Bebe, appena diciottenne, come tutti i ragazzi della sua età ama divertirsi: andare al centro commerciale o ai concerti con le amiche, mettersi in tiro per uscire la sera... Non ci sarebbe nulla di strano se non stessimo parlando di Beatrice Vio che a undici anni, dopo essere stata colpita da una forma di meningite acuta, ha subito amputazioni a gambe e braccia. Ma per Bebe la malattia non è la fine, anzi rappresenta soltanto una piccola parentesi tra quello che era prima - una bambina con una famiglia fantastica, moltissimi amici e le "tre S" (scuola, scout, scherma) - e quello che è diventata, ovvero un'adolescente felice, con ancora più amici di prima e sempre le "tre S", ma un po' cambiate: oggi frequenta le superiori, ha ormai ricevuto il suo nome-caccia scout (Fenice Radiosa) e ha già vinto diverse medaglie in competizioni paralimpiche di scherma, anche internazionali, di altissimo livello. Eccezionale atleta e insieme ragazza scoppiettante di vita, Bebe si racconta in queste pagine che traboccano di entusiasmo: dalle gare in giro per il mondo alle vacanza all'Elba, dalle figuracce in tv alle gioie delle protesi con tacco, dai faccia a faccia con i suoi miti agli incontri motivazionali che tiene nelle piazze e nelle scuole. E dei suoi sogni. Perché dopo avere fondato con i genitori art4sport (un'associazione onlus che avvicina i ragazzi con disabilità fisiche allo sport), avere fatto la tedofora a Londra 2012 e avere gareggiato con le atlete più forti al mondo...
Era il 1978 quando due giornalisti seguirono Christiane e i suoi amici negli angoli più bui della metropolitana di Berlino. Fu un viaggio all'inferno, raccontato in un libro che divenne il simbolo di una generazione falciata e trasformò la protagonista nell'incarnazione dell'inquietudine giovanile. Trentacinque anni dopo, Christiane ci impressiona e ci commuove come allora raccontandoci un'intera vita di solitudine e disperazione: la disintossicazione, gli anni felici e folli insieme agli idoli del rock e della letteratura, le ricadute, la lotta per la sopravvivenza in un carcere femminile, le amicizie pericolose, le malattie; gli aborti, e un figlio adolescente di cui le è stata sottratta la custodia. "Non ho più niente. Non ho più amici, e nessuno può immaginare cosa mi tocca passare ancora oggi, solo perché sono quella che sono. Sono questi i momenti in cui guardo fuori dalla finestra e mi chiedo: 'Farà poi così male buttarsi di sotto?'". Christiane non ha paura di scoprirsi, ed è ancora una volta la sua spietata onestà a fare di questo memoir un racconto coraggioso e commovente: "lo sono e resterò sempre una star del buco. Un animale da fiera. Una bestia rara. Una ragazza dello zoo di Berlino".
Una Wonder Woman in borghese: non indossa le culotte con le stelle o il top rosso, eppure la protagonista di questo libro a volte si sente proprio così. Come la supereroina, lotta contro le avversità della vita armata di autoironia e tenta in ogni modo di andare avanti - crescere i suoi bambini di due e quattro anni, non allontanarsi dall'amato marito Ken e vedere le amiche di sempre - mentre affronta il tumore al seno. Ma i "sassolini", come li chiama per Attilino e la Iena, le portano anche una nuova terza misura di reggipetto. E Wondy è bravissima a vedere il bicchiere mezzo pieno, così, senza poter dimenticare i continui controlli, la chemio e i mesi passati sul divano, non perde l'occasione per sdrammatizzare e vedere il lato positivo. Con la valigia pronta per un nuovo viaggio e il pc sempre acceso, impara che il tempo è prezioso (e poco), che i veri amici si riconoscono subito - ti invitano a sessioni di shopping o preparano cene prelibate con consegna a domicilio - che l'affetto incrollabile dei figli è il nostro carburante migliore; insomma che vale la pena combattere al massimo per tenersi stretto ciò che si ama. E allora, senza capelli le feste in maschera e parrucca vengono meglio, se hai già la nausea puoi concederti infinite corse sulle montagne russe con tua sorella e, se non hai appetito ma il sushi lo mangi, ne approfitti per uscire più spesso a cena... Francesca Del Rosso racconta una storia, la sua, ricordandoci come ogni donna abbia dentro un potere nascosto...
"Per quelli che mi incontrano la prima volta, sono stupido. Profondamente stupido. Di colpo però, quando mi capita di nominare l'autismo, alcuni cambiano completamente atteggiamento. Da idiota che ero, divento un piccolo genio. Il che, in Fin dei conti, è lo stesso, fatta eccezione per la capacità di estrarre radici tredicesime." Josef Schovanec ha la sindrome di Asperger: muto fino all'età di sei anni, è solo grazie alla determinazione dei suoi genitori che si è salvato dall'ospedale psichiatrico. La diagnosi sbagliata di un trauma psichico irreversibile ci avrebbe infatti privato per sempre di un'intelligenza fuori dal comune: il bambino che non era stato giudicato idoneo a frequentare la prima elementare, l'adolescente tanto spesso trattato come un ritardato mentale, l'uomo che fatica a dire buongiorno o a entrare in un caffè, e per il quale l'atto quotidiano più insignificante, come comprare il pane o fare una telefonata, diviene una fonte d'angoscia insostenibile, oggi ha un dottorato in filosofia, parla correntemente diverse lingue, scrive discorsi e tiene conferenze in tutto il mondo. Il suo stato di autistico, racconta in questo libro, non è però qualcosa di lontano dalla normalità (un handicap o un tratto di genialità "aliena"), ma una condizione quotidiana, con vantaggi e svantaggi: dall'attaccamento ad alcune passioni (lui le definisce "manie" o "dipendenze") ai piccoli problemi di tutti i giorni.
"Siamo tutti responsabili del disagio umano e sociale che lacera il nostro Paese" e suor Eugenia Bonetti l'ha imparato lottando in prima linea. Viaggiando sulle rotte della prostituzione, dall'Africa all'Italia, ha conosciuto il mondo della notte e ha combattuto contro la legge della strada. Oggi ha deciso di prendere la parola perché l'assalto alla dignità femminile non si consuma più solo sui marciapiedi: è entrato nei palazzi del potere, nei media e nell'opinione pubblica. Ma chi vuole far tacere le donne? È l'Italia cieca e superficiale che non si mette in discussione e non si assume le proprie responsabilità, sostenuta da una politica che non dà il buon esempio e stravolge il messaggio evangelico per rincorrere poteri e privilegi. In troppi hanno dimenticato che Gesù non faceva distinzioni di genere e che la Sua parola continua a spronarci a rivendicare i diritti dei più deboli e oppressi. Suor Eugenia invece lo ricorda molto bene ed è per questo che dedica la sua vita agli altri. Ha nascosto prostitute nei conventi per salvarle dalla strada. Ha parlato all'Onu in qualità di esperta di traffico delle donne. Ha superato un posto di blocco di soldati nigeriani offrendo rosari benedetti dal Papa. E nel febbraio 2011 ha infiammato Piazza del popolo con il suo discorso alla manifestazione "Se non ora, quando?". Con "Spezzare le catene" lancia un appello rivolto a tutti: ribelliamoci, riprendiamoci una dignità calpestata dagli scandali, dalla volgarità dei media, dal traffico di esseri umani.
Il dolore e la malattia di una persona cara sono esperienze estreme che spesso costringono chi le affronta a rimettere in discussione le proprie certezze, a cercare nuove forme di comunicazione e di relazione. Fulvio De Nigris ha perso un figlio dopo un lungo coma. Un'attesa che ha rifiutato di subire passivamente, e che ha vissuto giorno per giorno nel tentativo di reagire, scegliendo di accompagnare il figlio in un difficile cammino e di tornare a sentirlo vicino nell'apparente lontananza dello stato vegetativo. Quel gesto ora prosegue nell'attività della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, un centro di riabilitazione e ricerca creato per promuovere un nuovo modello di assistenza; per contrapporre la cultura della cura alla prassi dell'abbandono; per insegnare a riconoscere la vita anche dove sembra essere assente. Prefazione di Alessandro Bergonzoni. Postfazione di Davide Rondoni.
“Ero costretta ad affrontare la realtà: mio figlio era un tossico. Era incomprensibile. Dovevo accettarlo, ma come fa una madre ad accettare di perdere il figlio?” Questo il dolore che lacera Libby, educatrice di professione e genitore premuroso, quando vede il suo brillante Jeff trasformarsi nell’immagine sbiadita di ciò che era. Al principio la droga è solo una bravata da ragazzini, ma presto prende il sopravvento e mostra il suo volto più feroce: la dipendenza, la schiavitù. Tra alti e bassi, Jeff riesce a mantenere un profilo rispettabile: nessuno può immaginare che dietro a quell’uomo affermato si nasconda un’esistenza miserabile fondata su un bisogno che non si può saziare. Ma quando Libby lo vede alla sua porta esausto, quando gli carezza la fronte durante l’ennesima crisi d’astinenza, fatica a riconoscere il figlio in quel corpo scheletrico, violato e senza forza. Combattente nata, non si perde d’animo: rivuole il suo Jeff. In un intenso percorso di scoperta personale e familiare, Libby si spinge fino alle sue radici e riscopre il legame con l’Italia: al primo viaggio ne seguono molti altri, per periodi sempre più lunghi, durante i quali entra in contatto con la comunità di San Patrignano. È qui che riceve l’insegnamento più prezioso: “Stagli vicino”. Dopo quattordici anni di perdizione e sconforto, di suppliche e minacce, di disintossicazione forzata e inevitabili ricadute, le viene chiesto il sacrificio più grande: credere nel figlio al punto tale da lasciarlo andare. Solo Jeff può decidere di liberarsi. Con sincerità disarmante, Libby racconta la sua storia di madre ossessionata dai sensi di colpa e dall’impotenza, la sua lotta per salvare un figlio deciso a perdersi e la faticosa risalita che glielo restituirà forse meno perfetto ma degno di un amore ancora più grande.
Il 37 è grumoso come semolino, l'89 è neve che cade, i numeri primi sono lisci come ciottoli. Il 31 gennaio 1979, il giorno della sua nascita, è azzurro, come lo sono il 9 e tutti i mercoledì. Così Daniel vede i numeri: come forme e colori che si combinano in calcoli mentali istantanei. Qual è il suo segreto? Una forma di autismo chiamata sindrome di Asperger, che si accompagna a qualità fuori dal comune, tra cui una memoria strabiliante, ma anche terribili difficoltà ad affrontare la vita quotidiana. Daniel è un bambino molto solo: a scuola bersaglio dei bulli, a casa irrimediabilmente diverso, per quanto amato, dagli otto fratelli e sorelle. È un adolescente tormentato e timido, perennemente sfasato dalla società dei suoi coetanei, da codici comunicativi che non capisce e non sa usare. E anche da adulto la vita è faticosa: ha seri problemi di coordinazione, deve mangiare ogni mattina l'identica quantità di cereali, non può uscire di casa se prima non ha contato gli indumenti che indossa. Ma l'appoggio della famiglia, l'impegno a viaggiare e ad aprirsi a nuove esperienze, e la scoperta dell'amore con Neil, il compagno conosciuto grazie al primo computer, daranno alla sua vita una direzione nuova e un nuovo slancio. "Nato in un giorno azzurro" non è solo una testimonianza unica, un viaggio nella psiche di un genio, ma anche una storia che racconta e spiega la diversità.
Sedici storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio della non-rassegnazione. Un viaggio in un territorio di confine che spesso viene ignorato o addirittura cancellato. Eppure questo territorio esiste. Ed è abitato da persone straordinarie, piene di coraggio, di voglia di vivere, di tenacia, di passione e tenerezza. Cannavò li presenta con grandissima intensità e con uno stile magistrale. Uomini e donne che vivono, sognano, lavorano, si emozionano, anche se sono senza braccia o costretti sulla sedia a rotelle o ciechi dalla nascita. Con prefazione di Walter Veltroni.
In questo libro Cannavò racconta i lunghi mesi trascorsi nel carcere milanese di San Vittore facendo parlare i detenuti, cercando di capirne la sofferenza, ammirandone l'incrollabile speranza nel futuro, scoprendo un mondo di solidarietà che noi, dall'altra parte delle sbarre, non possiamo neppure immaginare. E il mondo femminile del carcere, un universo che ci lascia stupefatti per le esperienze umane che ci racconta, la solidarietà delle guardie di custodia, i volontari che s'impegnano per rendere meno dura l'esperienza carceraria, i modi per fare passare il tempo senza sprecarlo.
Perché un bambino intelligente non riesce a leggere e scrivere come gli altri? Come riconoscere il suo problema e aiutarlo a trovare la sua strada? La dislessia, come la disgrafia, la disortografia e la discalculia, rientra nei cossiddetti disturbi di apprendimento, che variano molto per intensità e per natura e spesso si manifestano insieme. La scienza non offre una spiegazione univoca a tali disturbi e non sempre giunge a una diagnosi. È facile confondere i sintomi con la semplice pigrizia, o attribuirne la causa a problemi familiari ed emotivi. E così è facile che a trionfare sia il senso di colpa, del bambino e dei familiari. Vincere la dislessia, per i due autori, è possibile. Occorre, però, prima di tutto conoscerla.