Il sovranismo ha vinto nelle menti prima ancora di vincere nelle urne: ha cavalcato le preoccupazioni delle persone nei confronti del fenomeno immigrazione costruendo un nemico immaginario. Ma la realtà è molto diversa da quella che ci viene raccontata. Non è vero che negli ultimi anni ci sia stata un’invasione. Non è vero che gli immigrati siano prevalentemente maschi, africani e musulmani. Non è vero che l’immigrazione sia conseguenza diretta della povertà o che i rifugiati abbiano come principale destinazione l’Europa. Il fenomeno delle migrazioni in realtà è molto differenziato e richiede risposte politiche articolate. Per uscire dal clima sociale avvelenato in cui viviamo, è necessario ricordare numeri e fatti e proporre soluzioni concrete.
Quando si parla di famiglia, sul piano politico, etico e anche religioso e dell'importanza della sua integrità, si pensa sempre solo alle famiglie autoctone, raramente a quelle degli immigrati e tantomeno a quelle separate dai confini o dalle politiche migratorie. Ogni migrante finisce per avere almeno tre famiglie: la prima è quella del paese d'origine, immersa in un contesto sociale conosciuto che l'accompagna e la sostiene; la seconda è quella che deve affrontare la prova della separazione, quando uno dei membri adulti parte per cercare lavoro all'estero; la terza è quella che si ritrova nel paese di immigrazione, completamente o parzialmente (a seconda delle politiche sul ricongiungimento familiare): un «lieto fine» agognato che si trasforma spesso in un ricominciamento carico di incertezze. Sebbene in Europa negli ultimi anni, a fianco del riconoscimento dell'integrità familiare come diritto umano si fossero, più pragmaticamente, favoriti i ricongiungimenti per contrastare l'anomia degli immigrati, le politiche «sovraniste» con la contrapposizione netta tra «noi» e «loro» stanno erodendo tale possibilità e riportando una politica restrittiva.