I telegrammi di Talat Pasha, l'architetto del Metz Yeghern - il Grande Male -, qui tradotti per la prima volta in lingua italiana, non lasciano dubbi: quello patito dagli armeni fu un genocidio, il primo del XX secolo. Taner Akçam, coraggioso intellettuale e storico turco, rifugiatosi negli Stati Uniti per la sua lotta per la verità, ancora oggi insopportabile per il regime di Ankara, ha lavorato su preziosi ed eloquenti documenti originali inediti, restituendo con precisione al lettore, passo dopo passo, istruzione dopo istruzione, le varie fasi di preparazione, innesco e divampare dello sterminio. Una macchina della morte su ampia scala affidata alla carta e all'inchiostro, intrisa del sangue di oltre 1.500.000 vittime. L'Opera fondamentale di Akçam ci fa entrare nei meandri dell'organizzazione genocidaria e nella logica dei carnefici. Il negazionismo di Stato che cerca di giustificare, ridimensionare o del tutto misconoscere questo immenso buco nero della Storia, su cui affonda la nostra contemporaneità sia in Europa sia nel Medio Oriente, è qui messo definitivamente con le spalle al muro.
Metz Yeghérn, il "Grande Male": così gli armeni ricordano il loro olocausto, con una parola che vuol dire, insieme, male fisico e anche morale, ciò che addolora, tortura, uccide. "Il genocidio degli armeni, il primo del secolo, è avvenuto ottant'anni fa in Turchia con lo scopo di 'liberarla' della presenza armena. Se si esclude la piccola comunità di Costantinopoli, l'obiettivo fu raggiunto. Il genocidio del 1915 è perciò anche la prima 'pulizia etnica' di un secolo che chiude il millennio con altre 'pulizie' orrende. Nessuna di queste - incluso l'olocausto del popolo ebraico voluto da Hitler - è dovuta a motivazioni religiose. Viceversa, la cultura che sostiene i massacratori è essenzialmente secolare: si elimina e si uccide in nome di poteri, dominii e superiorità tutte terrestri, avide di terra e di beni, bisognose di cancellare la vita e la storia delle vittime. Commemorare l'ottantesimo del genocidio degli armeni non è quindi solo far memoria del passato a ridosso di drammi attuali e vicini, ma anche chiedersi perché e come il nostro secolo sia segnato da questi tragici eventi. Così facendo sappiamo di operare non solo perché venga resa giustizia a un popolo, ma anche perché altri lo facciano, abbandonando il lato oscuro della modernità".
Lo sterminio degli armeni rispondeva alla volontà degli uomini al potere nell'impero ottomano di risolvere in modo definitivo la questione armena: con questa chiave di lettura, Dadrian propone un volume fondamentale per la comprensione e la ricostruzione del primo genocidio del Novecento. Analizzando per decenni, tra le varie fonti, i documenti ufficiali coevi turchi ottomani, e quelli della Germania e dell'Austria, alleate dell'impero durante la Grande Guerra, l'autore lega a doppio filo l'evoluzione della questione armena allo sterminio, inchiodando alle proprie responsabilità politiche, militari e morali i fautori delle persecuzioni. Ciò che accadde durante il primo conflitto mondiale fu infatti il risultato di un lungo e progressivo processo di soffocamento, provocazione e distruzione di una minoranza assoggettata e vulnerabile ad opera di un ancor grande e potente impero. Fu l'esito di una politica genocidiaria di lento e ampio respiro, scelta, pianificata e attuata deliberatamente: eliminare le popolazioni armene nei confini dell'impero equivaleva a risolvere in via definitiva la questione armena. Una tragedia di enormi dimensioni resa ancor più dolorosa dall'ostinato silenzio e dalla sostanziale indifferenza interna e internazionale che l'accompagnarono, un modus operandi che, nel colpevole oblio generale, fu d'esplicito esempio per altre terribili sciagure umane durante la seconda guerra mondiale.