Alzare gli occhi al cielo e osservare le stelle, interrogarsi sulla materia, il tempo e lo spazio, indagare il cosmo e il suo mistero - insomma, parlare con Margherita Hack - non è solo intrattenersi in un'amabile conversazione sull'astronomia ma, soprattutto, ricollocare la nostra posizione nel mondo: non solo in senso fisico, ma anche in rapporto al ruolo dell'uomo nell'universo. Tutto ciò significa, pertanto, osare un'interpretazione ulteriore per compiere qualche passo in più nella nostra dimensione umana. Una dimensione che - come si leggerà in questo volume - ha una relazione talmente diretta con la finitezza e il dato materiale di cui slamo tutti composti, da costringerci a una vera e propria opera di modestia: presupposto per affacciarci al "conosci te stesso" di socratica memoria con qualche elemento di presunzione in meno e, forse, un po' di consapevolezza in più.
Chi non ricorda le Lezioni americane di Italo Calvino? Chi non ricorda i suoi richiami alla chiarezza, alla leggerezza, alla rapidità, all'esattezza, alla visibilità, alla molteplicità? In un certo senso, le riflessioni di Furio Colombo contenute in questo libro sono le sue lezioni americane: una composta lectio di intelligenza dell'Italia attraverso lo spettro dell'esempio americano. Furio Colombo fa parte di quella borghesia illuminata che ciascuno vorrebbe tirare per la giacchetta, ma ognuno avverte inalienabile alle proprie categorie. Il suo percorso procede all'insegna di un marchio torinese che ne fa un maitre à penser difficilmente riconducibile a una specifica area ideologica e altrettanto poco indicabile come pensatore trasversale. Nessuna trasversalità, infatti, nel suo rivestire incarichi di volta in volta vicini all'area liberale di un Sartori o di un Montanelli oppure, viceversa, al centrosinistra di matrice antiberlusconiana. Piuttosto una linearità intesa a tener fermi i paletti di quella che qui chiamiamo, senza indugi - poiché a questo allude, in definitiva, la sua lectio - civiltà.
L'opera di Tabucchi - la sua stessa poetica - procede "ariannamente" verso la tessitura di un labirinto a cui sarebbe persino volgare offrire un luogo di sbocco o di egresso. Per sua stessa natura dà accesso a una dimensione sempre più interna del labirinto che solo nel momento della lettura può essere colta. Senza approdi, è una poetica dell'approdo. Senza mete, è una poetica del viaggio. Che sia la storia o l'identità il suo tema, rimane il carattere segreto e non significabile della sua esistenza.
Dal 1986 a oggi, questo è l'arco temporale attraversato dai saggi apparsi su "MicroMega" qui raccolti, il mondo è cambiato. Allora il Muro di Berlino era ancora in piedi, oggi il mondo è pienamente globalizzato. Anche l'Italia si è trasformata: dimenticata la Milano da bere e dissolti gli apparenti fasti del craxismo, il Paese vive oggi una gravissima crisi economica e gli ultimi devastanti sussulti del berlusconismo. Dal Caf al bipolarismo si è consumata la parabola di un regime partitocratico che rischia di lasciare il Paese in macerie, morali e materiali. Non sarà sufficiente l'uscita di scena del dominatore dell'agone politico degli ultimi vent'anni per costituire una sana democrazia: occorre liberare l'Italia dalle cricche e dai criminali (in doppiopetto) che ormai dominano quasi ovunque. Non dai partiti può venire questa liberazione, bensì dall'inventiva politica dei movimenti della società civile.
Corrado Augias è un comunicatore? Questo volume nasce dalla convinzione che capire cosa sia un comunicatore equivalga a capire gran parte della società dei nostri tempi. La comunicazione ha tessuto, infatti, una tale indissolubile alleanza con la realtà - si è a tal punto confusa con essa - che di tale confusione questa figura finisce probabilmente per diventare la prima entità da indagare. Scongiurando l'ipotesi che si possa fare cultura sullo schermo solo a patto di farla male, Augias è riuscito a elevare la televisione alla cultura invece di abbassare la cultura alla televisione, smentendo il luogo comune che vorrebbe ridurre quest'ultima a mero contenitore. Ma Corrado Augias non è solo uomo di televisione: al mestiere di comunicatore ha associato, negli ultimi anni, quello di divulgatore della storia del cristianesimo. È diventato così un punto di riferimento fondamentale per chiunque - esperto o neofita che sia - voglia restituire un significato più profondo di una semplice eredità storica a quella che è considerata da molti la "radice" dell'identità europea.
Conobbi Claudio Magris qualche anno fa, In Egitto. Su un breve tratto di arenile accanto alla fortezza di Qaitbey, a una mia confidenza rispose, citando Singer: "Comportati come se fossi felice: la felicità verrà dopo". E in un attimo capii che si poteva essere infelici senza troppo badarvi. Cioè, più o meno, essere distrattamente felici. Magris ci ha narrato la straordinaria forza morale che tiene insieme l'esistenza. Quella che sovrintende all'armonia fra unità e caos, fra grandezza e meschinità, fra luce e ombra, fra Tolstoj e Kafka, fra epica e nichilismo. O, utilizzando una metafora di cui egli è diventato analista insuperato, fra l'Impero asburgico e il suo crollo. Il dispiegarsi della misteriosa avventura umana nella sua perpetua ricerca di una sintesi - per dirla con lo scrittore Ernesto Sàbato fra dimensione "diurna" e dimensione "notturna". Parlare con lui è quindi parlare del tempo che stiamo attraversando, in quello che di migliore ha perso e in quello che di buono, quando può, riesce a conservare. Compresa la moralità, che non tollera date di scadenza.
Di quale virtù sia provvisto Marco Travaglio lo sappiamo tutti: la memoria, difesa da un archivio che probabilmente disegna l’autoritratto della storia contemporanea italiana meglio di quanto facciano i ritratti canonici, degli storiografi e dei giornalisti di cronaca. Quello che fa la differenza in Travaglio è che tale archivio è diventato metodo. Uno stile giornalistico che contrappone alla fuggevolezza della notizia, dell’opinione e della dichiarazione, la sedimentazione dei fatti. Travaglio riconsegna il giornalismo alla sua funzione di contropotere, fa parlare l’Italia come l’Italia non ama parlare e, se ancora servisse sottolinearlo, non fa sconti né a destra, né a sinistra. Con Travaglio torniamo a credere che non solo la storia non è finita ma la si può ancora fare, e quindi chiarire e depurare – riconsegnare, intonsa, alla sua attualità – attraverso quel grande lavacro che sono i libri.
ISBN 978887424737 | Pagine 105 | € 10
«Quando do una notizia, non voglio par condicio tra i piedi. O si è mai visto un articolo di giornale affiancato da un altro che dice il contrario? O una vignetta di Forattini accanto a una di Vauro che dice il contrario?»
«Senti Tremonti e ti dice che c’è un certo Pil. Senti Bersani e ti dice che il Pil è un altro. Ma insomma, ci sarà pur qualcuno che mi dice qual è il Pil vero? O dobbiamo credere che l’Italia, caso unico al mondo, abbia un Pil di destra e un Pil di sinistra?»
«Per gli italiani l’illegalità è un po’ come la droga: una modica quantità per uso personale è generalmente ammessa»
Giulio Giorello non disdegna confrontare il pensiero del filosofo con quello di qualunque altro essere umano. Tale attitudine è ancora più esplicita in questo volume: lo spirito di disponibilità al confronto, che presiedeva all'idea di "società aperta" di Karl Popper, trova qui risonanze particolari. Giorello abbatte il preconcetto disciplinare e accademico di filosofia e chiede riflessione sul senso a chiunque sia in grado di proporla. Né retrocede all'avanzata della fisica e della matematica nei territori della speculazione. Ma, soprattutto, sulla scia del suo maestro e "antagonista" Ludovico Geymonat, riconosce che oggi "la filosofia si annida proprio nelle pieghe della scienza". Una combinazione così fertile che, probabilmente, tra i tanti saggi scritti, meritava una riflessione ulteriore: quella che si propone qui.
«Il cristianesimo continuerà a improntare la mentalità occidentale nella forma psicologica della speranza: nel senso che siamo tutti cristiani, anche gli atei, anche i miscredenti! E nel momento in cui guardiamo al futuro come a una promessa o forma di riscatto, siamo tutti inscritti in questa logica della cristianità».
Prefazione La filosofia come erranza
I. Non è un luogo dove si offrono soluzioni. Dalla metafisica al nichilismo
II. Tutto è cristiano, in Occidente. Verità assoluta ed etica del viandante
III. La tecnica fa fuori l’uomo. Autorealizzazione nell’era della tecnica
IV. L’inconscio di Freud è una cosa seria. Anima, corpo, psichiatria e fenomenologia
V. Poi però andava al bordello. Condotte morali e vita da monaco
VI. È più facile maneggiare idee. Perdita del testimone, passato e futuro
In Galimberti l’eredità della grecità si trasforma in una maieutica moderna, e coincide con la presa di coscienza della fine della metafisica e dell’avvento del nichilismo. In questo proibitivo compito – presentare le modalità di convivenza con la disperazione – Galimberti suggerisce non una retorica del disincanto, bensì le chiavi di resistenza nei confini dell’instabilità e della perdita, ormai interamente dominati dalla tecnica. E il valore paradigmatico ed esemplare di tale insegnamento è nel noma-dismo morale come presupposto alla sfida del nichilismo. Argomentata analisi degli strumenti che nei secoli la filosofia ha offerto all’uomo, l’opera di Galimberti è dunque una tangibile risorsa intellettuale ed esis-tenziale nel baratro dell’assurdo.
Questo piccolo libro è un percorso tra le ragioni che rendono la filosofia un’insostituibile compagna di ricerca non già delle ragioni ultime ma, nemmeno troppo paradossalmente, della ricerca come ragione ultima.