Questa terza ricerca di filosofia morale porta a compimento le due precedenti: elabora una proposta di filosofia secondo l’impostazione difesa nella prima ricerca e secondo il programma epistemico difeso nella seconda ricerca.
La ricerca s’inserisce nella tradizione tomista di pensiero morale e sviluppa quella filosofia morale che la teologia tomista suppone e usa, ma che Tommaso non ha elaborato. Lo sviluppo è opera dell’Autore ed è aperto alla discussione.
L’Autore focalizza la sua proposta sulla virtù introducendo alcune innovazioni che meglio la spiegano:
1) Distingue “virtù” nel senso di eccellenze e nel senso di habitus; in questo modo può dare la ragione per cui le virtù sono eccellenze e per cui l’attore umano deve possederle a modo di habitus per poterle praticare con saggezza.
2) Cura il procedimento epistemico che permette di definire le specie di virtù e di classificarle con coerenza, ma non come sistema chiuso. Con questo procedimento spiega le virtù cardinali ed introduce alcune virtù sovrane, che mettono l’attore umano in relazione con Dio e che sostengono le virtù cardinali.
3) Definisce le specie di virtù considerandole come articolazioni dell’ordo rationis, l’ordine che la ragione pratica stabilisce tra beni/fini in vista del Bene divino, vero fine ultimo. Questa considerazione si basa sulla monografia di Marco Panero, “Ordo rationis”, virtù e legge. Studio sulla morale tomista della “Summa Theologiae”. Prefazione di Giuseppe Abbà (Roma, LAS 2017).
Questa focalizzazione sulle virtù l’Autore la ricava dall’esame della condotta umana, esplicitandone i principi, la logica pratica ed il processo di autodeterminazione che conclude alle scelte. Da questo esame risulta il ruolo del fine ultimo (l’Autore chiarisce il processo con cui l’attore opta per un fine ultimo concreto tra le possibili alternative ed esamina la composizione della vera felicità) e risulta la funzione della ragione pratica, della quale l’Autore definisce la praticità e lo sviluppo nella regola morale in termini di virtù prima che di norme e con valore di legge naturale.
La ricerca approda alla praticabilità delle virtù, sia come impresa personale sia come impresa comune, nella fragilità della condizione umana. Vi include la fallibilità morale nel vizio, la necessità ed il procedimento dell’educazione, la sensatezza della pratica virtuosa nonostante la fragilità dei beni e della felicità, l’influsso delle diverse forme di comunitarietà sulla pratica virtuosa. Il tutto per sostenere la pratica virtuosa contro la corrente dell’ethos moderno e secolarizzato.
Giuseppe Abbà, sacerdote salesiano, nato nel 1943, è professore emerito di filosofia morale presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Pontificia Salesiana di Roma. Ha pubblicato: Lex et virtus. Studi sull’evoluzione della dottrina morale di san Tommaso d’Aquino, Roma, LAS 1983; Felicità, vita buona e virtù. Saggio di filosofia morale, Roma, LAS 1989, seconda edizione ampliata 1995; Quale impostazione per la filosofia morale? Ricerche di filosofia morale – 1, Roma, LAS 1996; Costituzione epistemica della filosofia morale. Ricerche di filosofia morale – 2, Roma, LAS 2009.
Proseguendo le ricerche di filosofia morale, iniziate con il volume Quale impostazione per la filosofia morale? (Roma 1996), l’Autore intende ora investigare quale sia l’oggetto e quali i compiti ed i procedimenti della filosofia morale, in modo coerente con l’impostazione già proposta. A tale scopo studia approfonditamente il rapporto tra la filosofia morale e l’esperienza morale prefilosofica.
Discute dapprima varie difficoltà che si frappongono all’intento di costruire la filosofia morale a partire dall’esperienza morale. Poi apre una via nuova per reperire un’esperienza morale universale. Procedendo ad un confronto dialettico fra alcune esperienze morali particolari (quella pagana greco-romana, quella cristiana cattolica e quella moderna), difende la convenienza di partire dall’esperienza morale cristiana cattolica; più precisamente cerca di stabilire quale sia l’esperienza morale naturale, universale, integra, che la Rivelazione cristiana suppone ed opera nei suoi destinatari. L’Autore spiega a questo punto come vada articolata la filosofia morale affinché risulti adeguata all’esperienza morale integra e risulti anche coerente con l’impostazione che aveva già proposto.
Poiché la determinazione dell’oggetto, dei compiti e dei procedimenti della filosofia morale dipende dalla risposta alla questione se si dia o no la conoscenza morale, che cosa essa conosca ed a quali condizioni essa sia vera o falsa, l’Autore procede ad un confronto dialettico con le posizioni di epistemologia morale dell’ultimo secolo, per rivendicare la conoscenza morale, il suo oggetto e la sua verità quali appaiono nell’esperienza morale integra.
L’Autore può allora spiegare la costituzione epistemica della filosofia morale. Le assegna come oggetto l’atto virtuoso da praticare, atto reso virtuoso dal fatto di essere ordinato secondo l’ordo rationis stabilito dalla ragione pratica. Della conoscenza morale esercitata nell’atto virtuoso dall’attore umano la filosofia morale, in quanto è filosofia pratica, ha il compito di reperire i princìpi noetici ed operativi e di sviluppare la loro applicazione all’operabile umano particolare. Inoltre l’Autore dà ragione delle connessioni che la filosofia morale ha con la Rivelazione cristiana e con la teologia (spiegando in qual modo la filosofia morale possa essere cristiana), con le altre discipline filosofiche e con le scienze umane.
Nello spiegare la costituzione epistemica della filosofia morale l’Autore s’avvale del pensiero di san Tommaso d’Aquino, argomentando a favore della pertinenza di recepirlo e di svilupparlo nel confronto con le filosofie morali moderne. Ne risulta una nuova giustificazione della principalità delle virtù nella filosofia morale.
Per varie ragioni il saggio costituisce una novità. Introduce per la prima volta nelle pubblicazioni italiane di etica filosofica e teologica l’interesse per i temi della felicità e della virtù, attorno ai quali da circa un trentennio è in corso un vivace dibattito presso moralisti tedeschi e anglo–americani. Parecchi filosofi e teologi ripropongono infatti i concetti di fe­licità e di virtù per ovviare agli inconvenienti riscontrabili nell’etica moderna, di matrice sia utilitarista, sia kantiana, sia liberale.
In particolare l’a. opera per la prima volta in Italia un approfondito confronto con la proposta di Alasdair MacIntyre nel suo After Virtue di riprendere la tradizione aristotelica delle virtù.
Inoltre discute il progetto di Stanley Hauerwas di centrare l’etica teologica sul concetto di carattere formato in una comunità. Da parte sua introduce nel dibattito un interlocutore che, pur essendo antico, è nuovo, in quanto o ignorato o scarsamente sfruttato: Tommaso d’Aquino. Egli mostra non solo che la morale della virtù elaborata da Tommaso dice qual­cosa di assolutamente originale rispetto alle teorie etiche antiche, moderne e odierne, ma anche che il suo contributo, opportunamente sviluppato per rispondere ai nuovi pro­blemi, resta valido e attuale.
Delinea così un’etica della virtù che, riprendendo quella tomista, integra i concetti di ragion pratica (sfruttando la recente teoria di G. Grisez e di J. Finnis), di vita buona, di felicità, di dovere e analizza i complessi rapporti tra virtù e norme, virtù e giudizio pratico. So­prattutto spiega la funzione delle virtù nella buona condotta di agenti umani complessi e fragili. Termina con alcuni spunti circa l’educazione alle virtù.
Il saggio è filosofico, ma ha rilevanza anche per la teologia morale e spirituale e per una teoria dell’educazione morale.
In questa serie di ricerche di filosofia morale, l'autore intende tracciare una mappa che consenta al lettore di orientarsi nel dibattito che caratterizza il pensiero morale filosofico e teologico degli ultimi decenni. L'intento è di identificare gli interlocutori situandoli in qualcuna delle varie tradizioni di ricerca morale che hanno avuto come esito diverse figure di filosofia morale.