C'è un desiderio che ci accomuna tutti, per i motivi più profondi e diversi: è l'irresistibile sogno di scrivere. Lo conosce bene Roberto Cotroneo, scrittore e critico letterario, che da vent'anni questo sogno lo legge nello sguardo dei suoi allievi dei corsi di scrittura creativa. Ma come nasce? E quali regole bisogna seguire se lo si vuole realizzare? In questo libro troverete una risposta. O meglio, un percorso possibile alla ricerca della propria voce (letteraria) più autentica e vera. Troverete la cassetta degli attrezzi di un autore che da anni si interroga sui processi creativi e sui percorsi della scrittura. Per Cotroneo tutto ha origine in un intimo ricordo d'infanzia. Alcune pagine strappate da un quadernetto a righe e ricoperte di parole, scritte da bambino, armato di una bic blu, contro il giudizio del padre, su un luogo mai visto ma solo immaginato. Come gran parte dei luoghi letterari, del resto. Pagine mai più ritrovate, poi, negli anni, ma sempre inseguite, nella vita di scrittore e nel ricordo. Tra i molti consigli che troverete in queste pagine, dove le lezioni di Calvino, di Eco, di Kundera, si intrecciano con analogie impensate tratte dalla pittura di Rembrandt, Cotroneo ci insegna la cosa forse più importante. Che si scrive (anche) per vivere più a fondo. Ma soprattutto che scrivere è forse l'unico modo per far germogliare nel mondo tutte le vite che potremmo vivere.
Quando il 10 maggio del 2020 la notizia della liberazione di Silvia Romano si diffonde nei social, la giovane rapita in Kenya diviene in pochi istanti il bersaglio di attacchi di ogni genere, tra auguri di morte, rabbiose accuse contro il mondo del volontariato, generici insulti sessisti. È bastato questo episodio per ricordarci la portata e la violenza di un fenomeno che la retorica dell'"Andrà tutto bene" sembrava aver ridimensionato. Ma che invece è più esplosivo che mai. Il discorso d'odio, o hate speech, non è di certo una novità, ma nell'epoca 2.0 ha trovato il modo di dilagare ovunque, inquinando e polarizzando ogni canale del dibattito pubblico: dai social ai media tradizionali, fino ai discorsi quotidiani al bar, è stato sdoganato, e in alcuni casi istituzionalizzato, un linguaggio via via più violento e pervasivo, ma allo stesso tempo sfuggente e polimorfico. Come avverte il linguista Federico Faloppa, infatti, le parole che feriscono non sono solo gli incitamenti all'odio urlati in maiuscolo dai leoni da tastiera o le invettive dei corsivisti più spregiudicati. Da sempre il discorso d'odio agisce anche in modo subdolo, politicamente trasversale e in forme meno esplicite: con metafore, reticenze e false ironie si esprime spesso al riparo da accuse e provvedimenti giudiziari, disseminando parole offensive, narrazioni stereotipate, stratagemmi retorici capaci di fomentare, in sordina, vecchi e nuovi hater. #Odio è un atipico manuale di resistenza che non si limita a setacciare la cronaca dei nostri giorni ma che del discorso d'odio ricostruisce una genealogia storico-giuridica, indica le spie linguistiche, fornisce strumenti di contrasto. Perché solo riflettendo sui limiti della nostra idea di hate speech e sui suoi complessi meccanismi possiamo provare a fermare la marea montante dei discorsi e dei fenomeni d'odio. E ritrovare il senso, inclusivo, della nostra società.
«Sono figli dello stesso letto, ma sono cresciuti in luoghi diversi; condividono buona parte del patrimonio genetico, ma non hanno avuto le stesse frequentazioni; si somigliano molto, ma da vicino è impossibile confonderli; si vogliono bene, ma sotto sotto un po' si invidiano. È davvero difficile accostarsi alla lingua spagnola senza affiancarle la fotografia dell'italiano e senza riconoscere nei suoi tratti un'inconfondibile aria di famiglia.» Per molto tempo, in Italia, ci siamo affidati a questa affinità di sangue dello spagnolo come scusa per non studiarlo, confidando nell'itañol caricaturale costruito a forza di tormentoni estivi e filmetti natalizi. Poi, quando finalmente abbiamo cominciato a fare sul serio e abbiamo squarciato il velo degli stereotipi, ci siamo accorti che lo spagnolo era molto meno facile, ma anche molto più utile, di quanto pensassimo. Andrea De Benedetti e Carlo Pestelli hanno dedicato alla «lingua Real» anni di frequentazioni e vagabondaggi, e in questo libro ci conducono alla scoperta dei suoi segreti e delle sue curiosità: dai legami con l'arabo ai falsos amigos, dai proverbi più divertenti ai giochi di parole più scivolosi, dai fondamenti della grammatica alle indicazioni per una pronuncia perfetta. Tutto l'occorrente, insomma, per evitare di ordinare del burro a colazione la prossima volta che andrete in vacanza a Toledo, e per conoscere più da vicino una lingua che ha tutto quello che serve per farsi apprezzare: un riconosciuto prestigio internazionale, un suono accattivante, un patrimonio artistico-culturale ricchissimo e un esercito di 500 milioni di parlanti che ne tengono alta la bandiera in ogni angolo del Globo. Un manuale leggero e rigoroso, che dimostra come una lingua porti con sé un'intera visione del mondo. Perché ogni volta che la musica dello spagnolo arriva a stuzzicare le nostre orecchie, sembra sempre prometterci un'altra vita. E pazienza se raggiungerla è meno comodo del previsto: verso una lingua feliz, ci si mette sempre in viaggio volentieri.
Al lavoro: schede, memorandum, presentazioni. A scuola: temi, tesine, relazioni. Nel privato: post su Facebook, email personali, chat sul cellulare. Sarà anche l'epoca degli audiovisivi e della comunicazione in tempo reale, ma non abbiamo mai scritto tanto. E più dobbiamo scrivere, meno sembriamo capaci di farlo. Ma, mette subito in chiaro Claudio Giunta all'inizio del libro, «non s'impara a scrivere leggendo un libro sulla scrittura, così come non s'impara a sciare leggendo un libro sullo sci. Bisogna esercitarsi: cioè leggere tanto (romanzi, saggi, giornali decenti), parlare con gente più colta e intelligente di noi e naturalmente scrivere, se è possibile facendosi correggere da chi sa già scrivere meglio di noi». E quindi? Non potendo insegnare come si scrive, Claudio Giunta prova a spiegarci come non si scrive, passando in rassegna gli errori, i tic, i vezzi, le trombonerie e le scemenze che si trovano nei testi che ogni giorno ci passano sotto gli occhi: dall'antilingua delle circolari ministeriali alle frasi fatte dei giornalisti, dal gergo esoterico degli accademici e dei politici al giovanilismo cretino della pubblicità... Ma in questo slalom tra sciatterie e castronerie Giunta trova per fortuna il modo di contraddire la sua dichiarazione iniziale, perché insegnare Come non scrivere significa anche dare delle utili indicazioni su come si scrive: per ogni cattivo esempio se ne può trovare uno buono da opporgli, per ogni vicolo cieco argomentativo c'è una via di fuga creativa, e spesso basta un punto e virgola per risolvere una frase ingarbugliata. In questo anti-manuale spregiudicato, arguto e divertente, nella tradizione di Come si fa una tesi di laurea di Umberto Eco ma aggiornato all'era di Google, scopriamo che per scrivere bene bisogna ripartire da un po' di affetto per la nostra bistrattata lingua italiana, ma soprattutto bisogna tenere a mente poche regole di buon senso: se scriviamo lo facciamo perché qualcuno ci legga, capisca quel che vogliamo dire e, se possibile, non si annoi a morte. Sembra facile, no? Con ebook scaricabile fino al 30/06/2018.
Una grammatica per lo studio efficace della lingua spagnola: regole e peculiarità, pronuncia, sintassi, formazione delle frasi, espressioni idiomatiche e forme verbali irregolari. 100 esercizi con relative soluzioni per valutare il livello di apprendimento.