Una iniziazione alle vie della preghiera: della preghiera personale e, soprattutto, della preghiera liturgica, ecclesiale. Una iniziazione alla verità perché la preghiera - e il suo vertice, l'eucaristia - è il luogo epifanico della verità: Dio si rivela in tutta la luce della sua gloria, e cioè del suo amore e l'uomo, in tutta la sua notte, e cioè in tutta la sua indigenza di amore, non si nasconde. Dio e l'uomo si incontrano nella verità. Non è lo storico della preghiera e della liturgia a parlare in questo libro. Ma l'uomo di fede - lo avverti in ogni pagina -. Un uomo che prega, che abita incessantemente la preghiera. Un uomo che partecipa regolarmente e appassionatamente al culto della Chiesa, che lo vive con tutto il suo essere. Che lo vive estasiato. E che quindi può iniziarti, da teologo - «è teologo chi prega», ci ricorda Evagrio - al suo mistero. Solo chi ha "patito" le cose divine può diventare guida al mistero, mistagogo. Evdokimov ti prende dunque per mano e piano piano ti conduce - anche con l'apparato storico e patristico delle sue conoscenze - nella fornace di fuoco dell'eucaristia. Lì dove fai esperienza del Regno che è già venuto, che sempre viene e che verrà.
Questa raccolta di racconti lunghi, pubblicata nel 1933, ci regala una serie di scorci soprattutto sul pensiero dell'autore. Così, il protagonista di "Il romanzo di don Sandalio, giocatore di scacchi", non è altro che un personaggio visto dall'esterno, la cui vita interiore ci sfugge: è una non-narrazione sull'altro che sottolinea come le altre persone restino comunque un enigma. Nell'ironico "Un pover'uomo ricco o il sentimento comico della vita", ci viene invece presentato l'esatto speculare di quella che è la vita autentica, cioè la vita agonica, che continua a lottare e a sforzarsi nel sentimento tragico che la caratterizza. Un discorso differente lo si deve fare per "Una storia d'amore": aggiunto in extremis, il racconto prende spunto da un episodio autobiografico e sembra essere un tentativo di esplorare una realtà alternativa, determinata dal cambiamento di un particolare rispetto alla vita dell'autore. Ma è "San Manuel Bueno, martire", il romanzo principale della raccolta e l'unico a essere citato nel titolo. La sua importanza è sottolineata già nel Prologo, dove Unamuno confessò d'avere «la coscienza di aver messo in esso tutto il mio sentimento tragico della vita quotidiana».
La svolta digitale del capitalismo, che ormai non è più new economy ma l'unico modo effettivo di creare profitto, sembra alludere ad una svolta post-imperialista del mondo contemporaneo: ciò si traduce, in qualche modo, in un ritorno occulto di forme feudali di economia e di società. Il potere viene diffuso in centri delegati al funzionamento del meccanismo accumulativo, mentre d'altro canto la maggioranza vive in uno stato di povertà crescente e di asservimento. Questi centri si fondano sul possesso di meta-server sempre più dispendiosi e mastodontici e sono uno degli elementi di un sistema macroscopico del quale risulta difficile individuare il monarca. Il dilemma si profila immediatamente laddove questo sistema deve funzionare attraverso un numero crescente di consumatori e quindi deve comunque poggiare su un'economia di tipo tradizionale, e laddove le risorse globali si stanno esaurendo (dai minerali "rari" agli idrocarburi), mentre non si profila sullo sfondo alcuno scenario nuovo che allontani l'età oscura.
La cornice del libro è una storia intrigante - di dolore e di redenzione - che ha per protagonisti principali "Giulia la gobba", poi monaca Cassiana, e padre Callistrato. Si tratta di persone sicuramente esistite (nel monastero di Mileseva, uno dei più importanti monasteri della Chiesa serba, ubicato nei pressi della cittadina di Prijepolje, vi era la tomba di Cassiana). Si tratta, ancora, di persone avvolte da una reputazione di santità. Il vescovo Nikolaj conosceva i racconti che circolavano sulla loro vita e proprio su quei racconti si è fondato per comporre il suo scritto. Nulla di più preciso pare si possa dire del nostro testo. Che risulta, nella sua parte centrale, un vero inno. Un poema, intessuto con il filo d'oro delle Scritture e dell'insegnamento dei Padri, che celebra la quintessenza del cristianesimo: l'amore. Amore che trova la sua fondazione nella tri-unità di Dio. Amore che è l'unico motivo dell'agire di Dio. Amore che ci è stato rivelato pienamente nel Figlio di Dio. Amore che è Dio... Amore che, solo, permette all'uomo di conoscere Dio, «perché Dio è amore» (1Gv 4,8).
I saggi qui raccolti indagano, da diversi punti di vista, la poliedrica e attualissima opera di Günther Stern-Anders (1902-1992), nei suoi aspetti e nella sua potenzialità, esplorando soprattutto il tema apocalittico della fine della umanità. Questo volume, - frutto del dialogo nato in occasione di un convegno organizzato per i vent'anni dalla morte di Anders -, s'incentra e si organizza secondo due convergenti linee di analisi. Nella prima parte si ricostruisce il tracciato filosofico, antropologico e politico dell'autore tedesco, mentre la seconda sezione è dedicata alla costellazione tematica "arti, letterature e società". Quel che si profila da queste "visioni" apocalittiche è un ritratto sfaccettato e vitale di Günther Stern-Anders.
Il contributo della Chiesa Ortodossa alla realizzazione della pace, della giustizia, della libertà, della fraternità e dell'amore tra i popoli e l'eliminazione delle discriminazioni razziali e di ogni altro tipo. Ispirata continuamente dall'attesa e pregustazione del Regno di Dio, la Chiesa non resta indifferente ai problemi dell'uomo di ogni epoca; al contrario, partecipa alla sua angoscia e ai suoi problemi esistenziali, portando, come il suo Signore, la sofferenza e le lacerazioni che il male suscita nel mondo e versando, come il buon Samaritano, olio e vino sulle sue ferite (Lc. 10,34), attraverso la parola "della perseveranza e della consolazione" (Rom. 15,4 - Eb. 13,22) e l'amore attivo. La sua parola verso il mondo mira prima di tutto non a giudicare e a condannare il mondo (cfr. Gv. 3,17 e 12, 47), ma a offrirgli come guida il Vangelo del Regno di Dio, la speranza e la certezza che il male, sotto qualsiasi forma, non ha l'ultima parola nella storia e non deve essere lasciato a dirigere il suo cammino.
"Nelle pagine seguenti presenterò una conversazione con un santo anziano aghiorita. Non era mia intenzione farne una trascrizione. Ma un giorno, mentre mi apprestavo a leggere un'opera di San Massimo il Confessore, ho sentito una voce interiore che mi esortava a mettere per iscritto il dialogo avuto con il saggio monaco della Santa Montagna, saggio secondo Dio. E ho obbedito a quella voce, prima, lo confesso, non coltivata da me. Ho iniziato a scrivere, così come la conversazione mi tornava in mente. Ecco perché tutto ciò che segue è un lavoro di poche ore: ne chiedo scusa ai lettori". Così inizia il libro. Che ci prende per mano e ci fa penetrare «nella nube della preghiera di Gesù» - il Sinai e il Tabor -, dove incontreremo Dio (la preghiera è il monte dell'incontro...). L'eremita dell'Athos, con la sapienza che ha succhiato dai Padri e con la carne e il sangue della propria esperienza, ci svelerà le molteplici facce della preghiera "del cuore" o "intellettiva" o "di Gesù" o "monologica": «Signore Gesù Cristo, pietà di me peccatore!». Ce ne svelerà il valore. Gli stadi. I modi. La lotta del diavolo per impedirla (e le contromosse dell'orante).
Nessun filosofo può sottrarsi al rischio di rimanere preda dei paradossi che arriva a vedere e pensare, al rischio di esplodere in volo un attimo dopo averli sfiorati con le proprie ali. Come Kierkegaard testimonia e come Jean Luc Marion sottolinea "un pensatore senza paradosso è come l'amante senza passione, pura mediocrità". Il pensiero di Simone Weil non può che sottrarsi a qualsiasi sospetto in tal senso: la sua idea di Dio propone paradossi incalzanti cui la sua stessa vita rimase a lungo sospesa e il fatto stesso che per lei Dio possa manifestarsi solo tramite la sua assenza risulta fondamentale per poter comprendere il suo rapporto con la fede cristiana. L'esperienza della sventura ha proprio la prerogativa di rendere "Dio assente per un certo tempo", un tempo in cui, "bisogna che l'anima continui ad amare a vuoto, o almeno a voler amare, seppure con una parte infinitesimale di se stessa. Allora un giorno Dio le si mostrerà e svelerà la bellezza del mondo, come accade a Giobbe". La sventura è per la Weil un dispositivo semplice: raduna tutto il male e lo raccoglie in un unico punto per trasfigurare il dolore di cui l'essere umano è capace in una dimensione impersonale.
In questo suo nuovo libro, che contiene gran parte dei suoi discorsi fatti in Italia negli ultimi quindici anni, p. Evangelos Yfantidis ci propone di scoprire l'Ortodossia tenendo sempre presenti i tre verbi che dominano il Simbolo della Fede in Cristo: "credo", "professo" e "attendo". Credere a quanto deliberato e proclamato dai Santi Concili e Sinodi della Chiesa, dal primo, il Sinodo Apostolico, fino all'ultimo, il Sinodo di Creta; professare, attraverso la propria vita, l'identità Cristiana, scegliendo lo stile di vita, l'etica e i valori che provengono dal Vangelo di Cristo e dal magistero della Chiesa; e, infine, aspettare il Regno di Dio, convinti fermamente che la nostra patria incorruttibile sia il cielo stesso. Vengono approfonditi alcuni aspetti che riguardano il mistero della Fede in Cristo, la storia e la vita della Chiesa Ortodossa, l'apostolato del Patriarcato Ecumenico, figure di santa memoria di vita, questioni pastorali, la dottrina etica e sociale, l'unità dei Cristiani, la protezione del creato, il dialogo interreligioso e altri temi.
"L'universo è una struttura unitaria vivente". Il significato di questa affermazione viene precisato ed i suoi limiti discussi. Le basi di questa idea sono state poste da Alexander von Humboldt (che per primo ha concepito la rete della vita, formulata in "Cosmos", 1834) e da James Lovelock che nel 1972 ha proposto l'unità vivente della Terra ("Gaia, un nuovo sguardo alla Vita sulla Terra"). Il concetto di Universo come unità vivente è strettamente legato al Principio dell'Osservatore, che è colui che sa cosa è la Vita e cosa è la Terra nella sua struttura unitaria, e chi è lui stesso. L'Osservatore in realtà sono gli Esseri Umani, me compreso. Per capire che senso ha che un organismo di questo Pianeta formuli un concetto di questo tipo va, in breve e con un po' di distacco, considerato anche lui. Il discorso inizia esaminando l'unità dell'Universo ed il concetto di Vita, cercando i punti di contatto tra i due argomenti e le proprietà che in Universo e Vita coincidono; o almeno si avvicinano. Il sottotitolo di questa prima parte è "Il sesso degli angeli", a sottolineare la fragilità della logica dell'argomento e, per quanto mi riguarda, il suo interesse di confine tra fisica e metafisica. Il discorso prosegue poi occupandosi della Genetica della brava persona, ad indicare che la specie umana ha come carattere genetico intrinseco, come proprietà dirimente, alcune caratteristiche che lo portano da un lato alla socialità, dall'altro alla elaborazione del pensiero astratto. Poiché la vita e le condizioni che la permettono e la mantengono sono tutto fuorché astratte ed evanescenti, vengono esaminate le ultime tappe della evoluzione umana ripercorrendo i cambiamenti che hanno permesso, e causato, di essere quello che siamo e di pensare in modo ampio. Di questa straordinaria realtà e della unicità di questo processo evolutivo non ci si rende in genere ben conto. Vengono ricordate alcune tappe evolutive del pensiero umano che riguardano in modo particolare i limiti che separano fisica e metafisica. Tra le quali: la poetica di Esiodo ed il pensiero degli Stoici e dei Pitagorici, coloro che erano giunti alla convinzione che l'unica categoria della mente umana in grado di capire la natura ed il Logos che regge e guida l'Universo è la matematica. Da qui nasce la scienza e la capacità di spingere il pensiero fino ai confini dell'Universo, e di sentirci parte di esso.