«Esiste qualcosa che, in mancanza d'altro nome, chiameremo "il sentimento tragico della vita", che porta dietro di sé tutta una concezione della vita stessa e dell'universo, tutta una filosofia più o meno formulata, più o meno cosciente. Questo sentimento possono averlo, e l'hanno, non solo uomini individuali, ma interi popoli; è un sentimento che non nasce dalle idee, ma piuttosto le genera, sebbene dopo, è chiaro, queste idee reagiscano su di esso, fortificandolo. Può nascere da una malattia accidentale, da una dispepsia, per esempio, ma può anche essere costituzionale. E non serve parlare di uomini sani e malati. A parte il fatto che non abbiamo una nozione normativa della salute, nessuno ha provato che l'uomo debba essere per natura gioioso. C'è di più: l'uomo, per il fatto di essere uomo, di avere coscienza, è già, rispetto all'asino o al gambero, un animale malato. La coscienza è una malattia».
Questa raccolta di racconti lunghi, pubblicata nel 1933, ci regala una serie di scorci soprattutto sul pensiero dell'autore. Così, il protagonista di "Il romanzo di don Sandalio, giocatore di scacchi", non è altro che un personaggio visto dall'esterno, la cui vita interiore ci sfugge: è una non-narrazione sull'altro che sottolinea come le altre persone restino comunque un enigma. Nell'ironico "Un pover'uomo ricco o il sentimento comico della vita", ci viene invece presentato l'esatto speculare di quella che è la vita autentica, cioè la vita agonica, che continua a lottare e a sforzarsi nel sentimento tragico che la caratterizza. Un discorso differente lo si deve fare per "Una storia d'amore": aggiunto in extremis, il racconto prende spunto da un episodio autobiografico e sembra essere un tentativo di esplorare una realtà alternativa, determinata dal cambiamento di un particolare rispetto alla vita dell'autore. Ma è "San Manuel Bueno, martire", il romanzo principale della raccolta e l'unico a essere citato nel titolo. La sua importanza è sottolineata già nel Prologo, dove Unamuno confessò d'avere «la coscienza di aver messo in esso tutto il mio sentimento tragico della vita quotidiana».
Il capolavoro di Miguel de Unamuno è un libro unico nel suo genere: all'esegesi della storia di Don Chisciotte e Sancho Panza, infatti, intreccia e associa interpretazione storica e filologia, critica e speculazione, rilanciando gli argomenti di Cervantes ed estremizzandoli in una continua sfida. Don Chisciotte rappresenta la suprema incarnazione dell'idealismo umano, la cui meta, perseguita con coraggio e abnegazione, è piuttosto un miraggio che un luogo concreto. L'approccio di Unamuno è lirico e a tratti mistico e spesso gli episodi che hanno per protagonista il Cavaliere dalla Triste Figura vengono paragonati ad altri simili della vita di Ignazio di Loyola. Una dimostrazione in più del fatto che Don Chisciotte è degno modello cui ispirarsi e che la sua "follia" è in realtà la più pura saggezza.
"Sogno o vivo?". Per due anni, fin dalla morte della madre, l'esistenza di Augusto Pérez si trascina in uno stato di apatia; una densa "nebbia spirituale" lo avvolge e ne culla l'ozio senza prospettive, denso di fantasiose elucubrazioni. Lo sguardo di una giovane pianista incrociata per strada lo scuote; è il fugace incontro grazia ala quale Augusto decide di conquistare la ragazza e abbandonare la sua "noia incosciente". Ma non è semplice passare dal sogno alla vita, è forse neppure è possibile. Sarà l'autore del romanzo, Miguel de Unamuno, a farsi personaggio per mettere fine alla tragicomica esistenza del suo protagonista, lasciandosi però contagiare dagli interrogativi di Augusto: non è forse Unamuno stesso il sogno di un Dio? E allora non valgono anche per lui le regole che segnano la vita del suo personaggio? Dove sono, insomma, i confini tra il sogno e la vita?
Miguel de Unamuno (1864-1936), spagnolo, fu professore di Letteratura greca e rettore dell'Università di Salamanca. Scrittore, poeta e pensatore, identificò il ruolo della hispanidad nell'Europa del suo tempo con la conservazione del "senso tragico della vita", cioè con l'immergersi nelle contraddizioni fondamentali (ragione e fede, vita e intelletto), che il razionalismo non avrebbe potuto risolvere. I temi dell'ansia di eternità e del rapporto fra Dio e l'uomo sono quindi al centro della sua vasta produzione. Tra le sue opere ricordiamo: Vita di Don Chisciotte e Sancho (1905); Del sentimento tragico della vita (1913); Agonia del cristianesimo (1925). Oltre a Nebbia (1914) scrisse i romanzi Pace nella guerra (1897); Abel Sanchez (1917) e San Manuel Bueno, martire (1933).
Pubblicato postumo nel 1970 il Diario intimo è forse l’opera che meglio riassume il carattere “irregolare” della riflessione filosofica di Miguel de Unamuno che “reca con sé, da sempre, l’accusa di non essere un pensiero sistematico e di sfumare troppo spesso in poesia”, come sottolinea Stefano Santasilia nell’introduzione. Convinto che la filosofia debba avere per soggetto non il concetto di uomo ma l’uomo nella sua concretezza e partendo dalla convinzione che “il singolare non è particolare, ma è universale”, il pensatore basco affida a queste pagine la testimonianza di un inquieto itinerario umano e intellettuale. Così il diario personale di chi, vivendo nello smarrimento spirituale, cerca un supplemento di verità capace di superare tradizionali dicotomie (vita/pensiero, cuore/ragione, fede/scienza e così via), diventa di fatto un diario collettivo che tocca temi e sentimenti universali. Scritto in un linguaggio per larghi tratti familiare e quotidiano, ma intessuto di citazioni e richiami colti e di riferimenti biblici, il Diario intimo non è solo un viaggio interiore alla ricerca di sé stesso. Unamuno accompagna infatti il lettore alla scoperta di una spiritualità perduta con pagine dove domina il senso tragico della finitezza umana, al fondo rischiarato dalla convinzione che la vita sia la più straordinaria avventura concessa all’uomo.
Miguel de Unamuno è stato il fautore di una religione poetica, issata sull'esperienza della parola creatrice, mediante la quale non soccombe alla tentazione del nulla. Tra le sue opere fondamentali, un ruolo peculiare svolge il celebre libro su "Don Chisciotte". La forma del commento, che consente di attuare un dialogo interiore, è opera di uno spirituale piuttosto che di un intellettuale, la cui attitudine è contrassegnata dal pessimismo trascendente e dall'esistenza tragica. Unamuno confessa che il suo libro contiene "tutto un sistema filosofico", oltre a rappresentare un potente incitamento ad abbracciare una vita fondata sull'ideale etico, sull'eroismo tragico onde conquistare quella gloria e fama individuali e collettive, in ultima analisi l'immortalità, alla quale si può pervenire solo con una fede basata sul forte volere. Don Chisciotte è pervaso da una rassegnazione attiva, da una lotta titanica e utopica contro il mondo, alla ricerca del senso ultimo dell'esistenza e del proprio destino. Esprimendosi nella forma paradossale, ritenuta il linguaggio tipico della passione oltre che affermazione della volontà di creazione disperata, Unamuno assurge a pensatore tragico.
In "Nebbia" si respira un'aria di "tetra buffoneria": forse proprio perché al centro del libro sta l'Amore. Ed è noto a tutti come i dolori procurati da questa passione siano al contempo i più tremendi e i più fatui; i più violenti e i più ridicoli. Ma l'Amore, allo stesso tempo, svolge qui anche un'altra importantissima funzione: la sua natura intrinsecamente equivoca e fantasmatica è infatti la migliore controprova della "nebbia" in cui è immersa l'esistenza di ogni uomo, l'Amore, insomma, è la quintessenza di quel sogno incompiuto e ininterrotto in cui navighiamo dipanando la matassa del nostro destino diretti verso un nulla che mai raggiungeremo, perché non è mai stato; un sogno dove sognati e sognatori mutano continuamente posizione e ruolo, tanto da rendere inafferrabili i contorni del sogno stesso. E dunque ontologicamente incerta la personalità di chi ha sognato: sia esso il protagonista del romanzo, o addirittura il narratore che l'ha creato.
L'opera di Unamuno, che presenta tutti i tratti di organicità e sistematicità, non sarebbe comprensibile pienamente se non se ne evidenziassero le basi filosofiche e le preoccupazioni teologiche. È infatti alla luce di una filosofia della religione che le ricerche incentrate sull'unico problema, quello dell'ansia immortale di immortalità dell'uomo concreto, pervengono ad una prospettiva coerente ed unitaria anche se ciò non esclude un'evoluzione intellettuale ed esistenziale. Unamuno è un autentico uomo religioso che ha vissuto una struggente quanto tragica ansia di eternità, di sete di Dio, pur non avendo abbracciato totalmente nessun credo religioso positivo, giacché egli ha sempre reagito con veemenza contro ogni tentativo di volerlo incasellare. Unamuno è fautore di una religione poetica, issata sull'esperienza della parola creatrice, mediante la quale non soccombe alla tentazione del nulla. I nuclei fondamentali della riflessione unamuniana ruotano intorno a due temi, i quali rappresentano, per così dire, due facce della stessa medaglia: l'ansia per il destino umano e la preoccupazione per la personalità, da non intendersi in senso psicologico, ma etico-esistenziale, come emerge sia nell'opera sul "Sentimento tragico della vita" (1913) sia nei celebri poemi dove ribadisce che "Il fine della vita è di farsi un'anima".
"Esiste qualcosa che, in mancanza d'altro nome, chiameremo 'il sentimento tragico della vita', che porta dietro di sé tutta una concezione della vita stessa e dell'universo, tutta una filosofia più o meno formulata, più o meno cosciente. Questo sentimento possono averlo, e l'hanno, non solo uomini individuali, ma interi popoli; è un sentimento che non nasce dalle idee, ma piuttosto le genera, sebbene dopo, è chiaro, queste idee reagiscano su di esso, fortificandolo. Può nascere da una malattia accidentale, da una dispepsia, per esempio, ma può anche essere costituzionale. E non serve parlare di uomini sani e malati. A parte il fatto che non abbiamo una nozione normativa della salute, nessuno ha provato che l'uomo debba essere per natura gioioso. C'è di più: l'uomo per il fatto di essere uomo, di avere coscienza, è già, rispetto all'asino o al gambero, un animale malato. La coscienza è una malattia".
Scritto in esilio fra il 1925 e il 1927, pubblicato in versione francese e quindi nella ritraduzione spagnola dell'autore, "Come si fa un romanzo" è l'opera più profonda e universale di Miguel de Unamuno (1864 - 1936), scrittore e pensatore, la cui attività ha segnato la vita intellettuale spagnola ben oltre la sua scomparsa.
La problematica esistenzialista, l'angosciato chiedersi "Cosa sarà di me dopo la morte?", "Come posso persistere?", si proietta qui nella riflessione sulla creazione letteraria, sullo sdoppiamento fra autore e personaggi, fra scrittore e lettore, e sullo statuto romanzesco dello scrittore, pure lui ente di finzione, creato a capriccio da Dio.
La pagina avvinghia l'esistenza di altri, a partire dal lettore, di ciascun lettore, che viene apostrofato in continuazione, ma anche dai grandi scrittori amati da Unamuno, dall'agiografo a Dante, da Balzac al Mazzini delle lettere d'amore.
Il fatto letterario, lo scrivere e - non di meno - il leggere, è cioè proposto come avventura e come lotta per affermare la propria individualità contro il nulla.
L'opera, in prima traduzione italiana, è accompagnata da una prefazione di Giuseppe Mazzocchi, che ricostruisce la storia del libro, inserendolo nel contesto storico e culturale, rappresentando una dettagliata guida alla lettura.