"La coralità implicita nella poesia di Pagliarani, il suo volere assumere (mai riassumere) gli altri in una voce che riusciva "oggettiva", è a nudo in questo volumetto di dediche e omaggi di settantatré fra amici, allievi e compagni di strada, quasi che, al momento del dolore, molti dei maggiori critici e scrittori di oggi si siano incamminati ad abbeverarsi alla fonte morale di un'intera lezione poetica e si siano sentiti incaricati, in molti, del suo cuporadioso segreto..." (Maria Grazia Calandrone)
Il "Sefer ha-niqqud" fu composto da Yosef Giqatilla (1248-c. 1325) durante la sua prima fase di adesione al pensiero cabbalistico-filosofico. Non è possibile stabilire con assoluta certezza la datazione di questo breve trattato. Il testo si occupa in primo luogo delle vocali ebree, elemento fondamentale della dottrina della creazione di Giquatilla. L'autore inserisce le vocali in un sistema complesso, assegnando a ciascuna di esse un compito specifico rispetto al cosmo e alla creazione, a seconda delle loro funzioni grammaticali. Il libro, ispirato alla cosmologia medievale e alla filosofia di Maimonide, rivela un concetto di misticismo linguistico unico nel suo genere.
Lavinia ha dodici anni. Legge, scrive con bellissima mano, canta, suona la viola da gamba e il clavicordo, gioca a scacchi: grazie all'educazione che ha ricevuto è pronta per entrare alla corte di Torino come dama di Caterina d'Austria, sposa di Carlo Emanuele I. Il "Ragionamento" è la lunga lettera che le scrive il padre Annibale Guasco, uomo che fa "professione di lettere e di costumi", figura esemplare di intellettuale e gentiluomo di transizione sullo sfondo della Lombardia spagnola, affinché, imparando a governare se stessa e la sua "incauta giovinezza", colga il frutto delle virtù acquisite con tanta fatica e tanta spesa e ottenga "utile ed onore" nella nuova vita che sta per cominciare lontano da casa. Testo di straordinaria freschezza, a cavaliere di un doppio orizzonte, domestico e cortigiano, privato e pubblico, tra periferia e centro, il "Ragionamento" è al contempo una lettera famigliare piena di tenerezza e una scrittura d'institutio, tanto più singolare in quanto rivolta a una giovinetta. Non solo: Annibale Guasco è un moderno Chirone, centauro "a metà tra la condizione del civis di memoria comunale e quella del perfetto gentiluomo barocco", padre affettuoso e severo pedagogo. L' Introduzione a questa prima edizione italiana ricostruisce il profilo letterario di Annibale mentre il saggio che la accompagna segue Lavinia oltre l'esperienza torinese e inquadra la famiglia Guasco. Con un saggio di Blythe Alice Raviola.
Quali linee hanno caratterizzato il dibattito degli studi di storia antica dall'età neoclassica alle guerre mondiali? Quale posto hanno occupato grandi storici antichi come Tucidide e Tacito, biografi come Plutarco e Svetonio, nell'Italia e nell'Europa tra Ottocento e Novecento? Sono questi alcuni dei temi di uno dei saggi di Piero Treves, storico del mondo greco-romano e della cultura classica in Italia, qui riproposti.
Sono qui raccolte le quasi 80 lettere rimasteci che a Petrarca vennero via via indirizzate sia dai suoi amici più cari, sia dai suoi ammiratori, sia da importanti personaggi della vita pubblica trecentesca come l'imprenditore Carlo IV o il doge di Venezia Andrea Dandolo. La raccolta, che, costituisce un notevole punto di riferimento degli studi petrarcheschi, è stata suddivisa in tre sezioni: la prima è dedicata agli amici fiorentini o toscani di Petrarca: le ben trenta epistole di Francesco Nelli e quelle, ben più esigue di numero, di Boccaccio e di Coluccio Salutati; la seconda riguarda gli amici non toscani del poeta di Laura; la terza e ultima, infine, è dedicata ai rapporti di Petrarca e i grandi politici del Trecento.
Con il "Dottor Volgare" nel 1673 (di cui oggi si pubblica il libro proemiale), e con la "Difesa della lingua italiana" nel 1675, l'autore sceglie di rivolgersi anche agli operatori giuridici di livello intermedio, ai pubblici funzionari, ai tecnici dell'amministrazione. Il futuro cardinale rivendicava all'italiano una piena maturità espressiva e lo statuto di lingua colta deputata anche alla divulgazione scientifica. De Luca appare consapevole che il concetto stesso di divulgazione, nell'ambito dell'universo giuridico, è da sempre un modo per cambiare silenziosamente le regole del gioco: divulgare significava spezzare il circolo degli arcana iuris su cui l'intera società di antico regime appare fondarsi. Egli additava infatti una categoria di lettori privilegiati: l'opera si rivolge "particolarmente a Principi, e Signori e alli Magistrati grandi, li quali esercitano la giurisdizione più in dominio che in esercizio, e che amministrano la giustizia con qualche mistura del politico". Nell'ultimo ventennio del XVII secolo, De Luca si muove nell'orbita di quella cultura europea del 'disciplinamento', che aveva tratto linfa vitale dai galatei del Rinascimento italiano e si era ormai trasformata nella tecnica organizzativa delle grandi burocrazie statuali. Non una questione giuridica, dunque, ma la consapevole esigenza di una precettistica che permea tutti gli apparati e le forme di manifestazione della vita pubblica.
"L'Apologia de' teologi scolastici", scritto durante i dodici anni di detenzione a causa dei dissidi con le autorità ecclesiastiche, si presenta come un'analisi sull'incapacità del cristianesimo di adattarsi alla vita civile. Non a caso tale opera era preceduta dai "Discorsi sulle deche di Tito Livio", che sottolineava come invece i Romani avessero una religione del tutto compatibile con lo sviluppo della vita civile. Nell'Apologia Giannone cerca di dimostrare che gli errori della teologia scolastica erano solo conseguenze delle precedenti invenzioni e fraintendimenti dei Santi Padri, senza salvare in questa disamina né Agostino né Gerolamo.