Chi vuole rottamare, chi promette di asfaltare, chi minaccia di usare la ruspa. I politici dei nostri giorni amano distruggere, annunciano di voler abbattere l'edificio del passato, anche se di solito finiscono per abbattersi da soli. Ci fu invece un uomo, quando l'Italia era ancora un regno ma stava per diventare una repubblica, che si propose come «costruttore»: Alcide De Gasperi. Intorno a lui, le macerie della guerra provocate da un grande «distruttore». Eppure, De Gasperi riuscì a ricostruire l'Italia. In otto anni da presidente del Consiglio mandò via il re, difese l'integrità territoriale di un Paese sconfitto, ottenne i finanziamenti del Piano Marshall, portò Roma nel Patto atlantico e costruì l'embrione dell'Europa unita con Francia e Germania, creò la Cassa del Mezzogiorno e l'Eni di Mattei, promosse le grandi riforme sociali e avviò il miracolo economico. Invece di una rivoluzione, fece una democrazia. Quella in cui oggi viviamo. Un uomo nato povero e rimasto umile, sobrio e devoto, così diverso non solo dai politici attuali ma anche da quelli del suo tempo. E infatti morì da «uomo solo» nella Dc. Ma l'Italia lo capì e lo ammirò: alla sua morte ci fu un'ondata di commozione nazionale e il treno che trasportò la salma da Borgo Valsugana a Roma fu accolto dalla folla in decine e decine di stazioni. Fu un santo? Secondo alcuni sì. A Roma è in corso il processo di beatificazione che entro il Giubileo del 2025 potrebbe portare alla consacrazione di «venerabilità». Nel settantesimo anniversario della morte, attraverso cinque lezioni di straordinaria attualità - che spaziano dalla sua concezione della democrazia come «antidittatura», che lo portò a essere prima antifascista e poi anticomunista, alla politica estera, alla gestione della spesa pubblica, all'intervento nel Mezzogiorno -, Antonio Polito racconta la storia del primo e unico «premier forte» della Repubblica: per offrirne il modello a chi oggi guida o si candida a guidare l'Italia, ai politici dei nostri tempi.
"Questo è probabilmente l'ultimo libro che scrivo. Non pensavo di farlo, ma poi ho riflettuto che forse ne valeva la pena. Adesso vorrei dire anch'io quello che penso, le domande che mi pongo, le cose che ho compreso... È un libro che forse voglio scrivere anche per me stesso, oltre che per i lettori." Da tempo Piero Angela lavorava a queste pagine, frutto di un confronto - durato decenni - con il suo storico collaboratore Massimo Polidoro. Una conversazione, è il caso di dirlo, sui massimi sistemi: l'universo, la natura, l'uomo. Si parla di scienza insomma, che lo appassionava e che era tanto bravo a divulgare. "Pensa come uno scienziato", oltre a essere sempre stato il suo consiglio ai giovani, è anche la chiave di lettura e di comprensione del presente che viene loro offerta da questo libro. Ogni cosa della vita, ogni argomento può, anzi deve essere affrontato con la razionalità tipica del metodo scientifico. Ma allo stesso tempo non bisogna mai perdere la curiosità, l'umiltà e il senso di meraviglia. Solo così si capisce, e si cresce. "La meraviglia del tutto" è una lezione di vita che accompagna il lettore in un viaggio alle origini dell'uomo, questo "pezzetto di universo che ha acquisito la capacità di voltarsi indietro e di ricostruire la propria storia straordinaria". Ogni capitolo apre una porta che dà su porte successive, e la grande capacità narrativa di Angela cattura la curiosità del lettore e lo trascina nell'affascinante avventura della conoscenza. Questo libro non sarebbe stato possibile senza Massimo Polidoro, l'allievo che nel corso di trent'anni ha "interrogato" il maestro stimolandolo con le sue domande. Che sono poi le stesse che tutti noi ci facciamo. E a cui Piero Angela risponde con la chiarezza e l'onestà intellettuale che abbiamo sempre ammirato.
Il nostro futuro si giocherà in Africa. Il mondo la osserva con un'attenzione nuova. È il baricentro demografico del pianeta: lì si concentrerà la crescita della popolazione in questo secolo, mentre la denatalità avanza altrove. Un'altra sfida riguarda le materie prime, in particolare materiali strategici nella transizione verso un'economia sostenibile: molti dei minerali e metalli rari indispensabili per i pannelli solari o le auto elettriche vengono estratti in Africa. Del continente gli italiani conoscono solo una narrazione pauperistica e catastrofista. L'Africa è descritta come l'origine della «bomba migratoria» che si abbatterà su di noi. Viene compianta come la vittima di tutti gli appetiti imperialisti e neocoloniali: quelli occidentali o la nuova invasione da parte della Cina. Fa notizia solo come luogo di sciagure e sofferenze: conflitti, siccità e carestie, sfruttamento e saccheggio di risorse, profughi che muoiono attraversando il Mediterraneo. Dagli anni Settanta, quando si spensero le prime speranze di rinascita nell'epoca dell'indipendenza post-coloniale, l'Occidente ha mescolato la sindrome della pietà, i complessi di colpa e una «cultura degli aiuti umanitari» destinata a creare dipendenza e corruzione. Contro gli stereotipi s'impone una nuova narrazione. Ce la chiedono autorevoli personalità africane, che si riprendono il diritto di raccontare l'Africa così com'è davvero, senza piangersi addosso, ribellandosi ai luoghi comuni occidentali. L'Africa non è una nazione, è un continente immenso con diversità enormi, dal Cairo a Johannesburg, da Addis Abeba a Lagos. Non è solo sofferenza e fuga, come dimostra la sua straordinaria vitalità culturale. A New York, Londra e Parigi siamo invasi da romanzi, musica, film, pittura e mode creati da nuove generazioni di artisti africani. La diaspora brilla per le eccellenze: negli Stati Uniti i recenti immigrati dall'Africa hanno dato vita a una delle comunità etniche di maggior successo. Esiste un protagonismo africano. Sbagliamo quando descriviamo il continente soltanto come «oggetto» di manovre altrui (America, Cina, Russia, Europa). Senza ricadere nelle illusioni dell'Afro-ottimismo che già si sono accese e spente nei decenni passati, questo saggio è una provocazione contro la pigrizia intellettuale e un antidoto contro le lobby che usano l'Africa per i propri scopi. Il nostro sguardo deve cambiare perché lo sguardo degli africani su se stessi sta cambiando. Fallito il modello degli aiuti, fallite le dittature e gli statalismi, mentre c'è chi tenta di importarvi il «modello asiatico», noi europei dobbiamo uscire dalla nostra passività. Quasi un ventennio fa, Federico Rampini fece scoprire agli italiani un'Asia nuova, in vorticoso cambiamento, con Il secolo cinese e L'impero di Cindia. Oggi affronta con lo stesso approccio spregiudicato il Grande Sud globale, guidandoci nella sua riscoperta senza paraocchi, da testimone in presa diretta, attraverso reportage di viaggio e dando la voce a personaggi che fanno la storia.
Ottobre 1945. L'anno scolastico inizia in ritardo. È il primo dell'Italia liberata e non è semplice ripartire dalle macerie. La maestra Gilla guarda con angoscia quei muri che fino a poche settimane prima alloggiavano nazisti. È arrivata a Borgo di Dentro per sfuggire alle bombe che martoriavano la sua Genova, e come tanti giovani ha combattuto e ha rischiato la vita, scommettendo sulla costruzione di un futuro migliore che altri compagni non vedranno. Ma ora non vuole pensare a quello che la guerra le ha tolto, e le ventitré allieve di quinta elementare che ha di fronte sono una ragione sufficiente per tenere a bada la tristezza. Al suono della campanella è rimasto un posto vuoto, in prima fila. La bambina a cui è destinato raggiunge la classe poco dopo, accompagnata dalla bidella e da un biglietto del direttore. Si chiama Francesca e arriva dal vicino orfanotrofio. È preparata, diligente, ma non parla e Gilla nei suoi occhi riconosce subito la tristezza di chi si trova solo in un mondo cui non appartiene. Per entrambe c'è stato un prima e c'è stato un dopo. Ma se Gilla del passato vorrebbe liberarsi, per Francesca è l'unico posto in cui desidera tornare. Perché lì sta la sua famiglia, quella per cui il suo nome era Ester e con cui viveva a Casale Monferrato, prima che i "provvedimenti per la difesa della razza" impedissero a suo padre di insegnare, a suo nonno di vendere stoffe, a lei e sua madre di condurre una vita degna di questo nome. L'ultimo ricordo felice di Ester è una gita sul Po. Dopo, solo la colpa di essere ebrei. Ora dei genitori non sa più nulla, e la speranza che tornino a prenderla, come le hanno promesso, l'abbandona un po' ogni giorno. Gilla ha intuito cosa nasconde l'ostinato silenzio della bambina, e sa che per riparare ciò che si è rotto servono calma e pazienza. Le stesse che usa con un vecchio planetario meccanico che la sera aggiusta sul tavolo della cucina, formulando lezioni immaginarie per le sue allieve. Con la grazia di chi sa di maneggiare esistenze fragili e preziose e il rigore di un meticoloso lavoro di ricerca, Raffaella Romagnolo scrive un romanzo di dolore e rinascita su un momento storico da cui ancora oggi è impossibile distogliere lo sguardo.
Notte del 18 luglio 1936. Barcellona brucia. Inizia la guerra civile che porterà al potere Franco. La famiglia italiana Moncalvi, titolare di una delle più rinomate gastronomie della città, è al bivio: cercare di sopravvivere nei tumulti o tentare la fuga verso l'Italia. Decideranno di partire, ma sarà uno strappo doloroso. A raccontare l'epopea della famiglia Moncalvi è Augusto, "Gutin", il più piccolo dei fratelli. Dopo un viaggio sospeso tra il sollievo di essere scampati alla violenza, la disperazione per aver lasciato la propria casa e la speranza in un nuovo avvenire, gli occhi sognanti del ragazzo vedranno le meraviglie di Genova, la villa sulle colline di Gavi dove ripareranno, l'incanto della vita nei boschi. Ed è qui che Gutin rimane affascinato da uno zio avventuriero, grande conoscitore di quelle storie di mare di cui la fantasia del ragazzo si nutre. Ma Augusto resta affascinato anche da una ragazza dai riccioli neri, Laura, con la quale inizia a trascorrere le sue giornate. Quello che gli manca, però, è il coraggio di dichiararle il suo amore. Qualche anno dopo questo piccolo Eden viene spazzato via dai venti della Seconda guerra mondiale. L'adorato zio sceglie di salire sui monti con i partigiani, Laura fugge insieme alla sua famiglia: la vita dei Moncalvi non è più la stessa. Giulia, la sorella maggiore, è costretta a occuparsi della casa e dei suoi fratelli, confidando a un diario i suoi sogni di ragazza. Finché un giorno i tedeschi prendono possesso di villa Moncalvi e Augusto, attraverso il confronto con un medico dell'esercito invasore e quello sempre più stretto con sua sorella, impara a distinguere il confine tra il bene e il male e a rimettere insieme i tasselli della sua storia famigliare. Quando la guerra volge al termine, Gutin prova a rintracciare suo zio e quella ragazza dai riccioli neri che non vede da mesi, sperando che nel frattempo non si sia dimenticata di lui. Con Il mio nome nel vento Alessandro Rivali dà vita, con la sua scrittura poetica e limpida, a una grande epopea famigliare, un viaggio frutto di una ricostruzione basata su documenti della sua famiglia, a cui si ispira da vicino quella immaginaria dei Moncalvi, e sui fatti di un periodo di Storia cruento e cruciale.
Joaquin Navarro-Valls è stato per oltre vent'anni il direttore della sala stampa vaticana al tempo di Giovanni Paolo II. Per quasi un quarto di secolo, come suo portavoce, ha avuto accesso diretto al pontefice. Lo ha accompagnato negli innumerevoli viaggi apostolici così come nelle vacanze estive in montagna, e ha potuto vivere da vicino eventi che hanno segnato la nostra storia recente, dalla prima delegazione vaticana nella Mosca sovietica all'incontro con Gorbac?ev in Santa Sede, ai preparativi per la visita del papa nella Cuba di Fidel Castro. Nel quarantacinquesimo anniversario dell'elezione di Giovanni Paolo II, questo libro raccoglie gli appunti personali che Navarro-Valls prese durante quegli anni. Pagine che, scritte sotto forma di diario e pubblicate per volere dell'autore dopo la sua scomparsa, offrono non solo un interessante spaccato del dietro le quinte del lavoro della Santa Sede, ma svelano alcuni dei grandi problemi dell'umanità che tanto preoccupavano il Santo Padre e, soprattutto, forniscono dettagli preziosi della sua vita quotidiana. I ricordi di Navarro-Valls mostrano il lato più umano e illuminano ancora una volta la straordinaria capacità comunicativa grazie alla quale Giovanni Paolo II esercitava il proprio ministero. E al tempo stesso restituiscono il rapporto professionale e fraterno che li ha uniti, una speciale relazione, fatta di fiducia, ironia e affetto sincero. Attraverso lo sguardo di Navarro-Valls e un ricco inserto fotografico, con immagini rese pubbliche per la prima volta, ripercorriamo i momenti salienti del papato di Giovanni Paolo II. Un viaggio al fianco di un protagonista indimenticabile della scena vaticana, che consegna un ritratto inedito di Wojtyla e aggiunge sfumature e complessità al suo pontificato.
Numerosi segnali indicano che il modello scolastico tradizionale imperniato sul ruolo «educativo» dello Stato, sulla scuola edificio, sulle classi organizzate per gruppi di età, su programmi predisposti in modo uniforme e sul riconoscimento del titolo legale di studio mostra segni di invecchiamento. Secondo molti studiosi saremmo in presenza di un suo esaurimento in un futuro non si sa quanto vicino o remoto. Non solo la diffusione delle nuove tecnologie, la disponibilità in Rete di informazioni infinitamente superiori a quelle che la scuola riesce ad assicurare, ma anche il desiderio dei giovani di costruire percorsi di apprendimento in autonomia e il bisogno di veder valorizzata l'esperienza a fianco dello studio sono alcune delle ragioni che spingono verso un nuovo modello scolastico. Gli autori offrono al lettore un'ampia rassegna dei dibattiti in corso sul futuro dell'istruzione, senza tacere le difficoltà e le resistenze che possono frenare o addirittura ostacolare il cambiamento.
In casa di Coraline ci sono tredici porte che permettono di entrare e uscire da stanze e corridoi, e poi ce n'è una, la quattordicesima, che dà su un muro di mattoni. Un giorno Coraline scopre che dietro la porta si apre un corridoio scuro, e alla fine del corridoio c'è una casa identica alla sua, e nella cucina della casa vive una donna uguale a sua madre. Quasi uguale, anzi, perché al posto degli occhi ha due lucidi bottoni, attaccati con ago e filo. Amorosa e attenta, l'altra madre le chiede di diventare sua figlia: in cambio avrà tutto ciò che desidera. Ma Coraline, bambina saggia e intrepida, capisce subito di essere finita in una ragnatela fatta di nebbia e tenebra, al cui centro c'è un ragno straordinariamente pericoloso. E sa che, tra incanti e spaventi, gatti parlanti e spettri bambini, topi musicisti e vecchie attrici indomabili, toccherà a lei sconfiggere il buio e liberare i prigionieri dell'altra madre... Età di lettura: da 10 anni.
Nonostante il celebre esempio plutarchiano, la «biografia parallela» è un genere poco frequentato dalla storiografia, e soprattutto da quella moderna. Eppure esso si rivela estremamente fecondo nelle mani di uno studioso quale Alan Bullock, in cerca di un quadro di riferimento per avviare una disamina incrociata dei due sistemi di potere, staliniano e nazista, che, se a prima vista sembrano «inconciliabilmente ostili», mostrano in realtà svariati elementi comuni. «La loro apparizione contemporanea e la loro interazione mi apparivano il tratto più nuovo e sconvolgente della storia europea della prima metà del XX secolo, le cui conseguenze hanno a lungo dominato anche la seconda» scrive Bullock. E quel quadro di riferimento è appunto lo studio comparato delle vite dei due dittatori, Hitler e Stalin, ricostruite cronologicamente in parallelo. L'autore esamina e confronta il Partito Nazionalsocialista e il PCUS, gli stati di polizia tedesco e sovietico, le scelte dei due «Signori della Guerra», senza trascurare l'indagine psicologica, laddove essa possa contribuire a una migliore comprensione dei personaggi. Il libro estrapola così gli elementi-chiave delle due esperienze - rivoluzione, dittatura, ideologia, diplomazia, guerra -, mettendoli in relazione con le personalità dei due uomini responsabili di avere dato al Novecento l'impronta di una ferocia che non va dimenticata.
S'innamorano di una sagoma di cartone o di un pretoriano in miniatura, odiano i bambini pur portandoseli in grembo, lasciano una donna ma ne restano imprigionati, vomitano amore e rabbia, si tagliano, tradiscono, si ammalano. Sono alcuni dei personaggi del nuovo libro di Michela Murgia, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva. "Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita." A volte a stravolgerla è un lutto, una ferita, un licenziamento, una malattia, la perdita di una certezza o di un amore, ma è sempre un mutamento d'orizzonte delle tue speranze che non lascia scampo. Attraversare quella linea di crisi mostra che spesso la migliore risposta a un disastro che non controlli è un disastro che controlli, perché sei stato tu a generarlo. In stato di grazia, Murgia scrive per tutti noi un libro estremamente originale che rimanda a una costellazione di altri grandi libri: Il crollo di Fitzgerald, Lo zen e il tiro con l'arco di Herrigel e L'anno del pensiero magico di Didion.
I virus prendono il sopravvento, il clima si riscalda e la Terra si sta rinaturalizzando. Abbiamo a lungo pensato di poter costringere il mondo naturale a adattarsi alla nostra specie e ora siamo costretti a adattarci noi a un mondo naturale imprevedibile. Questo mette in discussione la concezione del mondo a cui siamo da tempo affezionati. E, di fronte al caos che si sta dispiegando intorno a noi, ci ritroviamo senza una valida strategia. Il noto teorico dell'economia e della società Jeremy Rifkin ci invita quindi a un radicale ripensamento della concezione del tempo e dello spazio. Perché, come osserva in questo libro, l'Età del Progresso, un tempo considerata sacrosanta, è ormai al tramonto, mentre una nuova e potente narrazione è in ascesa: l'Età della Resilienza. Durante l'Età del Progresso la regola aurea era l'efficienza, che ci imprigionava nell'incessante sforzo di ottimizzare l'espropriazione, la mercificazione e il consumo dei doni della Terra, con l'obiettivo di accrescere l'opulenza della società umana, ma al prezzo del depauperamento della natura. Nella nuova era, invece, l'efficienza sta cedendo il passo all'adattività portando con sé profondi cambiamenti nell'economia e nella società. La generazione più giovane, a sua volta, si sta riorientando dalla crescita alla prosperità, dal capitale finanziario al capitale ecologico, dalla produttività alla rigeneratività, dal prodotto interno lordo agli indicatori della qualità della vita, dall'iperconsumo all'ecogestione, dalla globalizzazione alla glocalizzazione, dalla geopolitica alla politica della biosfera, dalla sovranità dello Stato-nazione alla governance bioregionale e dalla democrazia rappresentativa alle assemblee di cittadini. In un momento in cui la famiglia umana guarda con angoscia al futuro, Rifkin ci apre una finestra su un nuovo e promettente mondo e su un futuro radicalmente diverso che può offrirci una seconda opportunità di prosperare sulla Terra.
Funzionario di Satana di lunga esperienza e grande efficienza, Berlicche invia al giovane nipote Malacoda, diavolo apprendista, una serie di lettere per istruirlo nell'arte di conquistare (e dannare) il suo "paziente". Ogni manifestazione della vita, dal pensiero alla preghiera, dall'amore all'amicizia, dal divertimento alla vita sociale, dal piacere al lavoro e alla guerra: tutto viene distorto a scopo diabolico e diventa un espediente per perdere gli uomini. Divertente, intelligentissimo, vero e proprio "catechismo infernale", Le lettere di Berlicche narra con arguzia la contesa di un'anima tra il bene e il male, sullo sfondo dell'Inghilterra bombardata della Seconda guerra mondiale. Uno scenario in cui l'inferno non è un buco nero pieno di fuoco, grida e forconi, ma un'azienda perfettamente efficiente; perché - scrive l'autore nella Prefazione all'edizione del 1961 - «il male supremo non è compiuto in quegli squallidi "covi del crimine" che Dickens amava descrivere. Non è compiuto neppure nei campi di concentramento e nei campi di lavoro. Lì vediamo il suo risultato finale. Invece viene concepito e ordinato (mosso, assecondato, portato avanti e scandito) in uffici puliti, caldi, coi tappeti e ben illuminati, da uomini tranquilli coi colletti bianchi, manicure perfetta e guance ben rasate che non hanno bisogno di alzare la voce». Un'immagine che, oggi come ieri, mette i brividi più di mille code biforcute e ali di pipistrello. Prefazione di Andrea Monda.