È il 30 giugno 1988. Un giovane varca le porte del commissariato di Polizia di Castelvetrano, Trapani. Non è un nome noto alle forze dell'ordine, il suo. Il ragazzo, interrogato come persona informata sui fatti per un omicidio, dichiara di essere un agricoltore e di non avere nulla di rilevante da riferire sulle indagini. È molto magro, in paese lo chiamano u Siccu, lo sguardo è segnato da uno leggero strabismo. Sarà quella la prima e ultima volta in cui Matteo Messina Denaro, oggi il latitante più pericoloso d'Italia, incontra gli uomini in divisa. E parte proprio da quel giorno, e dal verbale inedito di quelle dichiarazioni, la ricostruzione della storia, umana e criminale, dell'ultimo dei corleonesi. Lirio Abbate, giornalista in prima linea nella lotta alla mafia, ricompone in queste pagine il complesso mosaico che restituisce il ritratto di un uomo invisibile da più di trent'anni. Ritroviamo qui il giovane amante del lusso e delle donne, l'affascinante eppure goffo fimminaro delle notti palermitane. Incontriamo il volto spietato del killer, dell'esecutore e del mandante di omicidi eccellenti quanto di esecuzioni per banale gelosia. E, soprattutto, inquadriamo il profilo del boss e dello stratega, del mafioso che ha avvallato e curato la scelta stragista di Cosa nostra negli anni Novanta, quando le bombe hanno imbrattato di sangue la Sicilia e l'Italia intera. E poi c'è Matteo Messina Denaro oggi. Il padre, il latitante imprendibile, l'affarista, come lo chiamava Riina; il boss che, forte dei segreti del capo dei capi e dell'aura leggendaria dell'inafferrabile, siede al vertice delle gerarchie mafiose. Dalla lotta per l'abolizione del carcere duro alla rete occulta di complici e fiancheggiatori, Lirio Abbate ci spiega perché la cattura di Matteo Messina Denaro è un passo decisivo per sconfiggere Cosa nostra.
Magistrati, avvocati, funzionari di Stato: 147 nomi finiti nel mirino del criminale che ha messo sotto scacco l'intero Paese.
"Mio padre ha due cuori: la figlia o l'onore? In questo momento dice che vuole la figlia, però dentro di lui c'è anche quell'altro fatto." Queste parole le pronuncia Maria Concetta Cacciola, trent'anni, tre figli, colpevole di aver tradito il marito e di aver deciso di collaborare con la giustizia seguendo l'esempio di Giuseppina Pesce, anche lei giovane madre, anche lei di Rosarno. E poi ci sono Rosa Ferraro, Simona Napoli, tutte 'fimmine ribelli' che hanno osato dire di no a padri, mariti, fratelli. Come nell'Afghanistan dei talebani, in Calabria la donna che "disonora" la famiglia deve morire, meglio se con un suicidio che tutela dalle conseguenze penali. Attraverso le storie di queste donne, Lirio Abbate racconta uno spaccato di apparente normalità dietro cui si nascondono una frenetica attività criminale, patrimoni immensi e un radicamento a una cultura patriarcale antiquata e retriva. Ma la ribellione delle donne che oggi si affidano "allo Stato, ovvero al nemico" per cercare di scampare a un destino infernale, produce un effetto dirompente. Perché sgretola l'immagine di compattezza del clan, mette in dubbio i valori del sistema 'ndrangheta, rivela l'impotenza dei boss incapaci di "tenere in riga" le loro donne. E, soprattutto, accende nelle altre 'fimmine' la consapevolezza della propria condizione e il desiderio di scrollarsela di dosso, facendo nomi e cognomi e aprendo crepe in un universo inconcepibile ma fin troppo vero.
"Mio padre ha due cuori: la figlia o l'onore? In questo momento dice che vuole la figlia, però dentro di lui c'è anche quell'altro fatto." Queste parole le pronuncia Maria Concetta Cacciola, trent'anni, tre figli, colpevole di aver tradito il marito e di aver deciso di collaborare con la giustizia seguendo l'esempio di Giuseppina Pesce, anche lei giovane madre, anche lei di Rosarno. E poi ci sono Rosa Ferraro, Simona Napoli, tutte 'fimmine ribelli' che hanno osato dire di no a padri, mariti, fratelli. Come nell'Afghanistan dei talebani, in Calabria la donna che "disonora" la famiglia deve morire, meglio se con un suicidio che tutela dalle conseguenze penali. Attraverso le storie di queste donne, Lirio Abbate racconta uno spaccato di apparente normalità dietro cui si nascondono una frenetica attività criminale, patrimoni immensi e un radicamento a una cultura patriarcale antiquata e retriva. Ma la ribellione delle donne che oggi si affidano "allo Stato, ovvero al nemico" per cercare di scampare a un destino infernale, produce un effetto dirompente. Perché sgretola l'immagine di compattezza del clan, mette in dubbio i valori del sistema 'ndrangheta, rivela l'impotenza dei boss incapaci di "tenere in riga" le loro donne. E, soprattutto, accende nelle altre 'fimmine' la consapevolezza della propria condizione e il desiderio di scrollarsela di dosso, facendo nomi e cognomi e aprendo crepe in un universo inconcepibile ma fin troppo vero.