Siamo nel 2028 e l'unica libertà che sembra essere rimasta all'uomo è la fuga dalla città. Così il protagonista di questo romanzo, ormai segregato tra le quattro mura della sua abitazione, terrorizzato anche solo dall'idea di aprire la porta, decide di andarsene. Lontano da tutti, dai rumori, dal caos, da un mondo dove è diventato impossibile vivere. Lontano da chi occupa abusivamente ogni spazio intorno a lui. Vittorino Andreoli immagina un futuro che somiglia molto al nostro presente, ma dove le ingiustizie si sono ancor più esasperate e, nonostante il benessere raggiunto grazie alle grandi scoperte, tutto parla di una situazione a un passo dal baratro. Una casa isolata, affacciata sull'oceano nel Nordovest della Scozia, sembra il luogo ideale per ritrovare un po' di pace: una baia abitata soltanto da uccelli marini e, a ridosso, montagne che nel tempo si sono trasformate per l'azione del vento. È qui, osservando la perfezione di un ambiente rimasto invariato dal giorno della creazione, nel silenzio delle pietre, che riesce finalmente ad analizzare con maggiore distacco le contraddizioni che lo hanno spinto a cercare la solitudine estrema. Inebriato da tanta bellezza, si lascia tentare dall'idea di non tornare mai più, trasformando quella che doveva essere una parentesi temporanea in una scelta definitiva. Eppure, anche l'idillio, visto più da vicino, rivela lati meno luminosi. Ma soprattutto, nella più completa solitudine, si cancella ogni possibile relazione umana, ogni sentimento si spegne. La distanza poi cambia la prospettiva e apre uno spiraglio di luce e di speranza sui mali della metropoli. Quest'uomo può forse tornare a indossare gli eleganti abiti di città che aveva chiuso in un armadio al suo arrivo in Scozia? O invece, chissà, un'altra libertà è possibile?
Se l'uomo di Musil si è caratterizzato per "la mancanza di qualità" quello di Andreoli descritto in questo romanzo è un uomo privo di identità. Un uomo stanco della follia del mondo e del suo rumore, che fugge in una baia sperduta della Scozia affacciata sull'oceano Atlantico. Circondato solo da uccelli di mare, Franz Gustav farà i conti con i fantasmi del passato e con le molte relazioni che attende ancora di vivere. "L'uomo senza identità" è dunque la narrazione di un uomo solo che però trova dentro di sé non un doppio ma addirittura una frammentazione, che lo porta a smarrire persino il significato di che cosa voglia dire Io. In quel luogo disabitato nasce la storia di un uomo che appare più ricca ma anche più confusa di quella di una grande metropoli. L'identità, la coerenza, il riconoscimento di principi, tutto diventa indefinibile e Franz Gustav tenterà di immergersi nel proprio profondo fuggendo persino dalla propria sensorialità, chiudendo gli occhi. E in questa immersione incontrerà il vuoto e il nulla. Dopo aver raccontato la fragilità dell'essere umano nei suoi saggi, Vittorino Andreoli mette in scena la frantumazione dell'individuo, la moltiplicazione in frammenti di io che si sdoppiano per imporre il proprio mistero.
Cosa succede quando il malato è un grande psichiatra abituato a occuparsi delle sofferenze altrui? Vittorino Andreoli, da sempre abile narratore della fragilità psichica, descrive questa volta il proprio mondo travolto dall'emergenza. Una prova di morte che mostra l'esistere con colori e significati sconvolgenti e che cambia il senso della vita nell'arco di un attimo. Tutto accade quando Andreoli si accorge di essere preda di un'imponente emorragia vescicale proprio pochi minuti dopo aver concluso una conferenza sul "corpo malato". Inizia così un cammino in cui si trova costretto a parlare della propria prostata impazzita ai medici, agli infermieri e poi ai familiari, alle persone che ama e con le quali si impone un rovesciamento delle regole ordinarie dell'esistenza. La malattia diventa l'amplificatore di un dolore privato che all'improvviso si rende manifesto a tutti. Andreoli racconta con estremo coraggio i suoi sentimenti dapprima di stupore e poi di terrore in un romanzo autobiografico che sorprende per l'immediatezza del linguaggio, ma anche per l'ironia che i luoghi di cura suscitano accanto al clima di tragedia. "Il corpo segreto" riconduce proprio a quello che la pelle nasconde e che la scienza medica e l'irruzione della malattia ci mostrano in tutta la sua crudezza. Un corpo messo a nudo, spogliato, ma che può ancora insegnarci molto sulla nostra vulnerabilità...
Laura Tarantola, madre di tre figlie e moglie del professor Carlo, fisico delle particelle, viene trovata morta nella vasca della luminosa salle de bains di casa circondata da specchi, che dovrebbero esaltare la bellezza e non il crimine. È l'ultimo atto di un conflitto familiare scatenato intorno a una quarta sorella, che non c'è ma che è dentro la loro mente. Vittorino Andreoli, che da anni segue i delitti estremi al centro delle cronache di morte del nostro Paese, racconta una storia in cui i personaggi somigliano a ciascuno di noi. Persone normali trascinate in un vortice che culmina con un processo. Una vicenda che tocca i punti nevralgici di una società smarrita dove famiglia e violenza formano un binomio sempre più stretto e dove sempre più la violenza sembra compatibile con storie "ordinarie", come se fosse sufficiente un piccolo conflitto per scatenarla. E così lo stupore ci colpisce ogni qualvolta un fatto di sangue, un omicidio, trasforma la casa in un teatro tragico. Andreoli ci guida verso la comprensione degli eventi, coinvolgendoci nelle pagine di un "romanzo scientifico" dove si coniugano due campi apparentemente incompatibili come scienza e letteratura. Ma soprattutto descrive il dramma delle famiglie di oggi che si sono trasformate in polveriere pronte a esplodere. Sta a noi disinnescarle.
In un'epoca dominata dal potere gli uomini si dividono tra i qualcuno e i nessuno, tra chi vive per farsi vedere e chi, quasi fosse trasparente, esiste ed è come se non ci fosse. Ma quando un Nessuno, orfano di un macellaio e di una cassiera di macelleria e privo di un ruolo nella società, si ripiega su se stesso alla ricerca di un senso, ecco che si squaderna come un libro aperto, anche se di pagine bianche. E su queste pagine comincia lentamente a dipingere il suo autoritratto, rielabora il suo dolore, dialoga - e delira - con le immagini della sua mente, sempre in bilico tra la realtà e l'allucinazione, tra la forza della memoria e la sua inaffidabilità, tra un fragile se stesso e le sue molteplici identità. Mentre gli sfilano davanti desideri e paure, ragazze rumene e animali abbandonati, procuratori della repubblica e carabinieri, diabole e messia, Nessuno riflette sulla vita che si intreccia alla morte, sul tempo e le sue declinazioni, sul mistero delle pulsioni e quello della coscienza, sul caso e sulla libertà. Ma è una cagnolina, Bibì, a fare breccia sul suo bisogno di affetto, nel suo universo chiuso ed enigmatico indicandogli una via, stretta, verso gli spazi aperti, verso il profondo respiro della natura, verso una vera casa.
Quali sono i principi su cui si fonda la nostra civiltà attuale? È in agonia, destinata forse a morire? Un romanzo che indaga le ragioni della crisi morale, spirituale, culturale ed economica che stiamo attraversando.
La ricerca costante del passato dell’archeologo. La rabbia dell’adolescente. L’insopprimibile istinto morale del filosofo. La forza salvifica della poesia. La perdita di senso della trascendenza.
Come in un moderno Decamerone, sette persone si radunano a discutere in una villa isolata sulla condizione della civiltà. Il padrone di casa ha scelto con cura gli invitati: un archeologo, un’adolescente, un filosofo, un generale, una psicoanalista, un poeta, un prete. Ognuno di loro avrà un giorno a disposizione per esaminare, alla luce delle proprie esperienze o della propria disciplina, le ragioni del declino che sta sgretolando la politica, la morale, la memoria: in poche parole, i fondamenti della civiltà. La giustizia è in mano all’interesse, il concetto di democrazia è ridotto a una parola priva di significato, si è cancellata la differenza tra bene e male. Mentre affiorano ricordi, nostalgie, speranze, si leva il grido disperato della ragazza, che urla la sua rabbia per tutto quello che avrebbe potuto essere e non sarà, il suo dolore per una vita bruciata dall’abisso in cui stiamo precipitando. Vittorino Andreoli, uno dei più acuti interpreti del mondo d’oggi, ci offre un romanzo complesso e appassionato, che attraverso una finzione narrativa raffi natissima e densa di echi letterari scuote le coscienze, costringendoci ad aprire gli occhi sulla sorte di una civiltà ormai alla fine.
Vittorino Andreoli, è uno dei più autorevoli psichiatri italiani. Oltre ai numerosi libri di saggistica, le sue ultime opere narrative uscite da Rizzoli sono Il reverendo (2008), Il corruttore (2009) e, per la Bur, nel 2010, Un pellegrino, Nuovo Genesi e Vecchio mondo.
Verona, piazza Dante. Sotto il monumento all’Alighieri quattro pensionati si incontrano ogni giorno: sempre lo stesso bar, sempre lo stesso tavolino, sempre lo stesso caffè. Guardano la vita che scorre davanti ai loro occhi, seguono i passi veloci delle persone che attraversano la piazza e sembrano sempre di corsa, sempre in ritardo. Per loro invece il tempo è come se non esistesse: giunti al termine della loro vita lavorativa sono finalmente liberi. Ma contemporaneamente sentono di allontanarsi ogni giorno dalla realtà che li circonda, fatta di violenza, ingiustizia, odio e rassegnazione, che non riconoscono e non sentono più loro. Così, attraverso i racconti, cominciano una lenta fuga nello spazio della fantasia: qui possono tessere delle storie che parlino di loro stessi e di un vecchio mondo dove vincono il bene, il coraggio e la speranza. Un mondo che ormai sembra non esistere più. Usando le narrazioni di questi quattro amici, Vittorino Andreoli ci porta a interrogarci sulle fasi della vita, sul presente e sul futuro, sulla nostra società e soprattutto sul ruolo dell’uomo nella storia.
A Capo Wrath, in Scozia, un uomo che sembra un barbone viene avvicinato da un altro, vestito da monaco. Due forme esteriori, che in realtà significano poco: difficilmente le cose sono come appaiono. Solo attraverso il confronto, come in un dialogo socratico, si può far emergere - o forse costruire - la verità. Così il viaggio e gli incontri sono per il barbone-pellegrino l'unico strumento valido di indagine su se stesso, gli altri, il mondo reale; un pellegrinaggio che è una ricerca, attraverso l'altro, di qualche risposta alle grandi domande esistenziali. Andreoli torna a vestire i panni del narratore, e ci regala un romanzo in cui studia l'animo umano con l'attenzione dello psicologo e l'ars del grande scrittore. Una storia di viaggio, di solitudine e confronto, che è una metafora della vita di ognuno: “Un pellegrino non ha un'identità. È uno che cammina e arriva in luoghi che non hanno nome o almeno che egli ignora. Un pellegrino non sa chi sia, e dunque non ha nome: è un nessuno e nella sua indefinitezza è qualsiasi cosa”.
La mia mente s’interroga sul senso dell’uomo.
Su questi temi occorre soltanto fare silenzio
interrompendo anche lo scorrere delle parole che,
di fronte al mistero, sono inutile rumore.
Vittorino Andreoli
Dal silenzioso nulla, secondo il testo biblico, Dio creò il cosmo: un sistema in equilibrio, nel quale regnava l’armonia. Poi plasmò l’uomo che, a immagine e somiglianza di Dio, rimodellò il creato rendendolo un insieme di rumori, smog, movimento caotico e disordine: quel “mondo civilizzato” che sempre più schiaccia la natura. Ma se qualcuno si ribellasse a tutto ciò? Un uomo incapace di sopportare gli orrori della civiltà, che sogna di allontanarsi dai suoi simili per immergersi nel silenzio, è convito che esistano ancora frammenti di Eden che possono salvare il genere umano. Si mette così alla ricerca di una terra vergine, anteriore alla nascita di ogni cosa, dove la natura domini ancora incontaminata. Il luogo ideale per una seconda genesi, in cui la mano umana possa ripetere l’opera divina e tutto venga nuovamente alla luce in sette giorni, restituito alla perfezione originale. In questa sorprendente prova letteraria, Vittorino Andreoli ci fa riscoprire l’avventura della creazione vista e interpretata nella contemporaneità: una rinascita di ogni cosa che è prima di tutto la rifondazione di noi stessi.
La pazzia, signore, se ne va a passeggio
per il mondo come il sole, e non v’è luogo
in cui non risplenda.
- Shakespeare, La dodicesima notte -
Uno schizofrenico che immagina di uccidere il Diavolo, uno straccione acculturato che trova pornografico il David di Michelangelo, un francese che si sente monaco medievale, gli incontri quotidiani tra un escursionista e un ratto superbo, il funerale di un vivo in una città di morti. Ma anche il ritratto della donna amata, delle famiglie in vacanza, di qualcuno che in Scozia scopre l’importanza simbolica di campanili e campane. I racconti di Andreoli ci presentano un mondo variegato, a metà tra il fantastico e il realistico, in cui pazzi e sani trovano lo stesso spazio. Tutto il “materiale umano” così familiare allo psichiatra, diventa nella narrazione uno straordinario strumento per parlare agli uomini di loro stessi: ogni personaggio e ogni momento di vita è guardato sotto la lente rivelatrice di un particolare comportamento – strano o banale, folle o sano – che ci rende la ricchezza di sfumature del mondo, e la labilità dei confini in cui siamo soliti inquadrarlo. Un incredibile affresco corale al contempo divertente, affascinante e inquietante, che andando oltre la dimensione psicologica si offre come chiave per la comprensione di noi stessi in quanto singoli e membri di una società ormai globale.
“Lo psichiatra del dolore conosce il proprio dolore e lo offre nell’incontro con il matto. La terapia diventa una condivisione della sofferenza: quella dello psichiatra e quella del suo malato.”
Vittorino Andreoli
C’è chi si crede il priore di un antico monastero in Beozia e parla di Dio e dell’uomo; c’è un ladro omicida che sostiene che solo il furto conferisca un senso alla sua dignità di emarginato; c’è un ricco che rinnega il suo status sociale perché lo considera alla stregua di un crimine...
In questa raccolta di racconti intensi e coraggiosi, oscillanti tra finzione e realtà, tra invenzione ed esperienze vissute, Vittorino Andreoli ci conduce a tu per tu con la sofferenza della pazzia e con quel mondo – personale e misterioso, ma ricco di spunti di profonda umanità – che ogni matto elabora e che è sempre desideroso di raccontare purché trovi qualcuno, come lo psichiatra senza nome che tesse il filo di queste storie, pronto ad ascoltarlo.
Un viaggio inquietante e commovente alla costante ricerca del labile confine tra follia e normalità, ammesso e non concesso che quest’ultima esista.
“L’uomo non dovrebbe mai, in nessuna situazione, potersi pensare Dio, potente come il Signore dei Signori.”
Vittorino Andreoli
Un uomo che, fin da bambino, vive nella paura. E che per difendersi cerca rifugio nella religione. Entra in seminario, si appassiona all’immagine di Dio. L’incontro con la teologia, un’inaspettata ascesa nella carriera ecclesiastica, arciprete, vescovo, fino alla nomina a cardinale, poi il precipizio; una malinconia strisciante, insistente, che si trasforma in crisi, in conflitto aperto, quando il protagonista non è più in grado di negare a se stesso ciò che deve continuare a nascondere agli altri: Dio non esiste.
Senza più fede, ma incapace di rinunciare alla porpora della sua toga, il cardinale viene indicato come probabile papa. Ed è proprio nel conclave per l’elezione del nuovo pontefice che sarà costretto ad affrontare la contraddizione che lo consuma. In un romanzo ricco di colpi di scena, Vittorino Andreoli, con la maestria che lo contraddistingue, ci porta dentro all’eterno conflitto tra la maschera e il volto, tra l’immagine che diamo di noi e le più intime lacerazioni del nostro animo.