomi dei colori tradizionali del Giappone sono già un assaggio di poesia. Ma quando scopriamo le storie, le tradizioni o le leggende che si nascondono dietro questi nomi, la meraviglia si moltiplica. Ognuno di essi (a cominciare dai fondamentali: grigio, bianco e nero) si porta dietro una storia che è parte della Storia del paese, della sua letteratura e della sua arte. Una ricchezza che arriva fino al presente. Quando poi a raccontare questo universo di infinita varietà è la penna di una scrittrice come Laura Imai Messina, i colori del Giappone riescono a illuminare angoli bui del cuore di ognuno con imprevedibili risonanze. Unendo la sua competenza di studiosa (e la conoscenza di prima mano della cultura giapponese) con le sue doti di narratrice, Laura Imai Messina scrive un libro unico e prezioso, un invito al viaggio e all'immaginazione, un romanzo epico i cui protagonisti sono i colori.
1939. L'Italia si prepara a vivere l'ultimo Natale di pace, ma un omicidio squassa il ventre della città. Quanta solitudine che c'è. In Europa la guerra è cominciata, eppure da noi qualcuno si illude ancora che sia possibile tenerla fuori della porta. E poi sta arrivando la più bella delle feste, quella dove si mangia, si beve, ci si abbraccia, quella in cui ci si scambiano doni con le persone care; non bisogna avere pensieri tristi. La solitudine, però, la solitudine vera, è difficile da scacciare. Puoi essere solo perfino se stai in mezzo alla gente, se hai una famiglia, degli amici. Soprattutto puoi essere solo se decidono che sei diverso, magari perché non sai parlare, o perché ami persone del tuo stesso sesso. O perché, dicono, sei di un'altra razza. Anche Erminia Cascetta era diversa, a modo suo. Aveva troppa voglia di vivere, perciò l'hanno uccisa. In questo tempo che accelera verso l'abisso, spetta al commissario Ricciardi e al brigadiere Maione scoprire chi è stato. La chiave di tutto, però, è sempre la solitudine. Che, a volte nemmeno lo sappiamo, ci siede accanto. «Potessi parlarti, ti parlerei della solitudine del cuore. E della condanna che hai comminato, senza nessuna pietà, e senza avere idea di quello che stavi facendo. Potessi parlarti, ti direi che alla fine la colpa è tua. Ma non posso parlarti, giusto? No, non posso. Perché sei morta».
Una fattoria nella campagna irlandese, una bambina silenziosa, un padre e una madre non suoi. Claire Keegan tratteggia un lessico sentimentale dell'accoglienza e dell'amore genitoriale, in un racconto di sommessa e struggente bellezza. «Può bastare anche solo un'estate per imparare a essere amati. Ce lo racconta con ineffabile grazia la piccola protagonista di questo racconto perfetto» (Viola Ardone). «Per raccontare un mondo nuovo, un'esperienza mai vissuta, servono parole nuove, quelle che Claire Keegan trova dentro un vocabolario di cose, reali come l'amore» (Maria Grazia Calandrone). «L'estate non è mai un tempo qualsiasi. Ma c'è un'estate che può essere più preziosa delle altre, che può portare in sé l'abbacinante luce della crescita. La luce con cui è scritto questo romanzo» (Valeria Parrella). «Poi attraversiamo il tepore della cucina e lei mi dice di sedermi, di fare come se fossi a casa mia. Sotto il profumo di qualcosa che cuoce nel forno c'è una punta di disinfettante, candeggina forse. Toglie dal forno una crostata di rabarbaro e la mette a raffreddare sul piano della cucina: sciroppo bollente sul punto di traboccare, foglie sottili di pastafrolla saldate alla crosta. Dalla porta entra una corrente fresca ma qui è caldo, immobile, pulito».
Sapevate che Pandora ha scoperchiato il celebre vaso perché era una maniaca della pulizia e voleva spolverarlo? E che Achille è stato un bambino cagionevole e si è preso tutte le malattie esantematiche, pure quelle che non esistono? Per non parlare di Ulisse, che per smascherare Achille e arruolarlo si è travestito da venditore ambulante di borse taroccate. La mitologia classica come non l'avete mai letta, rivisitata dal talento irresistibilmente comico di Enrico Brignano. Da quando sua figlia ha imparato a memoria le fiabe più conosciute, Enrico Brignano ha dovuto architettare nuovi modi per intrattenerla e per farla addormentare. Ha cominciato allora ad attingere dal serbatoio infinito di storie della letteratura greca, pescando tra le reminiscenze scolastiche e lavorando di fantasia per colmare le lacune ed evitare le domande scomode della sua piccola ascoltatrice. Nasce così questa divertentissima raccolta di miti classici reinventati, in cui la sua scatenata immaginazione ci mostra dèi, eroi e personaggi tragici in una veste inedita ed esilarante. «Può sembrare niente, ma l'Olimpo era il condominio divino con guardia alla reception h24, un luogo molto esclusivo dove non è che potessero entrare pizza e fichi, ma solo gente selezionata, un po' come nel backstage dei Maneskin! E a Zeus, il capoccia di tutto il cucuzzaro di divinità, stava talmente simpatico Prometeo che a un certo punto lo convocò e gli disse: Prome', senti, qui si sta bene per carità, il vicinato è ottimo, si mangia bene, le case sono belle e non ci manca niente. Però un po' ci si annoia. Allora avrei pensato, no?, perché non ti occupi di impastare degli esseri a nostra immagine e somiglianza, così li piazziamo sulla terra e vediamo un po' che combinano? Ci mischiamo a loro, gli mandiamo qualche maledizione... insomma, passiamo il tempo».
Il primo horror di Jo Nesbø. Un bosco. Una casa. Una chiamata. E un monito: quando il telefono squilla, non rispondere... Hai il coraggio di entrare nella casa delle tenebre? Dopo la tragica morte dei genitori in un incendio, il quattordicenne Richard Elauved viene mandato a vivere con gli zii nella remota cittadina di Ballantyne, guadagnandosi presto, tra i nuovi compagni di scuola, la reputazione di asociale ed emarginato. Così, quando uno studente di nome Tom scompare sotto i suoi occhi, nessuno crede alla sua versione dei fatti: è stata la cabina telefonica ai margini del bosco a risucchiare Tom nel ricevitore e a farlo svanire nel nulla. L'unica a dargli retta è Karen, una ragazza che incoraggia Richard a seguire gli indizi su cui la polizia si rifiuta di indagare. Quando, poco dopo, un altro ragazzo sparisce, Richard dovrà dimostrare la sua innocenza fare i conti con la magia oscura che avvolge Ballantyne e ne minaccia la distruzione. Un libro teso e avventuroso dalla prima all'ultima pagina. Una rivisitazione dei romanzi classici dell'orrore per mano del re del crime Jo Nesbø.