Simone Weil (1909-1943) ha manifestato, nell’arco di tutta la sua breve esistenza, una responsabilità insieme intellettuale, morale e politica, che conferisce alla sua opera una coerenza che non smette di interrogarci: l’impegno politico, l’insegnamento, il lavoro in fabbrica, la partecipazione alla guerra civile in Spagna e infine la ricerca ossessiva di un coinvolgimento diretto nella lotta di resistenza, tutto è vissuto con il desiderio di attraversare con la mente e il corpo i drammi e i problemi del suo tempo. Ella ha vissuto con straordinaria intelligenza quella volontà di comprendere la natura reale dei problemi per cercare un principio, una sorgente diversa dalla forza che in qualche modo ne limiti l’eccesso e che va costantemente alimentata e costruita dentro di sé come un’architettura: «Il fine della vita umana è costruire un’architettura nell’anima». Figlia del suo tempo, ne ha attraversato con la mente e il corpo i problemi e i drammi, sollevando questioni che sono ancora le nostre: prima fra tutte, quella dello “sradicamento”, ossia la dismisura e lo squilibrio provocati dall’egemonia della forza che spalanca l’abisso del malheur, della sventura che può ridurre l’uomo a cosa. Le domande poste da Simone Weil continuano a risuonare in noi, nella convinzione che solo da un rinnovamento radicale del pensiero e del pensare può nascere un nuovo “equilibrio” tra l’uomo e le cose, o meglio, tra l’uomo, il cosmo e il divino.
"Ho dei progetti personali che non mi lasciano tempo, e ai quali nessuna considerazione potrebbe farmi rinunciare. In due parole (lo tenga per lei fino a nuovo ordine), ecco di che cosa si tratta: forse, potrò finalmente lavorare in fabbrica come sogno di fare da almeno dieci anni. Se tutto si arrangia, comincerò alla fine di agosto, e sarà a Parigi o in periferia. Forse può capire ciò che mi aspetto da questa esperienza e quale importanza abbia per me. Sarebbe difficile spiegarlo per scritto. Tutto quello che posso dire, è che non riesco a pensarci senza sentire una gioia profonda" (Lettera di Simone Weil a Marcel Martinet, probabilmente del luglio 1934, inedita, Fondo SW Bnf.).
Il romanzo narra una delicata storia familiare dei nostri giorni, nella Roma di oggi, affascinante e ricca di contrasti e in una società in cui l'apparire e il possedere diventano più importanti dell'essere e in cui la spasmodica corsa verso il successo provoca un'atrofizzazione delle emozioni e dei sentimenti. Gabriele è un giovane manager, il cui incessante lavoro, pur garantendo un notevole benessere alla sua famiglia, finisce per assoggettarlo al punto di fargli rischiare di perdere i suoi affetti più cari e se stesso. Ma un sogno gli rivelerà che la realtà, alla volte, è ben diversa da ciò che vediamo, o meglio, da ciò che vogliamo vedere. Il confronto diretto con suo padre, con cui ormai non parlava da anni, gli consentirà di comprendere come il pregiudizio spesso ci impedisca di vedere oltre l'apparenza e come spesso si sfrutti la rabbia come un nido in cui rifugiarsi e crogiolarsi per giustificare se stessi o quelle situazioni che alle volte non riusciamo a comprendere. L'incontro con il padre metterà tra le mani di Gabriele una perla dal valore inestimabile: la possibilità di poter scegliere il finale da dare alla storia della sua vita.